La vita Italiana nel Seicento. Autori vari

La vita Italiana nel Seicento - Autori vari


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ampliava il Vaticano; ornava Porta Pia. Pio V, oltre il sagace ardimento d'avere, colla incoronazione, contro le proteste del Corpo germanico, contro le rinforzate guarnigioni spagnuole, ed i clamori d'Este e Savoja, contribuito alla autorità e grandezza di Cosimo, che purtroppo consegnavagli il Carnesecchi, ma dava puranco galere per le guerre turchesche; ed oltre l'accorgimento con cui difese contro le insidie di Don Giovanni d'Austria la libertà genovese, ha il merito sommo d'avere, nonostante tutto il malvolere di Filippo II, menata a conclusione la gran Lega cristiana, e preparata quella battaglia di Lepanto, mercè la quale, sebbene non se ne raccogliesse a gran pezza ogni debito frutto, si protrasse la vita, e vita non tutta ingloriosa, a Venezia. Se pur non è più giusto il dire che quella Lega, come l'altra, che più tardi Innocenzo XI Odescalchi stringeva fra l'imperatore Leopoldo e re Giovanni di Polonia, salvassero per secoli dalla barbarie turca la civiltà cristiana.

      La fama popolare predica ancora flagellator grande di banditi, e severo riordinatore dello Stato Sisto V. E meritamente invero; quantunque i buoni effetti dell'opera sua non durassero tutti, e gl'inquieti spiriti di certe popolazioni italiche tornassero a prorompere nelle geste epicamente brigantesche di quel Battistella, le cui imprese nella Maremma grossetana finirono solo quando la Spagna n'ebbe prese a' suoi stipendî le masnade nello Stato de' Presidî; o di quel Marco Sciarra, arcifamoso, che, dopo fatta contro a Pontificî e Toscani vera e propria guerra guerreggiata, finì al soldo de' Veneziani, mandatone, pe' giusti reclami di Clemente VIII, a militare in Candia. Co' quali, tra i prosecutori ed eredi di Ghino di Tacco, che il confine ecclesiastico e toscano fecero teatro d'imprese vive pur troppo ancora nella memoria e nella imaginazione del popolo nostro, convien noverare quell'Alfonso Piccolomini duca di Marciano, che prima negoziò col Papa da potenza a potenza la consegna del suo complice Pietro Leoncillo, poi, vinto da' Toscani in battaglia campale, a San Giovanni in Bieda, era da Ferdinando I, reclamandolo invano i Tribunali ecclesiastici, fatto impiccare.

      Ma, per tornare alla politica italiana de' Papi, se lo zelo intemperante di Paolo V dette luogo alla nota contesa della Repubblica veneziana, restano ad onore suo e d'altri Papi le sapienti ed efficaci sollecitudini loro per tutti i Principi italiani, ed in specie quelle d'Urbano VIII per Carlo Emanuele I; ch'egli chiamò replicatamente “Onore d'Italia„ “Difensore della libertà italiana.„ Poichè, infine, a quel più di “libertà italiana„ che i tempi lasciavano allora sperare, indirizzarono i Papi la loro azione politica: e la egemonia, alla quale aspiravano sugli altri Stati italiani, si esercitò tutt'altro che in detrimento di questi.

      Del resto, questi piccoli Stati, che unirsi ad impresa di comune indipendenza contro la Spagna non seppero o vollero mai, per una troppo gelosa cura di loro autonomie e precedenze; che insensibilmente declinarono col declinare di lor dinastie locali, presto degenerate; potevano tutti, al precipitar della mole spagnuola dire, come quell'uomo di Stato francese al cessar del Terrore: Ho vissuto! E l'aver vissuto, l'aver saputo vivere quando, morendo, sarebbesi fatto luogo a un incremento di dominazione straniera, di dominazione obbrobriosa, corruttrice, rapace, era già qualchecosa.

      Ma se i singoli Stati italiani s'erano ridotti a vivere nel più modesto significato della parola, il pensiero italiano visse nel significato più alto e fecondo. Affermando contro la pervadente Teologia i diritti della Scienza, separando dal campo della Fede quello dell'esperienza e del raziocinio, contrapponendo alle fole di uno pseudo-aristotelismo i procedimenti del metodo sperimentale, Galileo Galilei recava alla famiglia umana beneficio di poco minore da quello, che le aveva recato la libertà di coscienza.

      E di che vita fremessero ancora, non ostante le vecchie colpe paesane e la ignorante oppressione straniera, le viscere della gran Madre Italia, ben si pare dalla perseveranza e dal coraggio con cui, in nome della Verità scientifica, Gentiluomini, a' quali le vie dilettose de' facili onori erano aperte, Scienziati che dovevano, fatti nuovamente discepoli, disdire sè stessi, affrontarono le contrarietà, gli scherni, e le minaccie di peggio; si pare da que' luoghi del Galilei, e degli altri scrittori della sua scuola, ne' quali l'animo loro, commosso a portenti di che erano o ritrovatori o testimoni novelli, chiama a Dio, che di tanto dono li aveva privilegiati.

