La battaglia di Benevento: Storia del secolo XIII. Francesco Domenico Guerrazzi
secreto, una invincibile pietà, che destandogli nell'anima le rimembranze tristamente soavi lo sforza al pianto.¹ Bello sei, o cielo d'Italia, sia che la notte od il giorno ti allegri, e veramente opera divina. Quando la Italia sedeva regina del mondo, tu l'eri convenevole padiglione; ma ora….. i valorosi sono morti, i monumenti dispersi, la fama stessa dileguata….. e perchè, o cielo, a tua posta non muti?—Il manto funerale della bellezza non è oscuro; la gente lo sceglie di lieto colore, l'orna co' fiori della gioia, e tenta ingannarsi sopra una vita che non è più: onde i sospiri, e gli addii, che le si fanno al suo discendere nella fossa, non sono come a persona morta, ma come a tale che deve lungo tempo starsi lontana da noi. L'eterna sapienza che governa il creato concesse questo bel cielo alla Italia, onde le fosse splendido testimonio nei suoi giorni di gloria, e conforto in quelli più lunghi della sventura. Egli solo è rimasto, perchè l'ira degli uomini non ce lo ha potuto rapire….
¹ Questa è opinione di Pitagora
E la terra!—Ogni zolla contiene la cenere del cuore di un eroe. I nostri passi sono su la polvere dei grandi… i passi di noi più meritevoli di andare sepolti sotto la polvere! Solo lo straniero conosce le nostre storie, e pieno di reverenza teme ad ogni orma che muove si sollevi dalla terra una voce che gridi: codardo, perchè calpesti un valoroso? Va pur franco, straniero, chè ogni avanzo di vita sia bene spento sul limitare della morte, nè questi tramonti conoscano crepuscolo; nè dai sepolcri esca grido di trapassato, dove non ve lo ponga il valore, o la pietà dei viventi. Agli avviliti le tombe offrono la stanza del cadavere sformato, piuttosto che l'altare dei magnanimi sensi; la mente trascorre al lezzo, piuttostochè alla gloria: e noi siamo da gran tempo tali, che non osiamo popolare gli avelli co' sublimi fantasmi della grandezza. A che mai sorgerebbero le forme venerate dei padri? Forse a vedere di qual condanna vada fulminata la loro schiatta infelice? Forse a conoscere che non vive cuore italiano che palpiti per le glorie italiane? Risparmiatevi, o padri, questo amaro cordoglio: risparmiateci, o padri, la rampogna delle vostre sembianze: la morte stia convenevole spazio tra noi.—Possano questi secoli non essere rammentati nella Storia! Possano i posteri lasciarci il retaggio che solo aneliamo…. l'oblio!
Per cui sono quei frutti? La terra non cura saperlo: ella li presenta liberale a chiunque stende la mano per raccoglierli. Una spada di fuoco fu posta a guardia dell'Eden, e i padri peccatori ed i figli innocenti ne perderono la speranza della vista…. Se in voi non rugge ardimento di battaglia…. maledetto colui che manderà il gemito della viltà…. abbiatevi almeno quello che può avere di grande il vituperio…. soffrite muti.
Io racconto una storia di delitti, delitti atroci e crudeli, quali uomini scellerati, che hanno in odio il Creatore e la creatura, possono commettere: quali appena si stimerebbe che vi fosse orecchio da intenderli, non che anima da divisarli, e braccio da eseguirli. Nè alcuno mi accusi ch'io mi proponga atterrire anzichè ammaestrare la gente. Lieve cosa è il detto, ma la parola della sapienza non vola sovente dal labbro degli uomini. Mediti prima chi tale avvisa accusarmi su le vicende dei secoli; mediti sopra il cuore degli uomini, e veda la storia dei generosi esser fatta pei generosi. Di niun sorriso va lieto l'aspetto della virtù; suo solo compenso la gloria:—altissimo e primo veramente tra i conforti concessi alla decaduta schiatta di Adamo! ma altissimo e primo pei cuori gentili che sanno amarla, vivere per essa, e per essa morire. Laddove il vizio abbia inaridito le menti, e le anime languiscano appassite dalla costumanza del male, che sono essi mai i fantasmi della gloria? Nomi di scherno, soggetti di riso. Più veemente forza si vuole che non è la voce della virtù. Lo aspetto delle rovine del misfatto può commuovere quegli spiriti, o nessuna altra cosa lo può. La sola voce tremenda dell'Arcangelo spezza le lapide, e suscita i trapassati dal letargo della morte….
