Abissinia: Giornale di un viaggio. Giuseppe Vigoni
e si festeggia la guarigione con un festino generale. Il segreto, invero, di questi miracoli sta in ciò che anche quelle donne sono capricciose come le nostre signore, e la malattia è spesso un desiderio non soddisfatto dal consorte, e lo star meglio comincia quando l'amore della pace in famiglia fa che questi porta o manda la promessa di soddisfare i capricci della moglie.
Mariam, la ragazzina del guardiano della nostra casa è occupata tutta la giornata a far farina triturando grani di dura fra due pietre: ne forma poi una pasta che cuoce in un forno alquanto originale. Un otre rotto al fondo è sepolto col labbro a fil di terra: a poca distanza un foro praticato obliquamente nel suolo comunica col basso del vaso, formando così una gran pipa, che dà luogo alla corrente d'aria necessaria a ravvivare il fuoco acceso nell'otre: quando questo è così riscaldato se ne levano le brage e Mariam appiccica alle pareti le manate di pasta che possono quasi dirsi focacce: turato il foro nel suolo e applicato il coperchio all'otre e ben chiuso all'ingiro con pezzole bagnate, non riapre che quando la pratica le insegna che deve esser cotto questo pane che, con qualche cipolla od un po' di pesce, molto abbondante qui, forma il nutrimento di tutta la famiglia.
Siamo nella stagione invernale, e ad onta di questo la temperatura varia fra 28° e 30°: è questo forse il punto più caldo nel Mar Rosso che passa per essere una delle località più infuocate nel mondo: sono qualcosa di terribile le descrizioni che ci fanno dei mesi in cui non si può aver respiro nè giorno nè notte, sempre oppressi da un'afa soffocante e accesa.
Gordon pacha ha telegrafato gentilmente che si lasci passare tutto il nostro bagaglio, per cui lo trasportammo a palazzo e le nostre camere hanno assunto un aspetto ancora più originale: casse e cassette in ogni angolo, fucili e armi d'ogni genere appesi alle pareti, corde tese con abiti e biancherie, in mancanza di armadii, angareb, brande e amache che funzionano da letto, casse disposte a tavolo od a sedile, un vero disordine pittoresco. Fra noi, chi scrive, chi legge, chi prepara armi e munizioni per una prossima caccia, chi fa un po' da servo alla propria roba, chi, e forse il più benemerito fra tutti, lavora a preparare il pranzo: compagni non ne mancano, che è un continuo andirivieni di gente che col solo movente della curiosità vengono a trovarci colla scusa di offrirci qualcosa od offrire loro stessi in qualità di servi per accompagnarci nel nostro viaggio: tutti dovrebbero essere pieni di meriti e conoscere appuntino tutta quanta l'Africa: abbiamo poi coinquilini dei piccioni coi loro nidi, nidi in fango di grosse vespe, pipistrelli, lucertole, topi, e degli altri è forse meglio tacere...
Una delle mancanze che più si facevano sentire era quella di una tavola, per cui avendone vedute due in una piazza andammo in cerca del rispettivo proprietario per noleggiarle, ma per buona fortuna fummo avvertiti ancora in tempo che erano di uso pubblico, cioè si trasportavano a domicilio quando ne era il caso, per stendervi e lavarvi i morti: tanta è l'abbondanza di mobiglia in queste case.
Le giornate erano abbastanza monotone per cui combinai con Ferrari una gita di caccia all'estremità sud della baia: noleggiata una filuka (barca del paese), vi portiamo le nostre provviste di acqua dolce, pane, burro, sale, pepe, confidando molto pel resto nei nostri fucili, e spiegata la vela volgiamo la prua a mezzogiorno: cosa sia la nostra imbarcazione di disordine e di costruzione, non si può farsene un'idea nemmeno prendendo a tipo le peggiori barche dei nostri pescatori. Abbiamo un reis o capo arabo che con tutta maestria ci guida nella giusta rotta serpeggiando fra cento secche, e quattro ragazzotti che hanno tutta l'aria d'essere scolpiti in un bel pezzo di ebano. Oltrepassando l'isolotto di Scek-Said la nostra ciurma intuona una preghiera, specie di rosario di cui il reis dà l'intonazione, a suffragio dei morti che vi stanno sepolti e ad invocazione di felice viaggio: il vento rinforza, la barca piega su un lato, qualche ondata ci innaffia, il mio buon Ferrari guardando terra pretende sarebbe meglio percorrere a piedi la costa, ma felicemente in un paio d'ore siamo a buon porto, e quando credevamo di essere in pochi minuti a terra, vediamo tutto d'un tratto calar la vela e ci troviamo arenati: la marea è bassa e il fondo ancora più basso, quindi è forza ultimare il nostro tragitto alquanto umoristicamente trasportati per qualche centinajo di metri sulle spalle dei nostri marinari, trascinando i piedi penzoloni nell'acqua.
