La vita Italiana nel Seicento. Autori vari

La vita Italiana nel Seicento - Autori vari


Скачать книгу
tra Francia e Spagna, era sin oltre la Pace di Vervins, malsicuro; e malsicuro segnatamente a Cosimo, sinchè erano in credito alla corte francese gli Strozzi, a' quali il Re di Francia diceva: mon cousin. Ed argomenti di timore non lievi porgeva quel Ducato senese, di cui, morto Cosimo, volevasi negare la investitura a Francesco, e che poteva da un momento all'altro divenire cosa spagnuola; od esser conceduto a quell'inquietissimo Pietro de' Medici, di cui tanto si valsero gli Spagnuoli per tenere il suo maggior fratello Francesco in soggezione; o divenir, magari in mano degli Strozzi, prezzo d'accomodamento tra Francia e Spagna.

      Sotto Francesco, per la tema che, mentre travagliavasi nelle interne sue guerre il Regno francese, la Spagna incuteva più che mai agli Stati italiani, ed anco per l'indole prava del governante, la Toscana spagnoleggiò, e vide giorni per diverso modo nefasti; chè, oltre la frequenza de' delitti comuni notata di sopra, l'assassinio del Buonaventuri, primo marito di Bianca Cappello; l'uccisione, che della moglie Eleonora di Toledo perpetrò il già ricordato Piero, cliente di Spagna; la morte di Elisabetta, altra figlia di Cosimo I, per mano del marito Giordano Orsini, non a torto geloso; sono ben più certe tragedie, che non la favoleggiata morte di Garzia e di Giovanni, od altrettali.

      Ma non appena la Francia s'avviò al suo scampo, e prima ancora che l'abjura di Mantes desse modo a Clemente VIII di trattare apertamente con Enrico IV, Ferdinando I, felicemente succeduto a Francesco, entrava mediatore tra Clemente ed Enrico; Venezia tornava all'antica alleanza francese; il Papa affrettava co' voti e coll'opera il giorno della pacificazione; le nozze di Maria de' Medici col Re di Francia, l'attivo intervento papale nella faccenda di Saluzzo, l'accorta e non disinteressata sapienza d'Enrico IV nella pace di Lione, davano segno manifesto che la esclusiva preponderanza spagnuola sugli Stati italiani era scossa.

      Delle stipulazioni di Brusolo pare fossero bene informati e paghi Venezia, il Papa e il Granduca; non la Corte Farnese, veramente raccostatasi a Francia solo al tempo di Rinuccio II. Senonchè, prima ancora che la repentina morte d'Enrico IV richiamasse i piccoli Dinasti italiani a più cautelosi pensieri, e lasciasse Carlo Emanuele in quel terribile impaccio, da cui, colla tardità, che una mal dissimulata decadenza ingenerava in ogni moto di Spagna, contribuirono a trarlo i buoni ufficî della Diplomazia papale, erasi fatto manifesto come, pur di fronte alla decisa politica e al saldo animo d'Enrico IV, questi Dinasti non credessero avere completa identità d'interessi, da potersi tutti ugualmente alienare la Spagna. La cessione di Saluzzo a Savoja, frutto non meno del perseverante coraggio del Duca, che della accorta temperanza del Re, spiacque a' Medici e agli altri, perchè ne pareva fatto men pronto e presente il sussidio francese. Nè di ciò sembrava ad essi compenso sufficiente l'incremento sabaudo in Italia. Che se poi questo fosse stato, per avventura, maggiore, e più se ne sarebbero doluti; perchè meglio s'acconciavano a conseguire una relativa indipendenza mercè il contrapporsi d'uno ad un altro Potentato straniero in qualche parte d'Italia, che a subire la egemonia d'uno fra gli Stati italiani, cresciuto abbastanza per tutelar gli altri da qualsiasi straniero; al quale ufficio era manifesto oramai non potere, per la situazione a confine con Francia, per la mole dello Stato, pe' suoi ordinamenti militari accingersi, con qualche speranza di successo, se non casa Savoja. E di questa misera e colpevole gelosia non sono da riprendere soli que' Principi italiani, a taluni de' quali converrebbe anzi fosse più equamente pietosa la Storia, e che, conosciuti più da presso (Cosimo II, Ferdinando II, Edoardo I, Rinuccio II), guadagnano; ma ne sono da riprendere, per lo meno al pari di loro, i Popoli, ne' quali il particolarismo, ambizioso, sospettoso, era vivo pur troppo; tantochè, quando, nella guerra di Valtellina, pareva che le armi di Carlo Emanuele si vantaggiassero soverchiamente in Lombardia contro alle spagnuole, il Senato milanese, in tante altre faccende sì corrivo e sì docile, fece pervenire a Madrid le alte e veramente patriottiche sue lagnanze, perchè il governatore Duca di Feria capitanava con poca fortuna contro il Principe italiano le genti di Spagna. Tal quale come quando, sollecitandosi, un secolo e mezzo prima, per Pio II, una lega di Stati italiani, che formata contro il Turco, sarebbe stata efficace contro ogni altro Straniero, lo ammonivano del pericolo (?!) di far tutta veneziana l'Italia gli Oratori fiorentini; a' quali il Papa rispondeva: meglio in ogni modo farla veneziana, che turca, o comechessia straniera.

