Gli 'ismi' contemporanei (Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitanismo). Luigi Capuana

Gli 'ismi' contemporanei (Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitanismo) - Luigi Capuana


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pure lui; com'esse, è lavorato dentro sordamente dai più alti problemi religiosi e sociali; e per ciò s'interessa di costoro fino a un certo punto. Artista, non può vedere il concetto altrimenti che come forma; ma, pensatore, vuole poi così spietatamente che quelle creature agitate e sconvolte dicano chiaro e aperto che non sono loro, soltanto loro, lo scopo di lui, ma l'intimo concetto che le anima; lo vuole così spietatamente, che all'ultimo le sforma, le strappa, le distrugge, e non permette che arrivino fino in fondo dell'atto quinto creature reali e vive quali le avea mostrate sin dalle prime scene.

      Intanto, invece di contentarsi d'intendere e d'ammirare l'opera dell'Ibsen, invece di limitarsi all'assimilazione dei perfezionamenti di forma ch'egli ha recato nella drammatica, si è voluto norvegizzare tutte le creature del teatro europeo, anzi cosmopolita.

      Il Tolstoi, il Dostoiewski appartengono a una razza che si occupa anch'essa del mondo interiore, e rimugina le proprie sensazioni, e si tormenta con i casi di coscienza. I tre grandi artisti rappresentano la concentrazione, la somma di queste qualità morali e intellettuali. Il Dostoiewski, inoltre, è un nevrotico, un perturbato, e nelle sue creazioni rispecchia lo stato irregolare della sua mente. Con essi la forma si è avvantaggiata dei pregi di sincerità, di rappresentazione evidente e vigorosa di cui hanno dato esempi meravigliosi. Non trovandosi però alle prese con i limiti e le convenzioni della forma drammatica, i tre romanzieri non sono stati costretti a sformare, alla fine, le loro creature per mettere in maggiore evidenza il loro intimo concetto; e così esse han conservato, più delle figure ibseniane, la loro caratteristica di pure opere di arte.

      Intanto, invece di assimilarsi quel che c'è di nuovo e di organico nella forma del romanzo russo, operando una confusione tra forma e concetto, è stata egualmente tentata la sciocchezza di russificare alla lor volta i personaggi del romanzo europeo.

      E passi per l'Ibsen, passi pei romanzieri russi! Nell'uno e negli altri il concetto ha preso vera forma; l'uno e gli altri hanno creato persone vive della loro nazione, del lor tempo. Il cosmopolitismo va più in là. Per quanto ossessi dei problemi di religione, di morale, di sociologia, i personaggi dell'Ibsen, del Tolstoi, del Dostoiewski sono figure vive, consistenti, e in che modo!

      Il cosmopolitismo non sa che farsene di queste figure vive e consistenti. Simboli! Astrettezze! Ecco quel che egli vuole, cioè cose che sono l'opposto, anzi l'assoluta negazione dell'arte.

      Il norvegizzare e russificare l'opera d'arte è stata insomma l'operazione preliminare del cosmopolitismo letterario, in Francia, in Germania e, pel poco che ha potuto, in Italia.

      Ora esso vuole andar oltre, è andato già oltre.

      Ha tutto un programma pieno di concetti che sembrano elevati, pieno di buone intenzioni da lastricarne non uno ma più inferni. E bisogna guardarlo da vicino, sviscerarlo per convincersi se mai si tratti di cosa seria, o piuttosto di aberrazione passeggera, o di risibile ciarlataneria che vuol mascherare coi paroloni un'irrimediabile impotenza creatrice.

      Sventuratamente forse si tratta di ben altro.

      III.

      —Ma dunque lei è un codino!

      —Niente affatto. Nessun nuovo ideale umano mi lascia indifferente. Ma qui si tratta d'arte, non di pensiero filosofico o scientifico.

      —Vorrebbe forse un'arte vuota di contenuto, forma soltanto?

