Gli 'ismi' contemporanei (Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitanismo). Luigi Capuana

Gli 'ismi' contemporanei (Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitanismo) - Luigi Capuana


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prima spina sta nella frase: "Tutto questo l'Ojetti, lo sa meglio di me, ma non ha voluto tenerne conto… Scriveva per una rivista francese…" Scusi, scusi, amico mio; ma in Italia o in Francia io scrivo solo quello che penso; e a Venezia ho detto su l'inesistenza di una comune anima italiana e su la divisione morale e intellettuale che è fra le razze italiane e su la turpe invasione della piccola politica in ogni più sana terra d'Italia, cose che stimo vere e che domani scriverei in Francia con le stesse ardenti parole.

      E la seconda spina sta nella frase: "Io accetto il cosmopolitismo perchè voglio essere del mio tempo, perchè sono giovane."—E anche questa spina punge la mia sincerità e me la tolgo e la gitto via. Io constato il cosmopolitismo non lo difendo; io difendo solo l'idealismo e non perchè sia di moda, ma perchè risponde meglio al concetto che dell'arte mi son fatto dopo aver molto studiato e libri e pitture e musiche e filosofie. E, se sbagliassi, a tutto ella dovrà dare la colpa del mio errore, meno che alla mia sincerità, o (errore accettissimo!) alla mia gioventù! Se la frase "Mi vanto d'esser giovane" non chiudesse un nonsenso, sarebbe davvero da gridarla ai quattro venti a testa alta, vedendo quel che i vecchi hanno fatto della patria.

      E qui vorrei mostrarle la terza spina, ma non mi punge e la lascio dov'è. Sa che intendo? Quell'idea di riunire l'internazionale cui aspira il socialismo, all'arte cosmopolita cui molti scrittori aspirano. E se fosse? Certo è che on n'etouffe pas le feu avec de la paille.

      A lei sarebbe dispiaciuto che io non avessi chiusa la mia difesa con un po' di francese.

      Una stretta di mano sinceramente affettuosa dal suo

      San Giacomo di Spoleto, 13 maggio 1896.

      __Ugo Ojetti.__

      Ah, caro Ojetti! Dopo la sua risposta, io credo di avere più ragione di prima.

      La sua difesa poggia tutta sopra tre o quattro equivoci. Cosmopolitismo no (la prego di credere che questa parola non l'ho coniata io; si trova nei vocabolari della lingua italiana); Simbolismo, no; parola che, secondo lei, ha troppi sensi e tutti falsi. Idealismo! Se non è zuppa è pan molle. Vede? Io ragiono d'arte e lei mi risponde picche, cioè filosofia.

      Una delle due: o l'arte nuova, l'arte anzi dell'avvenire, si deve ridurre a trattati più o meno astratti di psicologia individuale, e allora non capisco perchè se n'abbiano a fare dei drammi e dei romanzi; o quel tal concetto psicologico individualista deve prendere forma incarnandosi in una o più persone, e allora non capisco la sua commiserazione per le persone vive mirabilmente disegnate dal verismo del Verga. Non sono forse creature umane anche quelle, quantunque nate negli infimi gradini della scala sociale? Non soffrono, non amano, non odiano, non appetiscono in modo che ogni uomo vi possa ritrovare qualche sentimento, qualche pensiero suo, una qualche immagine fraterna, e anche l'anima sua compresa come una goccia di acqua è compresa nell'infinito mare?

      Può darsi che m'inganni, ma io suppongo che loro idealisti siano diversi da quelle povere creature soltanto perchè la buona sorte, l'accidente e la volontà e i facili mezzi di cultura li hanno posti o fatti salire parecchi scalini più in su di esse.

      Hanno pure un ideale quelle povere creature, che è certamente il nucleo, la prima forma dell'ideale umano, ma non disprezzabile, non trascurabile, no, se è vero che niente sia trascurabile e disprezzabile nello studio di questa multiforme umanità.

      E quelle creature sa perchè io le chiamo persone vive? Non perchè sono esteriori, disegnate mirabilmente, ma perchè sono nello stesso tempo esteriori e interiori; perchè ogni loro parola, ogni loro atto rivela uno stato d'anima—passione, calcolo, brutalità, sentimentalità—e non già per indicare, come segno algebrico, il tale o tal'altro principio psicologico che passa pel capo dell'autore, ma perchè proprio continuano nel libro la Natura, perchè proprio portano in sè creata con tutti i mezzi dell'arte letteraria la particolar vita sensuale, sentimentale, intellettuale, di esseri umani collocati nel centro della vita universa, come vuole il D'Annunzio nella prefazione-programma da lei citata. Questo bel programma (accenniamolo di passaggio) il Verga nè altri hanno stimato opportuno metterlo in fronte a un loro libro; gli sarebbe parso d'insultare i lettori, supponendoli così ignoranti da non sapere cose elementarissime. Non le pare? I programmi bisogna lasciarli imbastire ai signori provveditori delle scuole. Gli artisti devono metterli in atto; e il lor dovere d'artisti, perchè, come diceva il buon marchese Colombi:

      Le accademie si fanno o pure non si fanno.