      La Storia italiana, di questo periodo almeno così poco divertente, non è, o abbastanza nota o meditata abbastanza. Più nota o più meditata avrebbe, FORSE! risparmiato all'Italia il vano conato del federalismo neo-guelfo, chiarendo impossibile a conseguire od a conservare col buon volere di Dinastie, tutte recenti, e aventi fuor d'Italia le loro radici e la nativa ragione dell'esser loro, quello, che non erasi potuto o saputo volere, sotto la ignominia e la rapina spagnuola, da antiche Famiglie italiane, congiunte le più in parentela fra loro, e strette anche con casa Savoja da quella “catena d'amore„ di cui le figlie di Carlo Emanuele avrebbero dovuto essere gli anelli. Più nota o più meditata, questa Istoria ci farebbe meno corrivi e più oculati a tutela della conseguita unità.

      Chè se i Lombardi, calpestati, dissanguati dagli Spagnuoli, delle vittorie savojarde si contristavano e si querelavano a Madrid, resta agevole intendere le fiere ripugnanze di Genova repubblicana contro le monarchiche insidie di Carlo Emanuele; intendere come co' Sovrani loro consentissero i Popoli in quelle gare di precedenza, che fecero, anche dopo la coronazione di Cosimo I Granduca, spargere tanti fiumi d'inchiostro, e minacciarono fare spargere fiumi di sangue fra Estensi e Toscani; intendere il furore della guerricciuola fra Lucca e gli Estensi, omai ridotti a Modena e Reggio, per la Garfagnana. E s'intende per questo modo quel correre addosso a Carlo Emanuele per vietargli l'acquisto del Monferrato; e quella suprema vergogna del lasciarlo solo, quando, non più pel Monferrato, ma sosteneva la guerra con Spagna, ed a quella invitava, come a debito loro, gli altri Principi d'Italia, per la indipendenza italiana, ch'egli ad un modo e quei Principi intendevano a un altro, e stimavano forse minacciata non meno che dalla Spagna, da lui, che della eventuale vittoria avrebbe raccolto in aumenti territoriali il massimo frutto. Il fatto è che mentre per la Francia, per la Spagna, per l'Austria, contro i Turchi, contro i sollevati Fiamminghi, contro gl'Inglesi troviamo a combattere volontarî di varie parti d'Italia, e taluni, per vero merito militare, ne' primissimi gradi, niuno ne troviamo con Carlo Emanuele in quella, che a lui sembrava guerra d'indipendenza nazionale; a troppi altri guerra di mero interesse dinastico. Degli altri Stati italiani lo Stato ecclesiastico, arrotondatosi cogli incameramenti di Ferrara e d'Urbino, protetto dalla maestà della Religione, e sperante da uno sconquasso degli Spagnuoli un incremento d'influenza sul Regno meridionale, si mostrava il meno geloso de' possibili ingrandimenti sabaudi. Gli errori e le colpe del Governo pontificio, che tanto contribuirono a far possibile la unificazione italiana, gli sono stati rimproverati abbastanza; è ufficio della Storia veridica ed equanime il riconoscere che, nè alla indipendenza d'Italia, nè all'ufficio di potenza moderatrice e conciliatrice, cui i Papi aspiravano fra gli Stati italiani, nocquero i predetti incameramenti d'Urbino e di Ferrara, nè il nepotismo politico, di cui furono frutto i Medici ed i Farnesi, e avrebbe potuto esser frutto un principato Barberino od Aldobrandino di Valtellina. Le generose illusioni sono da rispettare; e la difesa, che delle loro libertà repubblicane fecero Firenze e Siena, onora i Fiorentini, i Senesi, l'Italia; ma erano illusioni! Se la Lega, che il Burlamacchi sognò più tardi, si fosse potuta stringere cinquant'anni prima, se la voce di Pio II e di Paolo II non fosse andata perduta fra i pettegolezzi delle Repubbliche e delle Signorie tuttora immuni da contagio straniero, Firenze, che fu percossa da' grossi cannoni forniti agli Imperiali da Siena; Siena che cadde sotto le armi di Firenze collegate alle Spagnuole, avrebbero combattuto effettivamente per conservare i loro ordinamenti repubblicani; ma nel 1530 per Firenze, nel 1554 per Siena, si trattava, non già di rimanere Repubbliche o di diventar Principati; sibbene d'essere o Spagnuole o Medicee, e fu gran ventura che rimanessero a' Medici; gran ventura che tornasse a' Farnesi Piacenza.

      S'intende che qui si risguardano il nepotismo e i suoi effetti sotto il rispetto della politica positiva italiana; non sotto quello più generale de' morbi, da cui giova sperare che la catastrofe del Poter temporale sia per far monda la Curia romana.

      Ai torti del Papato temporale nella guerra Barberina, bruttissima, fanno contrappeso, durante il secolo, che ho cercato ritrarre nel suo complesso, meriti religiosi e civili non piccoli. Pio IV, forse soverchiamente severo agli orgogliosi Caraffa, mentre, animato dal nipote Carlo Borromeo concludeva il Concilio di Trento, fortificava contro i Turchi, sbarcati testè a Manfredonia, la città Leonina, Ancona, Civitavecchia;


Скачать книгу