Gli 'ismi' contemporanei (Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitanismo). Luigi Capuana

Gli 'ismi' contemporanei (Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitanismo) - Luigi Capuana


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l'idea pagana del Rinascimento e l'entusiastico culto della bellezza del corpo umano, non importa. Quel che importa di vedere è se gli stati d'animo astratti siano divenuti persone, individui della tal città, della tal provincia; eccezioni, rarità quanto si vuole, ma rarità, eccezioni che debbono fare il miracolo di incarnare più schiettamente, più vigorosamente il carattere della razza, del paese dove son nati, perchè l'eccezione e la rarità consistono in questo.

      Io prendo in mano le Vergini delle Rocce e tento di scorgere questa rarità, questa eccezione organica, e non la trovo. Claudio Cantelmo ragiona, analizza, si esprime con lingua e stile elevatissimi; non sa muovere un dito senza distillare tutte le conseguenze più riposte e più misteriose di quella mossa; non può osservare le mani di una ragazza, senza che esse non gli sembrino come ricettacoli d'infinite forze innominate da cui potevano sorgere meravigliose generazioni di cose nuove. Ed eccolo invasato dall'idea di creare il tipo supremo dell'italiano, anzi il futuro Re di Roma!

      Dobbiamo supporre che questa persona, a cui sembra non sia ignota nessuna conquista della scienza positiva odierna, non intenda creare un essere umano con mezzi e modi diversi da quelli stabiliti dalla natura. Infatti non si rivolge al crogiuolo del chimico che crea, con sintesi, le sostanze organiche, per chiedergli di anticipare il miracolo scientifico preannunziato dal Berthelot; ma va in cerca di una sposa, di colei che dovrà essere l'eletta cooperatrice nella nobilissima impresa della reale generazione. Se non che, col pretesto che nelle razze di antica origine sangue, nervi, cervello siano necessariamente più raffinati, Claudio Cantelmo va a cercare la madre del futuro re di Italia in una famiglia, principesca, sì, ma composta di idioti, di pazzi, di nevrotiche, di isteriche. E non giudica a prima vista che di quelle tre ragazze estenuate, vissute lontane dalla società, nessuna potrà concorrere a formare la fibra nuova, vigorosa del rigeneratore del regno d'Italia; e va tastoni, ed esita e non arriva a decidersi.

      È forse creatura umana Claudio Cantelmo? Diciamo pure, se così si vuole, che sia un simbolo. Diciamo pure, con l'amico Rod, che le tre vergini Massimilla, Violante, Anatolia rappresentano non so quali altri simboli più reconditi e più profondi di quello di Claudio. I lettori spassionati confesseranno che queste tre preraffaellitiche figure li colmano di vivo piacere soltanto quando, di tratto in tratto, accennano di diventare o diventano persone vive; e che più viva di loro è la loro madre, la pazza principessa Montaga, la quale non ha missione, a quel che sembra, di rappresentare simbolo alcuno.

      Le bellezze, i lenocinii dello stile, caro Ojetti, risultano cosa molto secondaria, mera esteriorità, quando non diventano cosa organica con quel che costituisce la essenza della forma in un'opera d'arte.

      E il cosmopolitismo è costretto a rifarsi con la retorica—diciamo francamente la parola—rinunziando, per partito, al carattere particolare che dovrebbe imprimere in ogni opera d'arte la razza, la tradizione, il genio di ciascun popolo.

      I grandi intendimenti filosofici, scientifici, si riducono a lustre, a ciarlatanerie per chiappare il momentaneo favore del pubblico, se poi non riescono a creare persone vive. Omero, Shakespeare, Balzac, che avevano reni solide per la bisogna creativa, non andavano tanto per le vie traverse: mettevano al mondo creature immortali, non vuote parvenze. Ed Elena e Andromaca e Nausica daranno, fino alla fine dei secoli, da pensare e da discorrere più di qualunque nostro simbolo moderno; e Amleto ha fatto e farà scervellare filosofi e scienziati più che non abbia fatto e non possa fare una persona realmente esistita; e Madame Marneffe, e il Barone Hulot, e il Pére Goriot e il Cousin Pons, perchè creature vive, iscritte con inchiostro indelebile nel registro dello stato civile dell'Arte, si prestano compiacentemente a fare da simboli con Elena, con Amleto, con tutti gli altri loro pari. E come no, se l'opera d'arte è pensiero condensato in una forma viva, il quale può benissimo venir di nuovo ridotto alla sua primitiva essenza di puro pensiero?

