Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi


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introdurre nella storia una lieve variante: non mi condussi, ma vi fui condotto. Ma perchè non dire a dirittura il vero, che vi fui portato? O che fa tanta paura il vero ai Giudici miei? Perchè non rammentare, che intimato a scendere in piazza recusai apertamente? Tanto sagaci i Giudici, perchè non avvertirono che il Popolo a me solo appellava? Nè anche notarono, che una seconda mano di Popolo, troppo più numerosa della prima, venne per istrascinarmi in piazza? Perchè sfuggì loro, come alla forza fisica si aggiungesse la forza morale dei Colleghi, e segnatamente quella del Vice-Presidente Zannetti, che acceso, come sempre, di amore pel pubblico bene, con fervorose parole scongiurava andassi, e alla pericolante società con ogni supremo sforzo sovvenissi?

      Esposta la storia della Seduta come resulta dal Monitore, e com'è vera, a che montano le inesattezze, gli artificii e le insinuazioni nemiche dell'Accusa? — Quello che avevamo a pubblicare a tutti non potevamo comunicare segretamente. Con noi, in qualità di Ministri, non v'erano misure da prendere, perchè, pel fatto dell'assenza del Principe, cessavamo dal Ministero. Più ancora: il Parlamento, se si sentiva capace a provvedere, non aveva mestieri affatto del Ministero nè giuridicamente nè materialmente. Il segreto, impossibile e forse fatale. Popolo, ora composto di ragazzi, di cenciosi e di poca plebaglia; ora minaccioso, fremente, operante irresistibile violenza; ma prima composto e poco; poi nelle Camere si estende e costringe; la quale contradizione grossolana è così apparecchiata a modo di fantasmagoria con fine sinistro, ed è questo: le milizie non si mossero a reprimere, perchè, ordinate contro la vera e propria sommossa, non ravvisarono siffatto carattere nella scarsa, cenciosa e ben composta plebaglia che si condusse a deliberare il suo plebiscito sotto le Logge dell'Orgagna; ma quel medesimo Popolo come uscito fuori del sacco del prestigiatore giganteggia dentro la Camera per giustificare la violenza fatta ai Deputati: però vi era da calafatare un'altra fessura, e per questa trapela l'acqua nella barca storica dell'Accusa, così che minaccia passare per occhio; invero, se poca, di ragazzi e cenciosa era la turba, tanto doveva riuscire più agevole alla Guardia Civica repulsarla dalla Camera. Le pretese minaccie di morte a cui fra i Deputati si assentasse, non impedirono che molti partissero incolumi, e taluno non ritornasse. La discussione vi fu, e obiettiva, non terminata da violenza popolare, ma per volontà dei Deputati pensosi non tanto del Popolo presente, quanto del Popolo rimasto senza freno a imperversare per la città. Al Governo Provvisorio furono date amplissime le facoltà di provvedere alla salute della Patria, e per convocare i comizii, onde il Paese sopra le sue sorti si consultasse. Se in quel giorno, e nei successivi, e sempre, il partito d'interpellare il consenso universale alla prepotente violenza della fazione non si opponeva, io vorrei che mi dicesse l'Accusa che cosa mai avrebbe saputo ella opporre? Il mio detto, che non temevo del Popolo, riportato con tanta ostentazione, che cosa poteva significare se non che fiducia che il Popolo non trascorresse a iniqui fatti; fiducia, che, onorandolo, giovasse a confortarlo e a persuaderlo di frenarsi? Forse egli importa che l'atteggiamento del Popolo non fosse pauroso, o forse, che sempre uguali si mantenessero le condizioni dell'animo mio? Riguardo allo avere accettato favellerò fra poco.

      Intanto giovi riportare la opinione di un Giornale a me infestissimo, organo del Partito avverso al mio Ministero, la quale varrà a chiarire come i Deputati, senza la spinta del Popolo, avrebbero eletto un Governo Provvisorio:

      «La fuga del Capo dello Stato e la dimissione del suo Ministero, alteravano sostanzialmente la economia del Governo Costituzionale, e imponevano la necessità alle Assemblee legislative di provvedere per qualche modo straordinario ed eccezionale al reggimento dello Stato. Questa necessità era nella mente di tutti; e dove il Circolo politico non avesse invasa l'Assemblea ed imposto il suo voto, il Consiglio avrebbe deliberato un Governo Provvisorio.[185]»

