Cecco d'Ascoli: racconto storico del secolo XIV. Fanfani Pietro
Stile elegante, terso, chiaro; lingua (cosa rara al giorno d'oggi) veramente Italiana e purissima. Questi e molti altri pregi che troppo lungo sarebbe enumerare, compensano sì largamente quelle piccole mende ch'io ho creduto scorgervi, che il signor Fanfani può andar superbo del suo lavoro, che avrà certo un posto eminente fra le opere letterarie italiane.»
Con questi critici son pure d'accordo molti altri, il cui giudizio non riferiremo qui per non istancare il lettore. Chiuderemo pertanto esclamando col Fruscella: «il Cecco d'Ascoli è gloria novella delle lettere nostre.»
Ci resta a dire due parole della presente terza edizione del celebre romanzo. Allorquando si trattava di farla, l'egregio autore mi scriveva: «Correzioni non ce ne saranno, se non lievissime, avendovi posto molta cura nella seconda edizione.» Di fatti in ciò che concerne la materia ed i concetti la presente edizione è invariata, conforme alla seconda. Le correzioni ed i miglioramenti sono di lingua e di stile, e di questi ne ritroverai, quantunque per lo più lievi, in ogni pagina, essendosi l'insigne autore nuovamente affaticato a ripulire il suo esimio lavoro ed a condurlo per quanto possibile fosse alla perfezione. Questa è conseguentemente una edizione riveduta e migliorata dall'autore quantunque nel frontespicio non lo abbiamo detto. Del mio non vi ho aggiunto nulla, tranne tre o quattro brevissime notarelle che come tali sono contrassegnate. Ho poi posto ogni cura perchè la stampa riuscisse corretta quanto possibile. Se tuttavia errori vi sono rimasti spero di trovar scusa appo chi consideri che il libro non solo si stampò in Germania e da Tedeschi, ma eziandio molto lontano del mio presente luogo di dimora, lo che doveva necessariamente rendere di molto più difficile a me il curarne la stampa.
G. A. Scartazzini.
ORIGINE E PROPOSITO DI QUESTO LIBRO.
Una mattina, là sullo spirare del 1868, venne da me un compitissimo giovine e di bella maniera, il quale, dopo le cerimonie di uso, garbatamente mi disse:
— Vorrei un favore da lei.
— Due, potendo.
— Io son uno dei Direttori del Diritto; e vorrei che la ci scrivesse un romanzo.
— Un romanzo io? ma le pare? Io che non leggo mai romanzi; che non ho mai tentato nulla di simil genere; come vuole che possa fare un romanzo? Mi rincresce; ma questo appunto è uno di quei favori che non posso farle.
— Badi: il compenso che il Diritto le darebbe, non dovrebbe essere indegno nè di lei nè delle Lettere.
— Mio caro signor Mussi (era appunto il signor Mussi que' che parlava meco), la quistione non è codesta: è che io romanzi non ne so fare, e non ne vo' fare.
— Ma ci pensi..... provi..... O almeno ci illustri un periodo di storia a modo suo. Insomma, vogliamo qualche lavoro di lei per l'appendice del Diritto.
— Ci penserò; ma non le prometto.
— A rivederla.
— A rivederla.
Io non aveva voglia per niente di pensare a questa faccenda; ma, capitatomi a mano in questo mezzo tempo un codice, dove era la sentenza di Cecco d'Ascoli; mi balenò in mente che nel fatto di questo illustre sventurato ci fosse materia da farci qualcosa: ripensai tutto quel periodo di storia, che è bellissimo: almanaccai per immaginare accessorj; e passando di un pensiero in un altro, mi trovai scritto nella mente un disegno, che mi parve da potersi colorire con qualche buon effetto. Allora mi venne voglia di provarmi; e scrissi al signor Mussi, che passasse da me, come fece senza indugio.
— Ho pensato a quell'affare: il soggetto sarebbe Cecco d'Ascoli: le piace?
— Mi piace; e poi, basta che piaccia a Lei.
— Le condizioni?
— Le dissi che non sarebbero indegne nè di lei nè delle Lettere. Le scriveremo una lettera, ed ella spero risponderà che accetta.
— Badi: ella compra gatta in sacco: per me questi sono lavori nuovi; e potrei far cosa che non piacesse; tanto più che io non potrò mai indurmi a scrivere le esagerazioni di molti fra gli odierni romanzieri, perchè le credo artifizio e non arte, e poi perchè ciò ripugna alla mia natura.