Avevamo allo sfondo un'alta montagna, quella che ci fu guida nella traversata, avanti a questa una catena di colline che venivano man mano abbassandosi fino a dileguarsi in un piano inclinato che si protende al mare: qui dovevamo fare le nostre prove di caccia, e nel breve tempo che ancora restava al tramonto riportammo qualche lepre che ci fornì un eccellente pranzo: le molli arene ci offrirono un soffice giaciglio per la notte. Il giorno dopo eravamo alzati ben prima del sole e percorremmo tutto il piano e le prime alture: il suolo è tutta arena, sparso di detriti di quarzo e di tufi: poca erba vi alligna, molti cactus, acacie a foglia verde o grigiastra, qualche euforbia, parecchi cespugli tutti spinosi: in complesso la vegetazione è piuttosto meschina per la grande siccità che vi dura parecchi mesi dell'anno, e solo in qualche punto basso si scorgono folte macchie verdi circondate da sterili praterie in cui trovano appena di che vivere poche capre o camelli. Otteniamo dai pastori del latte, che ci viene presentato entro vasi fatti con scorze di alberi intrecciate, quindi internamente intonacati con sterco vaccino, certo non a perfezionamento del gusto del contenuto, nè a gran soddisfazione di chi lo beve. La caccia vi è per altro piuttosto abbondante ed oltre moltissime lepri, pernici, faraone, trovi gazzelle, antilopi, cignali, jene e l'inseparabile sciacallo.
Il giorno di Natale si avvicinava e ne prendemmo occasione per mostrare la nostra riconoscenza ai Naretti e ad altri che ci andavano usando delle continue gentilezze, invitandoli a passare con noi quelle ore che s'usa in questo giorno riunirsi in famiglia attorno ad una tavola. L'invito è accettato; a noi dunque a disimpegnarci; chè per pranzare, sia bene sia male, ci vogliono fatti e non parole. Ci demmo dunque a girare dalle conoscenze mettendole a contributo per avere piatti, posate, bicchieri, casseruole, tavoli, sedie e tutto quanto l'occorrente. Si decorò una delle nostre camere dipingendone le pareti, a carbone e mattone pesto, cogli stemmi delle nostre principali città e decorandole con trofei delle nostre armi e componendo di facciata all'entrata un artistico gruppo di due ritratti del nostro Re e della nostra Regina circondati da una bandiera tricolore. Alle finestre si appesero dei lampioncini e al centro un lampadario che la nostra immaginazione ci ajutò a comporre con traverse di legno che sostenevano delle bottiglie vuote destinate a portare le candele. Unimmo tre tavole che resero presso a poco di eguale grandezza alcuni pezzi di nostre casse aggiuntivi; coprimmo il tutto con due lenzuola di bucato, preparammo i coperti con posate che la ruggine faceva parere passabilmente uguali: nel centro una piramide di amaretti di Saronno, ai lati due ceste di banane giunte la mattina da Hodeida; sui davanzali delle finestre dei gruppi di eleganti bottiglie di liquori che qualche amico di buon cuore o qualche fabbricante illuso ci avevano date a compagne: sulla scala qualche altro lampioncino: nell'insieme un apparato fantastico e sfarzoso pel paese in cui siamo.
Due o tre giorni lavorarono fantasia e braccia per comporre il menu e prepararlo coi pochi mezzi che si avevano, dove non si può trovare che pura carne e qualche pesce; ma l'abilità del capo-cuoco, il Filippini, seppe disimpegnarsi discretamente.
All'imbrunire del giorno fissato arriva la processione degli invitati che si ricevono in corte, mentre si corre a dar fuoco alle candele, poi si da il segnale perchè la comitiva salga. Nella prima camera il Tagliabue aveva disegnato a carbone un medaglione con un immaginario re Giovanni, riconoscibile dall'iscrizione, che diede origine ai primi atti di stupore, che furono poi innumerevoli, quando sollevate le cortine si presentò la gran scena della sala del banchetto. L'arte culinaria del nostro compagno fu molto lodata, e i fatti constatarono che lo fu sinceramente e non per puro complimento: i vini d'Italia trovati squisiti, talchè il pranzo fu molto allegro e i brindisi assai numerosi. Era certo la prima volta che in Massaua si trovavano tanti Italiani riuniti, e la festa era tale che fece a parecchi dimenticare i bicchieri già vuotati, cui aggiunta la proprietà del Sassella e dell'Inferno di scaldare le orecchie e paralizzare le gambe, si ebbe una chiusura molto chiassosa e non scevra di incidenti abbastanza comici. Il servizio fu fatto piuttosto regolarmente alternando noi con un po' di disinvoltura la parte dell'anfitrione con quella del cameriere, non senza ritirare qualche volta un piatto sporco da destra per rimetterlo a sinistra, se non ve ne erano pronti di ricambio. In complesso gli invitati furono contenti e noi nella nostra modestia abbastanza soddisfatti, tanto più che, la mattina dopo, parecchi avevano le idee piuttosto confuse e una ricordanza