      Ma via, sopra tutto questo diamo di spugna; — frego, e da capo. Immagini l'Accusa di essere a sua volta tradotta davanti un Tribunale (e non deve riuscirle a immaginarlo difficile, imperciocchè al cospetto della coscienza pubblica ella stia quanto me, e forse più di me), e risponda. Se l'uomo che ora è segno a scellerata ingratitudine, nel giorno ottavo di febbraio 1849 non aveva cuore per voi altri tutti, che cosa sarebbe accaduto della Toscana? — Dirà ella, che la parte repubblicana, la fazione demagogica e le plebi cupide e feroci avrebbero quietato? Da quando in poi i leoni posano prima della preda? E chi avrebbe tutte queste forze contenuto? Per propria loro deliberazione sarebbono per avventura quietate? Questo, io penso, comecchè ne abbia dette delle marchiane davvero, non voglia affermare l'Accusa. Dunque: i Deputati? Ma se l'Accusa ce li dipinge sbigottiti disertare il campo! Noi Ministri? Ma se l'Accusa c'incolpa per non essere fuggiti ancora noi! La Corona? Ma se in quel giorno errava incerta del luogo dove l'avrebbe condotta la Provvidenza! La Guardia Civica? Ma se l'Accusa ci racconta, ch'ella riponeva la baionetta nel fodero! La Milizia stanziale? Ma se senza ordini non si muove; e chi glieli potesse dare mancava, per non dirne altro! I Cittadini di parte avversa? Ma se il Governo nel 22 febbraio non gli salvava dal furore della moltitudine, questa gli avrebbe sbranati! — Chi dunque ha impedito che nel giorno ottavo di febbraio la rivoluzione allagasse tutte le terre della Toscana nella pienezza del suo trionfo?

      O Giudici, con quella mano stessa con la quale ora vi basta l'animo scrivere accuse contro la mia costanza, quali non avreste vergato improperii al mio nome, se per viltà fuggendo vi avessi lasciato in balía alle furie rivoluzionarie? O Giudici, ditemi, la mano con la quale tracciate le accuse disoneste, non è quella dessa che scrisse per me uno dei trentamila e più voti, co' quali il Compartimento Fiorentino volle onorare i miei travagli sofferti in pro del pubblico ordine? Ah! voi sfondate gli ombrelli adesso ch'è passata la pioggia? Come padri di famiglia, io vi tenea più provvidi.

      Stupendo a dirsi, quanto a considerarsi angoscioso! Giustizia mi viene donde io non l'aspettava. Nel Giornale intitolato La Civiltà Cattolica, fascicolo 27, a pag. 366 leggo: «Dal 12 aprile 1849, che il Guerrazzi venne arrestato nel Palazzo Vecchio, e chiuso poi nel Forte di Belvedere, ha passato i suoi giorni prima nella Casa di Forza di Volterra; quindi nel Carcere penitenziario delle Murate di Firenze, ed ivi tuttora si trova.

      Grande sarà la curiosità pubblica di questi dibattimenti. È forza però convenire, che a lui ed alla sua stessa ambizione,» (se ambizione di far del bene, forse non crederò mi disconvenga la parola), «non che alla penetrazione dello ingegno, dovè la Toscana non essere caduta allo estremo dei disordini e delle rovine demagogiche. Ed egli ben lo sa; anzi è fama avere detto, nell'atto che fu preso: — Se i Fiorentini avessero due dita di cervello, e mezza oncia di gratitudine, mi dovrebbero alzare una statua.» (Questo già non dissi, ma nulla in sè contiene, che con alquanto più di modestia non senta avere potuto dire io.)

      Per siffatto modo i Gesuiti rendono a me quella giustizia, che Magistrati Toscani mi hanno acerbissimamente negata fin qui. E sì che i primi, davvero, non mi vanno debitori di nulla, mentre i secondi, io penso, mi dovrebbero pure qualche cosa! Io quante volte ho posto l'articolo dei Reverendi Padri a confronto con gli atti dell'Accusa, non senza riso mesto ho ricordato quel detto romano che andò su per le bocche degli uomini, quando Urbano VIII dei Barberini spogliava del metallo corintio la vôlta della Basilica di Agrippa rispettata dagli Unni e dai Goti:

      Quod non fecerunt Barbari fecere Barberini!

      Dopo questa storia di fatti, desunta dai Documenti autentici, diventa più chiara la quistione, imperciocchè ella deva formularsi così: fui io provocatore o complice delle macchinazioni della parte repubblicana precedenti il giorno 8 febbraio? Il Giurì della pubblica coscienza, io confido, dirà: no. Allora ne scende per necessità questa deduzione: che se non fui complice, ne fui oppositore a un punto e bersaglio.

       Mia situazione in Piazza.

       Indice

      Vi rammentate di Mazzeppa legato sul dorso del cavallo indomito? Tale io era fatto, per opera dei faziosi, di faccia al Popolo, ed anche per gli scongiuri della stessa Camera dei Deputati. La rivoluzione mi stava davanti con le sue mille teste, con le sue mille braccia, palpitante e smaniosa. Quanto possano il sospetto e la paura sopra le moltitudini agitate ogni uomo che legge storia conosce. Plaudivano adesso le genti, ma da un punto all'altro disposte a diventarmi prima carnefici che


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