— Faccia come le pare; chè noi saremo sempre contenti.
Il giorno appresso mi venne la promessa lettera dalla Direzione del Diritto: le condizioni erano quali il signor Mussi le aveva promesse: le accettai senza esitare: furono mantenute scrupolosamente da ambe le parti; e il racconto del Cecco d'Ascoli si pubblicò tutto intero dal marzo al giugno dell'anno passato.
Così nacque il presente racconto. Adesso il lettore di questa ristampa è bene che sappia con qual proposito lo dettai; e glielo dirò, riportando la lettera che io, nella soggetta materia, scrissi già al signor Ugo Bassani di Venezia, e che in questi giorni si è veduta stampata in varj giornali.
«Firenze, 12 Giugno 1870.
«Mio caro Ugo,
«Quel mio racconto del Cecco d'Ascoli, di cui leggesti i primi capitoli, quando testè fui a Venezia, e del quale mi chiedi adesso ragguaglio, non è un romanzo nel proprio significato che ora suol darsi a tal voce. Io ho voluto solamente fare un racconto, che desse qualche diletto non senza istruzione. Narrando il compassionevole caso di Cecco d'Ascoli, ho avuto per proposito di render familiare tra il popolo quel periodo di storia fiorentina, di metter in veduta, come suol dirsi, la vita intima dei Fiorentini, le usanze e i costumi di quel tempo, ed anche di descrivere in parte com'era allora Firenze. Il racconto è molto variato di avventure, di guerre, di piacevolezze e di amori; ma ho fuggito a disegno ciò ch'è pascolo più ghiotto ai volgari lettori di romanzi, dico le esagerazioni di ogni maniera, passioni violente, lascivie ed oscenità, orribili colpe e delitti, tutto quell'apparecchio insomma dell'arsenale de' romanzieri, per mezzo del quale si turba e si sconvolge l'animo e la mente dei lettori; tenendomi invece alla temperanza in ogni cosa, e ingegnandomi di toccare il cuore per altra via, acciocchè il mio libro possa lasciarsi leggere, anche alle fanciulle più gelosamente guardate, senza un pericolo al mondo, ed il lettore se ne senta placidamente commosso, e provocato al bene, anzi che al mal fare. Mi sono studiato pure di scriverlo con quella maggior diligenza della quale son capace; e se, avendo alle mani personaggi del trecento, ho dovuto fargli parlare al modo del loro tempo, mi conforto che tutto insieme il dettato del mio libro debba sembrare anche ai più schizzinosi, sciolto e non punto affettato: e perchè nulla rimanga oscuro, anche ai lettori meno esperti, alcune voci e modi oramai fuor d'uso, o usati in altro significato, che necessariamente debbono usare i miei personaggi, si troveranno registrati e spiegati in fine del racconto. Insomma io mi sono ingegnato di fare quel meglio che ho potuto, acciocchè l'opera non riesca uggiosa, o dannosa; la qual sarà anche più accetta al pubblico, se il nostro valentissimo Tessarin metterà in musica, come mi fa sperare, le serventese che fo cantare ad un menestrello al convito del Duca di Calabria, e che farò stampare in fine volume.
«Ecco quel ch'io posso dirti sommariamente del mio Cecco d'Ascoli, il quale uscirà fuori nel prossimo mese di luglio, e per il quale non ti nego d'avere qualche affetto, e di starne colla tremarella per il dubbio che possa trovare poco amorevole accoglienza.
«Basta, speriamo. Intanto io lavoro di forza. Addio, e voglimi bene».
Al Lettore parrà strano questo star con la tremarella per la pubblicazione, dopo che il mio racconto ha già sperimentato il giudizio del pubblico, e dopo aver'io detto che spero non abbia in tutto a dispiacere. Ma pensi il Lettore che altra cosa è il pubblicare un lavoro spezzatamente per appendice a un giornale politico, dove i lettori leggono a intervalli[9] e non sempre attentamente; ed altro il veder raccolto ogni cosa in un libro, dove ad una occhiata si vede se tutto è al suo posto, se l'una cosa risponde all'altra, se il disegno è corretto, se il colorito è quale lo richiede il soggetto. Pensi che, se io spero di non dispiacere a que' pochi, i quali ne posson giudicare secondo i precetti dell'arte, manca a questo racconto tutto ciò che è più ghiottamente richiesto dai lettori volgari: amori lascivi,