Storia degli Esseni: Lezioni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni: Lezioni - Benamozegh Elia


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perchè gli Esseni esistevano veramente, dunque è dimostrato che gli Esseni sono Cristiani.—Dante, quando nell’VIII canto del Paradiso volle parlare di Sigieri, che insegnato aveva logica in Parigi, disse di lui che nel vico degli Strami

      Sillogizzò invidïosi veri.

      Io non so in qual vico abbia sillogizzato il Baronio. Certo che i suoi non sono invidiosi veri; piuttosto invidiosi falsi. Io potrei, a combattere il Baronio, valermi degli argomenti del Basnage; ma non me ne valgo per la ragione semplicissima, che credo un solo il vero, il massimo degli argomenti, e questo non lessi scritto in alcun luogo. Non dirò con Basnage al Baronio: badate che la rete del vostro dilemma, non abbia in alcun punto a smagliarsi; badate che la setta degli Esseni non era numerosa, e quindi può essere passata inavvertita; che il ritiro in cui vivevano li sottraeva al rumore, alla pubblicità, e quindi agli affari ed alla conversazione degli uomini. Ciò non dirò perchè credo questi argomenti insussistenti; perchè credo che le sètte, le scuole, non si contino ma si pesino, che non valgano per quantità ma per qualità; perchè credo che il ritiro negli Esseni non fosse così assoluto quanto si vuol far credere; perchè credo che il ritiro, la solitudine, serva talvolta a farti più rimarcare, e come oggi si dice, a farti brillare per la tua assenza; e perchè, finalmente, il non imbarazzarsi nelle faccende altrui, non è sempre infallibile preservativo onde tu non sia molestato, accadendo infinite volte che per quanto tu ami cansare piati o litigj, pure tanto frastuono e baccano ti fanno d’intorno, che sei costretto finalmente a metter fuor dell’uscio la testa per chiedere di grazia che cosa si voglia del fatto tuo. E per questo non vo’ che il Baronio abbia facil vittoria dei miei obbietti. Piuttosto vorrei sapere in qual guisa non siasi degnato nemmeno considerare una terza alternativa, la quale rispettando la storia e spiegando il silenzio degli Evangelj, non costringa per questo a cristianizzare il grande istituto. E qual è l’alternativa in discorso? È la possibile, la pensabile identità dell’istituto Essenico con uno di quelli che il Vangelo rammenta, e che vissero cogli Esseni ad un tempo, coi Sadducei, cogli Scribi, cogli Erodiani, coi Farisei, con una insomma di quelle sètte di cui è menzione negli Evangelj. Io credo, e voi già da un pezzo il presentite, come il più bello e più grande resultato delle nostre conferenze, la dimostrazione perpetua di queste mie lezioni, sarà il ritorno dell’Essenato in grembo a quella scuola più vasta che ha nome dai Farisei; e questa identità, la ragione, la storia, l’eloquenza dei fatti ci faranno debito di consentire. Ma se per noi è dovere di ammetterla, pel Baronio era dovere il discuterla. Perchè non la discusse? Perchè propose dilemma che non è dilemma? È inutile il cercarlo. Il perchè voi già lo sapete, perchè voi già ripeteste con me le parole di Dante.—Il Baronio, come Sigieri, ma in senso molto diverso Sillogizzò invidiosi veri.[22]

