Abissinia: Giornale di un viaggio. Giuseppe Vigoni
ha nulla di rimarchevole: una casina con cinque finestre, a due piani, e ai lati due bracci sporgenti col solo pianterreno, e in continuazione a questi qualche altro locale cogli opificii da un lato, e la tettoia col recinto per gli animali addetti al servizio, cioè muli, somari e buoi, dall'altro. Vi sono ora dieci preti e qualche indigeno convertito non solo, ma consacrato sacerdote perchè aiuti nella propaganda.
E giacchè il nostro itinerario ci ha portati su questo argomento, mi si permetta di fermarmici a dirne due parole. Ho tanto e sempre sentito dir bene delle Missioni cattoliche che hanno sede a Kartum, e delle quali è capo l'egregio monsignor Comboni, ed ho avuto io stesso tali prove in Palestina dell'utilità che possono arrecare le Missioni quando siano ispirate da sentimenti veramente cristiani e umanitarii, che davvero bisogna essere compresi da venerazione per simili istituzioni. Da coloro che vogliono atteggiarsi a critici giudicando le cose solo da lontano e senza altro aiuto che il proprio criterio, ispirato spesso da falsi pregiudizii o da spirito di parte, sentii spesso chiedermi cosa mai possano fare di bene pochi individui che si sagrificano per andare battezzando dei selvaggi sia in Africa, sia in altre parti del mondo: per rispondere a questi e per difendere una causa che i fatti m'hanno persuaso essere santa, mi permetto una breve disertazione in proposito. Pur troppo ho visto qualche volta missionarii che si accontentano di appiccicare il titolo di cristiani a dei bambini ottusi, solo perchè bagnarono loro il fronte con dell'acqua benedetta, aggiungendovi la formola battesimale, oppure perchè credettero convertire degli individui col far loro luccicare avanti agli occhi qualche tallero, o collo spaventarli approfittando della loro ignoranza e mostrando loro degli ignobili dipinti che fanno vedere Maometto all'inferno fra le fiamme perchè mangiava un cristiano mattina e sera, oppure un leone che fra parecchi dormienti si avventa sul solo mussulmano che se ne sta fra cristiani; e schiettamente io pel primo ammetto che non si possono seriamente chiamare cristiane delle genti convertite con simili mezzi che mi permetto di chiamare immorali. Io crederei offendere Cristo presentandogli di tali fedeli, come sono convinto che con questo sistema nulla si può far di bene alla umanità, e si vilipende anzi la santità dello scopo. Apprezzo sempre l'abnegazione di chi si sagrifica per la causa di cui è convinto, ma prescindendo da questo merito tutt'affatto personale e presa invece a considerare la causa delle Missioni quando basano su tali principii, tenuto calcolo dei sacrificii, delle preziose esistenze, delle somme enormi che questa propaganda costa, e considerato il bene che ne deriva alla religione ed alla umanità, trovo che non regge il confronto coll'utilità che se ne potrebbe avere, usandone invece ad alleviare tante e tante miserie che pur sussistono fra noi.
Ma quando invece si prepara alla religione un fondamento di sviluppo intellettuale, si sveglia questa povera gente dal suo letargo di ignoranza, si fa loro vedere e toccar con mano di quanto bene possa esser fonte la civilità, si sviluppa l'industria e l'agricoltura, si aprono loro così la mente e gli occhi, e si migliora la loro condizione, si ottiene della gente che veramente ci ama e ci stima, ci crede, perchè ci vede capaci di un bene reale, e dietro questa si ispira ad amare e stimare chi ha ispirata in noi quella fede per la quale si abbandonò patria e famiglia per andare cercando il bene altrui, quel bene dal quale vedranno scaturire il loro nuovo benessere. Quando la propaganda si basa su tali principii, come fortunatamente si basa nel maggior numero dei casi, allora si prefigge ed ottiene uno scopo eminentemente utile e sacro, ed a questo proposito mi è caro poter ripetere qualche parola che pronunciava con me quel valente uomo che è M. Comboni, capo della Missione che risiede a Kartum e di la distende i suoi raggi in un orizzonte quasi sconfinato. «Bisogna che noi conosciamo, mi diceva, l'anatomia dello spirito degli individui per prepararli al cristianesimo; abbiamo pressochè delle bestie che bisogna rendere uomini prima di farne dei cristiani, perchè la civiltà e la religione devono baciarsi in fronte ed essere sorelle alla scienza.»
Nobili massime queste, e si può aver piena persuasione del quanto siano vere e praticate, quando si videro i sagrificii ai quali questi martiri si espongono, la rassegnazione colla quale li sopportano, l'entusiasmo col quale sono sempre disposti ad affrontarne altri. Una prova la si può avere leggendo il libro da poco pubblicato, delle Memorie di padre Beltrame, che fu compagno al Comboni nell'avventurarsi in quelle vergini contrade colla fede per guida e la croce per difesa.