      —Ma il cosmopolitismo non l'ho inventato io!—può dirmi l'Ojetti.—È un fatto storico contemporaneo. Io lo accetto; perchè voglio essere del mio tempo, perchè sono giovane, perchè il mio cervello affollato di concetti filosofici, scientifici, non può funzionare più, come nelle età infantili, barbariche, da pura immaginazione e gingillarsi con semplici fantasie. Con l'arte nuova noi vogliamo rifare il mondo. =E libro lux=, non ha sentito? ha detto il D'Annunzio. E io non ho creduto d'ingannarmi aggiungendo che l'opera letteraria =Lux= sia appunto la trilogia delle Vergini delle Rocce. La odierna letteratura italiana, o meglio la nostra produzione letteraria è fuori di questo movimento, e quasi non ha ragione di esistere. Per l'avvenire? Ripeto quel che ho scritto nella Revue de Paris: "assai prima che si formi tra noi una letteratura italiana, avremo anche in Italia una letteratura europea."

      Ah, egregio Ojetti, io voglio mostrarmi più radicale e più cosmopolita di lei! E siccome una cosa o è quel che dev'essere o non è niente; e siccome un'opera d'arte non può essere altro che pensiero incarnato in una forma viva, così io credo che noi assisteremo in tal caso alla solenne agonia dell'Arte. Troppa riflessione, troppa scienza positiva ci pervade ogni fibra. L'opera d'arte che pretende di usurpare le funzioni della filosofia e della scienza non caverà un ragno dal buco. =E libro lux=, sì, sì; ma questo libro (ed è giusto che sia così) non lo scriverà un artista. Io, per mio conto, mi contenterei che qualcuno dei nostri artisti ci desse—vede come sono poco esigente?—di quando in quando, in Italia, un nuovo Don Abbondio!

       Amen.

      IV.

      Ugo Ojetti mi manda ed io pubblico volentieri:

      LA DIFESA DI EMPEDOCLE

      (Lettera aperta a Luigi Capuana)

      Amico mio, come ella sa, un suo conterraneo il filosofo Empedocle d'Agrigento, stanco di operar miracoli e di discutere sui quattro elementi, quattrocento anni prima di Cristo si gettò a capo fitto nel maggior cratere dell'Etna per assicurarsi tra gli increduli fama divina.

      Secondo quel che narrano i suoi tre cortesi articoli, io che sono un poco filosofo ma non ho operato miracoli mai, mi sarei gittato dall'alto della Revue de Paris nella ardente voragine del Cosmopolitismo (la parola è tutta sua, non è mia) proprio per acquistarmi un po' di fama tra gli increduli che in Italia sono molti.

       …Deus immortalis haberi Dum cupit Empedocles ardentem frigidus Aetnam Insiluit.

      Ora, per mostrare ai suoi lettori che ancora son vivo e non mi son bruciato manco un capello, mi permetta di risponderle qualche parola.

      Io credo—questa è la mia impressione concisamente e francamente—che i suoi tre articoli che si chiudono con un deprofundis all'Arte vinta, mutilata, asservita dalla scienza positiva, sarebbero stati non solo giusti, ma profetici, per lo meno quindici anni fa, quando per Arte si intendeva l'Arte naturalista, materialista Zoliana (la chiami come vuole), quell'arte che in Italia apparve vestita da siciliana nel Mastro don Gesualdo, nei Malavoglia, e—perchè non dirlo?—nelle sue Paesane.

      Adesso, amico mio, le sue idee su l'arte—perchè noi in questa discussione tocchiamo proprio i culmini dell'estetica—hanno contro di loro i fatti compiuti, e non solo compiuti ma constatati da filosofi come il Guyan, come il Brunetière, come il Fouillée, come il Gosse, come l'Hennequin, e anche come il Tolstoi: fatti compiuti e constatati dagli stessi avversarii. Ieri, quando è giunto qui nel mio eremo d'Umbria il suo ultimo articolo, mi giungeva pure il Rome che Emilio Zola mi mandava da Parigi. E per lei che è stato ed è uno dei capi dei naturalisti italiani (in fondo son tutti capi e tutti siciliani, loro naturalisti) quel solo libro nell'intenzione e nel fatto deve valere più di tutte le mie argomentazioni. Non è vero?

      Questo periodo è suo; Come lo Zola disse della letteratura francese: Sarà naturalista o niente, l'Ojetti oggi dice dell'italiana: Sarà simbolista o niente, o meglio: "Sarà cosmopolita o niente".

      I due termini del paragone, lasciando stare per comodità di discussione la gigantesca altezza dell'uno e la piccola statura dell'altro, non si corrispondono affatto, malgrado quel suo o meglio il quale mostra che ella stesso scrivendo non li trovava molto adatti alle nozze. Prima di tutto io nego recisamente


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