Storia degli Esseni: Lezioni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni: Lezioni - Benamozegh Elia


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signor Frank siccome quel vero, che mestieri non ha di esser provato.

      Voi lo udiste; voi vedeste con quanta urgenza di prove l’illustre autore innalzi tra Palestina ed Egitto tale una muraglia, rispetto alla quale, quella famosissima della Cina ti pare un trastullo. Che credereste ora che faccia il sig. Frank? Egli crede citare la massima delle prove, e cade invece, se così è lecito pensare di un tant’uomo, nel massimo degli equivoci. Egli cita in prova della non avvenuta comunicazione tra Palestina ed Egitto, il silenzio dei Rabbini intorno gli Esseni, intorno i Terapeuti. Perchè, egli chiede, perchè questo silenzio? Perchè gli Esseni, ei dice, origine avevano egiziana, e nulla che fosse egiziano dai Rabbini si conosceva.—Sogniamo o siamo desti?—È egli il sig. Frank che tale profferiva sentenza? E pure, dovuto avrebbe ad una piccola circostanza avvertire, che tutta avrebbe mandata a soqquadro la sua argomentazione; ch’è quanto dire, avria dovuto avvertire, che se la ragione può valere pei Terapeuti dimoranti in Egitto, non lo può in nessun modo pegli Esseni in Palestina stanziati; pegli Esseni che viveano tra le stesse mura e sotto gli occhi stessi dei dottori, i quali se non ne fecer menzione, a tutt’altra cagione bisogna imputarlo, che non a quella della pretesa origine egiziana. La quale origine egiziana tuttochè fosse vera addimostrata, nulla avrebbe impedito che dai dottori gli Esseni si conoscessero, e di essi a dilungo favellassero, siccome quelli che comune con essi avevano e patria e soggiorno e convivenza. Che se non lo fecero, non ci dite, di grazia, perchè traevano dall’Egitto la origine; chè così dicendo, offendete, non ch’altro, il più comunale buon senso.—Ma che dico il buon senso? Dovrei dire la vostra istessa teoria, il vostro sistema istesso d’isolamento, di separazione dell’Egitto. E come no? Voi dite gli Esseni Egiziani. E bene sta. Ma dove abitavano cotesti Esseni? Abitavano pure in Palestina; dunque di Egitto trasmigrati si erano in Palestina, o almeno le idee loro dall’Egitto passate erano in Palestina, perchè uomini od idee, nel caso nostro, è tutt’uno. Ma se passarono, se dall’Egitto trasferironsi in Palestina: che segno è? È segno che questi rapporti da voi negati, esistevano veramente. È segno che le dottrine cabbalistiche possono avere quelle stesse vie percorso, che lo Essenato percorse. È segno che tutto l’apparecchio dialettico da voi posto a sostegno della autonomia, della originalità cabbalistica, ruina ad un tratto. È segno che coteste due cose da voi sostenute, non possono insieme capire. È segno che bisogna scegliere, che bisogna ottare.—Volete gli Esseni derivati d’Egitto? Ed allora non negate tralle due regioni i rapporti. O meglio vi talenta ricusare tra Palestina ed Egitto ogni legame, ed allora rinunziate alla origine alessandrina dello Essenato. Volere e l’uno e l’altro, è al di sopra di ogni creata possanza: stare, per così dire, sulle due sponde a cavallo, è opera più che umana; conciossiachè del solo colosso di Rodi, si narri poggiare ad un tempo i suoi piedi sulle due opposte rive. Ma il colosso di Rodi è favola meglio che storia. E bene, o miei giovani, se ne accorse quel perspicace intelletto del Munk, il quale nella sua Palestina (a p. 519) tali parole dettava sul conto del Frank, le quali comecchè di gentilezza condite, non lasciano per questo di contenere l’avvertenza che noi al signor Frank dirigiamo. «Sembra, dice, in verità avere il signor Frank indebitamente negletto l’officio che gli Esseni ponno aver sostenuto, quali mediatori e sensali, tra l’Egitto e Palestina.»