      —Niente affatto. Tutto il contenuto possibile, a patto però che egli prenda forma vitale per via dell'immaginazione creatrice. Intendiamoci. Io odio le cose a mezzo, gli ibridismi. Il puro concetto, se mi occorre, vado a cercarlo nei libri dei filosofi o in quelli degli scienziati. Lì trovo la verità astratta o nuda, cioè quella che provvisoriamente sembra verità; e coi filosofi e con gli scienziati mi insuperbisco della divina potenza dell'intelletto umano, e insieme con loro mi umilio e mi scoraggio davanti all'infinità dell'Ignoto che riduce a ben misera cosa la nostra più profonda filosofia, la nostra più ardita e più meravigliosa scienza. Quando poi mi rivolgo all'opera d'arte, ricerco invece sensazioni, impressioni, caratteri, rappresentazioni nelle quali quel tal concetto filosofico o scientifico, prima ricercato altrove, può benissimo tornarmi dinanzi ma incarnato nella forma, divenuto uomo, donna, paesaggio, passione, azione; e incarnato in modo così perfetto, che io dovrò avere l'illusione di trovarmi faccia a faccia con questa nuova e più eccelsa Natura, e rifare intorno ad essa l'identico lavoro fatto dal poeta, dal romanziere, dal drammaturgo allorchè ricavavano dalla vita sociale il soggetto che li aveva prima commossi e poi spinti a riflettere. Insomma dovrò estrarre io, se sono capace, il concetto condensatosi nell'organismo dell'opera d'arte, e rimuginarmelo senza che il romanziere o il drammaturgo abbiano a fermarmi a ogni po' e picchiarmi la spalla con un:—Bada! Qui sotto c'è un gran pensiero; bada!—

      In questo senso, ogni grande opera d'arte è un simbolo: se non che divien tale spontaneamente, per virtù della propria natura intellettuale. Ma appunto per questo ella conserverà tutti i suoi caratteri particolari di tempo, di luogo; sarà prettamente italiana, prettamente francese, prettamente inglese, tedesca, russa o non sarà opera d'arte. Il cosmopolitismo invece toglie via, o tenta di toglier via, tutti i caratteri particolari, e per ciò intende ridurci al simbolismo forzato, al simbolismo artificiale.

      Prendo i due scrittori che mi è piaciuto mettere in riscontro nella questione dello stile, il Verga e il D'Annunzio, per non uscire di casa nostra. Tutti e due hanno un concetto filosofico, scientifico che serve di sostrato anzi di lievito alle loro creazioni.

      Nella serie dei Vinti, della quale abbiamo per ora soltanto due episodi—avremo il terzo fra poco—il Verga vuol studiare le diverse fasi della lotta pel benessere nella vita, e interessarsi specialmente dei deboli che restano per via, dei fiacchi che si lasciano sopraffare, dei vinti che levano le braccia disperate e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, dei vincitori di oggi, affrettati anch'essi, avidi anch'essi di arrivare e che saranno sorpassati domani. Dalla lotta per i più umili e più urgenti bisogni materiali, si andrà in su fino a quella elevatissima pei bisogni dello spirito, dove tutte le bramosie, tutte le vanità, tutte le ambizioni umane si condenseranno e diverranno più dolorose per la intensità acquistata lungo la loro corsa vertiginosa.

      Il romanziere ha dovuto esporre il suo concetto fin da principio perchè non poteva presentare tutt'a una volta la intera serie e non voleva correre il pericolo di essere frainteso o non capito.

      Ma appena ha terminato di esporlo, astrattamente, da pensatore, da sociologo, non ne ha più fiatato. Ha preso i suoi personaggi e li ha mandati pel mondo: povere creature per le quali una barca e un carico di lupini travolti dalla tempesta divengono disastro irreparabile; creature agitate dall'avidità di arricchire, di elevarsi oltre la propria condizione, e che incontrano nella stessa avidità e nella stessa ambizione soddisfatte il loro inevitabile gastigo. E queste creature si chiamano Padron 'Ntoni, Alessi, Zi' Crocifisso, Piedipapera, Mena, Maruzza, la Zuppidda; si chiamano Mastro Don Gesualdo, don Ninì, i fratelli Trao, la baronessa Bianca Trao; e tutte hanno il loro carattere spiccato, la loro individualità, nelle passioni, negli atti, nel linguaggio; e sono di quel piccolo scoglio di Aci Trezza, di quella cittaduzza siciliana della provincia di Catania, e ne incarnano così stupendamente i modi di sentire e di pensare, che non possono essere scambiate con persone di altre provincie neppure nella stessa Sicilia.

      Un senso di gran malinconia e di tristezza scaturisce dalle pagine di quei due volumi, ma quale scaturirebbe dalla diretta impressione, se quei personaggi e quelle azioni ci si fossero presentati, nella realtà, sotto gli occhi. Certamente, personaggi ed azione sono simboli, velami di idee; ma simboli vivi, che ignorano la loro qualità di simboli, e non si analizzano da per loro e non si spremono da per loro per cacciar fuori il succo del concetto che sanno di contenere.

      Il D'Annunzio vuol rappresentare _stati d'animo dei più complicati e più varii, di cui analista si sia mai compiaciuto da che la scienza della psiche è in onore. Egli tende l'orecchio alla voce del magnanimo Zorathustra e vuol preparare con sicura fede l'avvento dell'__Uebermensch__, del Superuomo._ E sta bene. L'un concetto vale l'altro. Sia la darwiniana lotta per la vita, sia la pessimista e aristocratica filosofia


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