      —Noi creiamo dei tipi!—dice lei.

      Peggio per loro. Il tipo è cosa astratta: è l'usuraio, ma non è Shylock; è il sospettoso, ma non è Otello; è l'esitante, il chimerizzante, ma non è Amleto, e via via. Potrei facilmente moltiplicare gli esempi; ragionando con lei, basta un semplice accenno.

      Dei tipi? Ma tutta la letteratura moderna è la negazione di questo principio estetico classico, già sorpassato; lo afferma involontariamente lei stesso quando parla d'individualismo. L'arte, sissignore, oggi crea (quando riesce a crearli) individui non tipi. L'artista moderno si è convinto—e a questo convincimento l'ha indotto la scienza—che ogni creatura umana è un mondo a parte, immensamente ricco, immensamente vario, quasi altrettanto infinito quanto l'universo.

      L'arduo, il difficile sta nel penetrare, nello scrutare quell'abisso e illuminarlo con la viva luce dell'arte.

      Con lei, filosofo, posso anche permettermi certe formole metafisiche, e aggiungere: ogni individuo è il pensiero umano sotto una data forma particolare di carne, sangue, ossa, che è quanto dire di sensazione, di immaginazione, di riflessione. Il mondo non esiste e forse non può esistere altrimenti che con quella forma. L'ideale dell'albero, dell'animale, dell'uomo non l'ha visto nè lo vedrà mai nessuno; ma questo o quell'albero, sì; ma questo o quell'animale, sì; ma questa o quella creatura umana, sì. Dell'ideal mondo ragionino a lor posta i filosofi, che fanno bene ad astrarre; è il loro mestiere. Il mestiere dell'artista è l'opposto. Ogni artista dovrebbe poter dare la stessa risposta del Goethe a chi gli domandava qual concetto filosofico avesse egli inteso adombrare col Fausto:—Oh, io non son uso di poetare astrattezze!—

      Dei tipi! Ma le creature dell'arte diventano tipi da per loro, per intima virtù propria, quando riescono persone vive; e rivelano (senza volerlo, aggiungo io) nuovi significati della Vita, e problemi dell'Anima. E questo fanno—mi dispiace di doverla così apertamente contraddire—anche i contadini dei Malavoglia e i signorotti dei Vicerè. Non ci hanno pensato e non potevano mai pensarlo costoro—qui lei ha ragione; ci pensavano però, per conto di essi, il Verga e il De Roberto che li hanno creati di sana pianta, con lungo lavoro di osservazione e d'immaginazione e non con semplice meccanismo fotografico. D'immaginazione sopra tutto, dopo che il materiale, penosamente e diligentemente raccolto, si è organizzato nella loro fantasia e si è individuato in quei tali personaggi. Il nuovo ideale della Vita, il nuovo problema dell'Anima—tutte e due con l'iniziale maiuscola, come lei le scrive—sono stati precisamente le forze che hanno spinto quegli artisti a creare.

      Per questo tutto è condensato, tutto è concentrato, tutto è visto di scorcio nella loro rappresentazione narrativa. Nella realtà non è così; ed ecco in che modo l'Arte riesce ad essere una Natura più elevata, più purificata, idealizzata, come direbbe lei e come dico pure io.

      Nel Verga quel suo particolar ideale prende un senso di commozione, di pietà; nel De Roberto, diventa un atteggiamento di ironia contenuta, di spietata crudezza: senso e atteggiamento che s'intravedono, che s'indovinano tanto meglio, quanto più i personaggi e i loro atti, e i loro sentimenti sono esposti oggettivamente, e quanto meno si scorge che tali atti e sentimenti abbiano qualche relazione col pensiero individuale dell'autore.

      E questo, caro Ojetti, è individualismo, è idealismo dei più schietti e dei più sinceri. E quando io dico che nel D'Annunzio ciò non avviene, o avviene a intervalli, sì che l'organismo dell'opera d'arte ne soffre, non intendo biasimare l'elevatezza del concetto che vorrebbe informare i Romanzi della rosa e i Romanzi dei gigli. Intendo dire che vorrei meno rose e meno gigli sul frontespizio, meno programmi nelle prefazioni,


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