È l'ultimo grado del crepuscolo; un raggio mestissimo si diffonde lungo i lidi fiorenti di Napoli. Le vette dei monti Tifata, Vesuvio, e degli Appennini che lo ricingono da un lato, ardono di luce vermiglia, che a mano a mano degradando nelle montagne più lontane si smarrisce nel buio della notte sorvegnente, come il tempo si confonde nella eternità. Soave spira il venticello della sera, che ora sommuove a fior di ala la marina, ora lambisce l'alito odoroso del melarancio, dell'aloè, e di ogni più doviziosa pianta dell'orientale vegetazione, che allegra le coste di Posilipo e di Mergellina, e quasi per vaghezza ne circonda il passeggero, e lo sospinge al cielo come un tributo che offre la terra al suo Creatore. Dolce suona il canto della sera col quale il vassallo si annunzia da lontano alla sua famiglia. Dolce s'inalza l'inno del saluto che il pescatore volge alla luna sorgente dai monti opposti, mentre co' remi percuote a misura le onde del golfo di Napoli. Bella è la tua terra, o infelice contrada, bella quanto il paradiso terrestre nei primi giorni della creazione!
Ma sotto una volta del castello capuano, splendida dimora del Re Manfredi, che mena ai giardini reali, un giovane insensibile a tanta magnificenza della Natura traccia sopra la sabbia disordinati segni con la punta della spada. Bello e maestoso si presenta allo aspetto: i biondissimi capelli divisi in mezzo alla fronte gli pendono giù per le spalle; il volto per ogni parte leggiadro; ma i suoi grandi occhi azzurri spesso si avvolgono ferocemente sotto le ciglia abbassate, spesso si fissano immobili, e in diversa direzione, per la intensità del pensiero, come se osservassero alcuna cosa al di là di questo mondo. Sopra la sua fronte sta un segno che non vide mai la fronte della giovinezza. Qual cosa può avere impresso questo marchio inamabile degli anni su la testa di colui che ne vide trascorrere venti soltanto? L'amarezza dell'anima numera gli anni nel volto del travagliato, e quel segno sta sopra il suo capo come la corona del dolore.
Sciagurato! Non carezza materna acquietò mai il suo pianto; non bacio di padre lo rallegrò nei giorni della infanzia; egli non conobbe padre, nè madre. Sta nella vita come pianta nel deserto.—Ricerca la sua memoria, e trova in quella la solitudine dell'intelletto: solo lontano lontano alcune rimembranze di sangue…. ma confuse, ma oscure per modo, che invano si sforza richiamarle più specialmente al pensiero. La sua anima arde quanto il sole sotto il quale egli nacque; la sua nascita lo affanna: un senso segreto di grandezza lo travaglia; anela una cosa che neppure egli conosce; vorrebbe con uno sguardo penetrare nei misteri della creazione, vorrebbe con un moto dominare i popoli della terra, vorrebbe essere un Dio con gli attributi dell'uomo, o un uomo con la scienza e la folgore di Dio. Ma l'alta fantasia, considerando il suo misero stato, sviene nello ardore della immagine; il suo cuore allora geme straziato dall'angoscia, sente tutto il tormento del delirio dell'ambizione. Forse questo fuoco avrebbe da gran tempo consumato la sorgente della vita, dove una forma di celesti sembianze non gli sorgesse nell'anima, e ne acquietasse alcuna volta le tempeste. Certo, quello è un amore disperato; e ben degno di lui. Il solo pensiero, se gli uomini potessero conoscere il pensiero, sarebbe punito. Uno scudiero osa sollevare lo sguardo alla figlia de' Re? Quali sono le sue speranze? Confida che la vergine del sangue svevo piegherà il cuore fino a lui? Conosce i pericoli, pensa ai tormenti che sono per occorrergli? Egli ama, e disperatamente ama.
Ma i suoi sguardi da lungo tempo insensibili a quanto di più solenne gli profferiva la Natura, si affissano a un tratto su la magione del figlio di Federigo. Il castello capuano sembrava veramente dimora da Re: ma se per la mole appariva quale la creatura memore esser parte del Creatore può immaginare, per la sua fortezza era pur quale il tiranno nell'agonia della paura può eleggere: conciossiachè Guglielmo il Tristo della stirpe normanna a difesa della propria vita lo fabbricasse. Mura grossissime, frequenti torrioni, cavalieri, baloardi, e tutti gli accorgimenti che l'arte nel dodicesimo secolo consigliava, erano stati adoperati per sicurare il tiranno tremante: ma invano!—dove la vendetta degli uomini manchi, veglia il giudizio di Dio: egli moriva, e non di ferro: ma la sua stirpe fu spenta; il trono fondato dal valore di Roberto Guiscardo, e dal Conte Ruggiero, cadde sotto la eterna giustizia, che i delitti di Guglielmo I fece scontare allo sventurato Guglielmo figlio di Tancredi Conte di Lecce.
Federigo II volle rendere più lieto il castello, allorchè, condusse, a Napoli Niccola Pisano, il più grande artefice del suo secolo, e gli commise la cura di adornarlo. Ma il genio dell'architetto piegò suo malgrado alla vista dello edifizio che migliorava, e i suoi trovati non fecero che aumentarne l'orrore.—Così l'armonico Trovatore se nel silenzio della notte si avvisa cantare la canzone giocosa, gli sfuggono suo malgrado mestissime note, e finisce con la ballata del dolore.
La luna, che tutta lieta di trascorrere i cieli, non cura se in terra sia maladetto o benedetto il suo raggio, e lo diffonde sul