La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Pellegrino Artusi

La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - Pellegrino  Artusi


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di noce moscata.

       Sale e pepe, niente.

      Tritate ben fini colla lunetta il prosciutto e la mortadella, tritate egualmente il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed intridete il tutto coll'uovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d'uovo come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del N. 8. Non patiscono conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana e se desiderate che conservino un bel color giallo metteteli, appena fatti, ad asciugare nella caldana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di tre uova.

      Bologna è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale che a quando a quando colà si recava a banchettare cogli amici. Nell'iperbole di questa sentenza c'è un fondo di vero, del quale, un filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un'opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra città pei suo grande consumo, per l'eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli. Nessuno apparentemente vuol dare importanza al mangiare, e la ragione è facile a comprendersi: ma poi, messa da parte l'ipocrisia, tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una indigestione per cibi mal preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno della vita, è cosa ragionevole l'occuparsene per soddisfarlo meno peggio che sia possibile.

      Uno scrittore straniero dice: «La salute, la morale, le gioie della famiglia si collegano colla cucina, quindi sarebbe ottima cosa che ogni donna, popolana o signora, conoscesse un'arte che è feconda di benessere, di salute, di ricchezza e di pace alla famiglia»; e il nostro Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) in una conferenza tenuta all'Esposizione di Torino il 21 giugno 1884 diceva: «È necessario che cessi il pregiudizio che accusa di volgarità la cucina, poichè non è volgare quel che serve ad una voluttà intelligente ed elegante. Un produttore di vini che manipola l'uva e qualche volta il campeggio per cavarne una bevanda grata, è accarezzato, invidiato e fatto commendatore. Un cuoco che manipola anch'esso la materia prima per ottenerne un cibo piacevole, nonchè onorato e stimato, non è nemmeno ammesso in anticamera. Bacco è figlio di Giove, Como (il Dio delle mense) di ignoti genitori. Eppure il savio dice: Dimmi quel che tu mangi e ti dirò chi sei. Eppure i popoli stessi hanno una indole loro, forte o vile, grande o miserabile, in gran parte dagli alimenti che usano. Non c'è dunque giustizia distributiva. Bisogna riabilitare la cucina».

      Dico dunque che il mio Istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani cuoche le quali, naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio, troverebbero facile impiego e possederebbero un'arte, che portata nelle case borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle famiglie a cagione di un pessimo desinare; e perchè ciò non accada sento che una giudiziosa signora, di una città toscana, ha fatto ingrandire la sua troppo piccola cucina per aver più agio a divertirsi col mio libro alla mano.

      Ho lasciato cader questa idea così in embrione ed informe; la raccatti altri, la svolga e ne faccia suo pro qualora creda l'opera meritoria. Io sono d'avviso che una simile istituzione ben diretta, accettante le ordinazioni dei privati e vendendo le pietanze già cucinate, si potrebbe impiantare, condurre e far prosperare con un capitale e con una spesa relativamente piccoli.

      

      Se vorrete i tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un mezzo petto di cappone cotto nel burro, un rosso d'uovo e la buona misura di tutto il resto.

      10. Tortellini di carne di piccione

      Questi tortellini merita il conto ve li descriva, perchè riescono eccellenti nella loro semplicità.

      Prendete un piccione giovane e, dato che sia bell'e pelato del peso di mezzo chilogrammo all'incirca, corredatelo con

       Parmigiano grattato, grammi 80.

       Prosciutto grasso e magro, grammi 70.

       Odore di noce moscata.

      Vuotate il piccione dalle interiora, chè il fegatino e il ventriglio non servono in questo caso, e lessatelo. Per lessarlo gettatelo nell'acqua quando bolle e salatela; mezz'ora di bollitura è sufficiente, perchè dev'essere poco cotto. Tolto dal fuoco disossatelo, poi tanto questa carne che il prosciutto tritateli finissimi prima col coltello indi colla lunetta, e per ultimo, aggiuntovi il parmigiano e la noce moscata, lavorate il composto con la lama del coltello per ridurlo tutto omogeneo.

      Per chiuderli servitevi del disco N. 8, e con tre uova di sfoglia ne otterrete 260 circa. Potete servirli in brodo, per minestra, oppure asciutti conditi con cacio e burro, o meglio con sugo e rigaglie.

      11. Panata

      Questa minestra, con cui si solennizza in Romagna la Pasqua d'uovo, è colà chiamata tridura, parola della quale si è perduto in Toscana il significato, ma che era in uso al principio del secolo XIV, come apparisce da un'antica pergamena in cui si accenna a una funzione di riconoscimento di patronato, che consisteva nell'inviare ogni anno alla casa de' frati di Settimo posta in Cafaggiolo (Firenze) un catino nuovo di legno pieno di tridura e sopra al medesimo alcune verghe di legno per sostenere dieci libbre di carne di porco guarnita d'alloro. Tutto s'invecchia e si trasforma nel mondo, anche le lingue e le parole; non però gli elementi di cui le cose si compongono, i quali, per questa minestra sono:

       Pane del giorno avanti, grattato, non pestato, gr. 130.

       Uova, N. 4.

       Cacio parmigiano, grammi 50.

       Odore di noce moscata.

       Sale, un pizzico.

      Prendete una cazzaruola larga e formate in essa un composto non tanto sodo con gl'ingredienti suddetti, aggiungendo del pangrattato se occorre. Stemperatelo con brodo caldo, ma non bollente, e lasciatene addietro alquanto per aggiungerlo dopo.

      Cuocetelo con brace all'ingiro, poco o punto fuoco sotto e con un mestolo, mentre entra in bollore, cercate di radunarlo nel mezzo scostandolo dalle pareti del vaso senza scomporlo. Quando lo vedrete assodato, versatelo nella zuppiera e servitelo.

      Questa dose può bastare per sei persone.

      Se la panata è venuta bene la vedrete tutta in grappoli col suo brodo chiaro all'intorno. Piacendovi mista con erbe o con piselli cuocerete queste cose a parte, e le mescolerete nel composto prima di scioglierlo col brodo.

      12. Minestra di pangrattato

      I pezzetti di pane avanzato, divenuti secchi, in Toscana si chiamano seccherelli; pestati e stacciati, servono in cucina da pangrattato e si possono anche adoperare per una minestra. Versate questo pangrattato nel brodo, quando bolle, nella stessa proporzione di un semolino.

      A seconda della quantità, disfate due o più uova nella zuppiera, uniteci una cucchiaiata colma di parmigiano per ogni uovo e versateci la minestra bollente a poco per volta.

      13. Taglierini di semolino

      Non sono molto dissimili da quelli fatti di farina, ma reggono di più alla cottura, essendo la sodezza un pregio di questa minestra. Oltre a ciò lasciano il brodo chiaro e pare che lo stomaco rimanga più leggiero.

      Occorre semolino di grana fine; ed ha bisogno di essere intriso colle uova qualche ora prima di tirare la sfoglia. Se quando siete per tirarla, vi riuscisse troppo morbida, aggiungete qualche pizzico di semolino asciutto per ridurre l'impasto alla durezza necessaria, onde non si attacchi al matterello. Non occorre nè sale, nè altri ingredienti.

      È una minestra da farsene onore; ma se non volete consumare appositamente per lei un petto di pollastra o


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