      Nè già potevano essi allora prevedere, o solo in parte assai piccola le applicazioni, che della verità per essi certificata sarebbersi fatte alla industria, con aumento di comodità a' men privilegiati dalla fortuna, e con appressamento della umana famiglia a quella æqualitas, che San Paolo auspicò, e alla quale è preciso debito nostro il cooperare colla parola e co' fatti. Ma amore del Vero li scaldava; del Vero per sè medesimo, supremo Bene dell'anima umana dal quale, non cercati, non sperati o intraveduti talvolta, tutti gli altri Beni derivano; perocchè a ogni ordine d'umano pensiero, opera, affetto, si convenga quell'evangelico: “Zelate la giustizia ed il Regno di Dio, ed il resto verrà da sè.„

      Lacera, conculcata, travolta dagli errori e dalle colpe proprie, e da necessità poco meno che ineluttabili, la Patria nostra aveva, pure nel secolo per lei sì melanconico, che dalla pace di Cateau Cambrèsis va a quella de' Pirenei, recato alla universa civiltà il cospicuo suo contributo.

       Indice

      CONFERENZA

       DI

       Ernesto Masi.

      Permettetemi, cominciando, di ricordare che l'anno scorso, parlando del come e quanto fosse risentita in Italia la Rivoluzione Protestante Tedesca, ebbi a distinguere tre tendenze diverse manifestatesi allora in Italia, la prima, che senz'altro aderisce al Protestantismo e molte volte lo oltrepassa; la seconda, che, allarmata delle disastrose conseguenze del Rinascimento nell'ordine morale e religioso, mira ad un tal rinnovamento interiore della Chiesa Cattolica da rendere anche possibile una conciliazione pacifica col Protestantismo e quindi il ristabilimento dell'unità nella Chiesa Cristiana; la terza, che vuole e organizza la resistenza ad ogni costo e la reazione a tutta oltranza.

      La prima di queste tendenze è domata colla violenza. La seconda e la terza camminano per alcun tempo parallele: pare anzi che si diano la mano e si aiutino scambievolmente; ma infine la terza, quella della resistenza e della reazione, ha il sopravvento e rimane l'ultima e definitiva trionfatrice.

      È di questa, che dobbiamo ora più specialmente occuparci.

      Essa, come fatto politico, piglia le prime mosse dall'accordo stabilitosi nel convegno di Bologna fra Clemente VII e Carlo V, ove si conferma non solo la servitù dell'Italia, ma s'offre alla Roma dei Papi la possibilità di rifarsi, dopo che la Rivoluzione Protestante avea già staccato dalla sua dominazione spirituale tanta parte d'Europa ed il suo principato temporale s'era per un momento, nel 1527, ridotto agli spaldi di Castel Sant'Angelo, donde il Papa potè vedere messa a ferro ed a fuoco la sua città.

      Deserta, spopolata, con pochi erranti a guisa di ombre fra muraglie crollanti e affumicate dagli incendi, Roma, a questo punto della sua storia, pare veramente la gran tomba del Rinascimento. Eppure è da questa tomba che la Roma dei Papi risorge a contrastare trionfalmente, e per secoli, ai suoi nemici il dominio spirituale del mondo!!

      Il fatto è grande, signore, e sa di prodigio!

      Consideriamolo nondimeno obbiettivamente; consideriamolo nella sua realtà e possibilmente senza passione e senza indifferenza.

      Il troppo zelo o il non sentire affatto la potenza degli ideali religiosi e delle loro manifestazioni nella storia stroppiano egualmente in questi casi. Bisogna mirare, se non altro, ad un modello più alto e più sereno di storica imparzialità; e tra i moderni ce lo porge il Ranke, lo storico filosofo della Reazione Cattolica, se anche non vogliamo lasciarci andare agli entusiasmi dello storico artista, il Macaulay, che, Protestante al pari del Ranke, ma nondimeno rapito appunto dallo spettacolo di quella strapotente riscossa Cattolica, depone il suo orgoglio d'Inglese ai piedi di Roma e profetizza che Roma perdurerà sempre giovine e vigorosa, anche quando un pellegrino della Nuova Zelanda, sedendo su un arco rotto del ponte di Londra, in mezzo ad una solitudine desolata, disegnerà sul suo albo di viaggio i ruderi della chiesa di San Paolo.

      In settant'anni e non più, quanti passano dal convegno di Bologna alla fine del secolo


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