Il giorno 19 essendo domenica, assistemmo alla messa, che fu per vero dire soggetto di distrazione più che di divozione; era detta da convertiti Abissinesi che recitano le loro orazioni nella lingua madre, e vestono una lunga pellegrina come anticamente si usava nel servizio religioso; i chierici erano pure indigeni e vestiti di rosso; le candele anch'esse nere, perchè fatte con cera del paese non purificata. L'insieme era assai originale.
Tutti i giorni e spesso anche la notte abbiamo accompagnamenti di canti e tamburi per qualche fantasia. Se ne fanno per nascite, per morti, per guarigioni, per matrimonii, per tutte le feste del loro calendario, e alle volte si continuano fin quindici giorni, per cui lascio immaginare che gazzarra continua. Padre Picard ci interessa sempre raccontandoci degli usi e costumi di queste popolazioni; per quanto il Governo egiziano cerchi far rispettare le leggi sue e far penetrare un po' di civiltà a modo suo, e dal canto loro le Missioni tentino od almeno sperino dissipare certe superstizioni, pure la maggior parte delle istituzioni, se così si possono dire, di questi popoli, sono talmente inveterate dalla tradizione, che a ben poco riescono gli sforzi di questi due civilizzatori.
Ogni villaggio riconosce come suo capo supremo e giudice colui che per merito o meglio per anzianità fu chiamato a godere della fiducia di tutti i compaesani, fra i quali ancora vige una specie di sistema feudale, cioè i plebei riconoscono la superiorità dei patrizii ai quali devono parte dei redditi, ubbedienza, soccorso e difesa a pericolo della propria vita in caso di necessità. Ogni padre poi ha diritto di vita, di morte o di vendere quale schiavo, se può farlo in barba al Governo egiziano, sui proprii figli, finchè hanno raggiunto i 18 anni, in cui sortendo di minore età, diventano padroni di sè stessi e con questo cessa la superiorità e la responsabilità paterna. Lo spirito di vendetta vi regna fortissimo e tale che un'offesa viene qualche volta ripagata della stessa moneta dopo qualche generazione.
Nel caso di morte di un capo o di qualche persona influente o ricca, la famiglia, gli amici e alcune donne espressamente chiamate e pagate e delle quali la professione abituale è molto comune in paese e meglio tacere, si radunano nella casa del defunto e fingendo piangere e disperarsi decantano le virtù sue, lo glorificano come brava persona, guerriero invincibile, forte, prode, amato, distinto nel maneggio della lancia e della spada, ecc., e terminano sempre col rallegrarsi, perchè oltre questo era ricco, quindi in sua casa si troverà dell'idromele, della dura, dei talleri, molta roba d'ogni genere e quindi si mangerà, si beverà, si farà buon festino.
Dopo ciò si lava il corpo del morto con acqua, che si conserva in un gran vaso, e quindi si fa il trasporto alla sepoltura sempre seguiti da tutto il corteo; dopo circa un mese altra funzione solenne con canti, gridi, suoni, abbondanti libazioni e sagrificii di buoi e montoni; si investe allora il primogenito dell'eredità e dei diritti paterni, e per questo lo si lava da capo a piedi coll'acqua conservata dalla stessa operazione fatta al genitore morto. Trattandosi di uomini tenuti in gran conto, dove fu sepolto il padre, deve essere sepolto il figlio, per cui bisogna alle volte operarne il trasporto attraverso monti e valli.
I matrimonii si fanno innanzi testimonii, e meno la lavatura, presso a poco colla stessa cerimonia dei funerali.
Noi non avemmo ad assistere ad un banchetto funebre, ma fummo invitati un giorno ad un eccellente pranzo nella simpatica ed originale fattoria del cordiale signor Costant, poi pensammo alle provvigioni per il ritorno, e la cosa che ci fu più difficile procurarci, fu anche la più semplice e la più necessaria, il pane, perchè qui tutti usano farselo in casa propria. Dovemmo procurarci della farina che affidammo ad un greco, che il giorno dopo ce la restituì convertita in tante pagnotte.
La mattina del giorno 20 i nostri camelli ci stavano aspettando nel cortile, per cui fatti i convenevoli e i dovuti ringraziamenti coi nostri ospiti, ci avviammo alla casa di Costant, dove si uni a noi il signor Jules Nevière, uno dei due giovani francesi che vivono a Kalamet e che ora ritorna alla sua solitaria dimora dove ci invitò di far sosta. Ingrossata così la carovana, giriamo l'altura su cui è il forte, e scendiamo a raggiungere in pochi minuti il letto del torrente Ansaba, che ci sarà guida fino al passaggio della catena ove ha origine. Attraversiamo dapprima qualche terreno