      E non solo il Baronio, ma moltissimi altri vedeste sotto quel vessillo raunati. Quali sono le loro prove? Io ve l’esposi di già ad una ad una, e ad una ad una verranno qui invocate in giudizio. Si parlò di gerarchia, si vide tra quella dei Terapeuti e quella dei Cristiani analogia di nomi, di officj, di organismo. Che vuol dire ciò? Vuol dire, dicono gli avversarj, che i Terapeuti sono Cristiani: vuol dire, aggiungo io, che questi tolsero a imitare i Terapeuti, in quella guisa che tutte le idee e istituzioni, e il sacerdozio e i riti e tutto, tolsero ad imitare dell’Ebraismo; vuol dire almeno che Terapeuti e Cristiani, sendo da un corpo solo concetti e partoriti, offrono tra loro quelle affinità di sembianze che sono proprie dei fratelli, dei consanguinei. Ma non è sola la gerarchia: si citano le guarigioni miracolose, si dice che proprie furono dell’una setta e dell’altra, dei Cristiani e dei Terapeuti; e da questa comunanza la identità si conclude dell’uno e dell’altro. Parvi che rettamente concludasi? Io credo fermamente che a questa stregua, che a questa misura, poco meno di mezzo mondo diverrebbe Cristiano; che il diverrebbero i Dottori, i Farisei grandi taumaturgi, come ognuno conosce; che il diverrebbero i sacerdoti pagani, che di simili guarigioni andavan superbi; che lo diverrebbe Vespasiano, di cui si narra la portentosa restituzione della vista ad un cieco mercè la saliva; che il diverrebbe Apollonio Tianeo, che circa quel torno empieva il mondo dei suoi miracoli. Ma più ci dicono: vi è di più; vi è la repartizione dei proprj beni ai poverelli, vi è l’erario comune o, in termini moderni, il comunismo, quale si praticava dalla Chiesa Cristiana. Ci chieggono; vi par cotesto argomento che basti? Sì, io rispondo, se la povertà volontaria fosse nata col Cristianesimo, e pria e fuori di esso non se ne vedessero gli esempj. Sì, se il monacato Buddistico, se i Bonzi, se i Fachiri non lo praticassero in Oriente. Sì, se tutto lo stato ebraico non fosse stato una spezie di pacifico comunismo, il cui alto proprietario o signore supremo era Dio. Sì, se i dottori non ce ne offrissero l’esempio proprio siccome quello che nei Cristiani si ammira; e se, finalmente, il Cristianesimo non potesse aver tolto anche quest’idea in prestanza all’antico Essenato. Che diremo poi dell’amore, delle allegorie, della esegesi mistica che si cita per quarto? Sarà egli più stringente argomento dei suoi confratelli? L’esegesi mistica! Ma l’esegesi mistica era il vezzo, era l’andazzo, era il gusto comune dei tempi d’allora. Lo era presso i pagani, quando si accostavano a spiegare i capolavori dei loro poeti; lo era presso i dottori, e le traccie ne durano immense, ne durano sensibilissime nei grandi monumenti che ci trasmisero, dove ad ogni piè sospinto ti si accalcano in folla le allegorie, le parabole, i miti, le tropologie, infine tutto quello che la veste esteriore costituisce delle dottrine riservate, e come dice Gioberti, della scienza acroamatica dell’Ebraismo. Dovremo noi soffermarci ai digiuni, alle macerazioni, che si dicono comuni? Noi questo solo diremo, che se digiuni e macerazioni dovessero essere assunti a criterio d’identità, l’origine degli Esseni non dovrebbe a lungo cercarsi, perchè bella e pronta noi l’avremmo tra i dottori trovata, ove in un ramo soltanto, notate bene, in un ramo soltanto della loro scuola, tali si vedono prodigiosi e prodigati digiuni, da disgradarne le più raffinate macerazioni della Tebaide. Sarà egli più felice argomento il celibato, che qual distintivo comune a provarne s’invoca l’identità? Il celibato, per ciò che riguarda gli Esseni, non può essere inteso assolutamente ma parzialissimamente; quindi non prova. Quanto ai Terapeuti, che sono gli Esseni Egiziani, il fatto corre alquanto diverso; epperò il raziocinio offre alquanto più del verosimile. Ma quanto a veder bene non è fallace! Non tanto perchè i Terapeuti non praticassero il celibato, chè veramente il praticavano, ma sopratutto (curiosissimo a dirsi!) perchè i Cristiani allora nol praticavano, perchè tempi eran quelli ancor distanti dal fervor religioso che spinse gli uomini nei chiostri, nei cenobj, nei romitaggi; perchè Paolo allora bandiva, dovere il vescovo vivere senza colpa colla donna sua; insomma, perchè il celibato cristiano non era ancor nato.

      Gli argomenti a favore sono caduti: adesso cominciano gli argomenti contrarj: la guerra difensiva è terminata, adesso si vuol prendere energicamente la offensiva. Quali sono di oppugnazione le armi? Sono parecchi pensieri, e tutti serj, e tutti stringenti. Ella è, in primo luogo, le tendenza di ogni parte, di ogni setta osteggiante ad appropriarsi quanto vi ha di bello e di buono nella setta, nella parte rivale. Dante è guelfo per i guelfi; è ghibellino pei ghibellini. Maimonide è cabbalista pei cabbalisti, è antimistico pei loro nemici. Aristotile, Platone ed altri ancora, se fossero stati conosciuti, sarebbero stati dai nostri dabben proavi, giudaizzati e colle debite forme circoncisi. Seneca fu battezzato da S. Paolo, o da chi per esso, e tanto eco ebbe di sua conversione la fama, che la tesi fu trattata di recentissimo innanzi l’illustre Accademia Parigina in un libro che vide poi per le stampe la luce; nè di questo dirò più sillaba, avendone io a dilungo parlato, in una lettera che or sono alcuni anni, pubblicava l’Educatore. Nè agli Esseni incolse dissimile ventura. Parevano così santi, così dotti, così esemplari, che non si potè più a lungo tollerare il loro Ebraismo. E così un bel giorno furono presi e fatti Cristiani; come Cristiano fu fatto Giuseppe, come Cristiano fu fatto Filone, e come Gamliel e come Akiba furono debitamente cristianizzati e in terra santa seppelliti nella chiesa di S. Francesco di Pisa.

      Ma di queste fole più non si parli. Diciamo piuttosto di argomenti più serj. E serissimo, a parer mio, è quello che si trae da Giuseppe e Filone[23] Io già ve lo dissi, Giuseppe e Filone furono i due scrittori che tolsero con qualche diffusione a narrare della scuola, delle dottrine degli Esseni; e l’ultimo in spezial modo, che due interi libri dettava a descriverne lo istituto, oltre quelle diffuse nozioni che qua e colà sparse si trovano per avventura nelle opere rimanenti. Or bene, Giuseppe e Filone non sono soltanto gli storici, gli espositori, i descrittori del grande istituto, ma ne


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