      Questa si chiama conseguenza, e noi volentieri la ossequiamo, quale diretta e legittima illazione del principio da ambidue consentito, cioè della origine alessandrina dell’Essenato. Noi possiamo però separarci dalla costoro sentenza, senza per questo incorrere nella taccia di contraddizione. Noi neghiamo col signor Frank la comunicazione tra Palestina ed Egitto; ma neghiamo altresì ciò ch’egli non fa veramente, cioè la origine alessandrina dello Essenico istituto.[21]

      Io vi dissi che gli argomenti dal signor Frank invocati a sostegno della autonomia cabbalistica, militavano con non minor urgenza in favore dell’autonomia degli Esseni. Giudicatene voi stessi.—Ignoravano, egli dice, i dottori di Palestina, i loro confratelli di Egitto. In qual guisa le scuole pagane avriano conosciuto? Non è egli, io aggiungo, cotesto validissimo argomento in favor eziandio della originalità degli Esseni? Ma più. La lingua greca, dice il signor Frank, era in onore: sì, ma appo gli Israeliti di Palestina non era però familiare. Vedete, egli aggiunge, vedete Flavio che pure nella scienza pagana ci sembra tra i coetanei il più erudito. E pure, chi il crederebbe? è Flavio stesso che ne depone, è la sua confessione, sono le sue parole: Mestieri egli ebbe di chi nella greca favella lo erudisse, quando prese a dettare le sue istorie.—Mestieri ebbe di porsi al fianco tale, che nella lingua dei Greci quelle nozioni possedesse, di cui egli era digiuno. Mestieri fu che le istorie sue al costui sindacato sottoponesse.—Non basta. Flavio non recita sol di sè stesso la confessione, ma la ignoranza egli autentica altresì di tutti i suoi contemporanei, i quali al dire di lui poco in generale delle lingue curandosi, poco eziandio coltivavano lo idioma dei Greci; e se l’idioma, dice il Frank, era così trascurato, come potevano meglio conoscere le dottrine in esso idioma vergate? Bene, a parer mio, argomenta il signor Frank, e non meno bene noi stessi argomentiamo.

      Io torno e domando. Avvi nulla in questo raziocinio che a capello non si acconci alla istituzione degli Esseni? Avvi nulla che più manifesto resulti della loro autonomia?—Ma più oltre spinge il signor Frank la intrapresa argomentazione, e più oltre con esso noi pure procederemo. Che cosa dice il signor Frank? Poniamo, egli dice, che la lingua si conoscesse. Poniamo che queste materiali difficoltà che noi vedemmo frapporsi alla comunicazione dei due paesi, non esistessero; mettiamo anzi, che liberamente le idee alessandrine in Palestina circolassero, e quelle di Palestina nello Egitto avessero accesso. Sarebbe per questo più probabile l’adozione delle dottrine dei Greci tra gli Ebrei, tra i dottori di Palestina? Lo nega il signor Frank per ciò che le dottrine cabbalistiche concerne, ed ha ragione. Chiama il Frank a rassegna, e concludenti ed infiniti sorgono alla sua voce, fatti, assiomi, decreti, anatemi, che tutti attestano concordi l’errore, la repugnanza in cui si avevano tra i dottori antichissimi le dottrine dei Greci. Egli chiarisce assurda, impossibile la pretesa consecrazione di teorie forestiere; egli restituisce alla teologia cabbalistica i suoi titoli, la sua ingenuità, la sua cittadinanza.

      Io credo che niente più grecizzante sia il nostro Essenato, il quale, come vi accennai sino dall’esordire, tra le più distinte file si reclutava del nostro dottorato; che n’era, a così dire, il substratum, la quintessenza, il patriziato, e quindi doveva tutte parteciparne le viste, tutte le repugnanze. Finalmente, vi ha un argomento al quale come ad ultima ratio ricorre il signor Frank; nè male veramente si appone, sendo questo, e per esso e per noi, decisivo. Egli è l’argomento cronologico. Prova il Frank che R. Iohanan Ben Zaccai, grande Patriarca della misteriosa Mercabà, molto tempo innanzi fioriva che una scuola si schiudesse in Alessandria, che un solo filosofo vi facesse udire delle sue dottrine la voce. E non solo R. Iohanan Ben Zaccai, ma un dottore ad esso posteriore, R. Gamliel, quella scuola alessandrina precedette di tempo, conciossiachè da lunga pezza egli fosse già morto quando i primi albori spuntavano di filosofia nella città di Alessandria. Or bene (cosa meravigliosa e pur vera!), non si avvide il signor Frank, che questa stessa cronologica repugnanza si oppone a dirittura a qualunque preteso rapporto tra l’Essenato e gli Alessandrini; che questa anteriorità ch’egli a buon diritto conferisce ai dottori sulle scuole di Alessandria, di gran lunga maggiore, vantano meritamente gli Esseni, siccome quelli che, a confessione del medesimo signor Frank, erano, come attesta Giuseppe, generalmente conosciuti non solo ai tempi superiormente indicati di R. Gamliel e di R. Iohanan, ma in tempi assai più per antichità ragguardevoli, ch’è quanto dire ai tempi di Gionata Maccabeo, quando 150 anni dovevano ancora passare pria che di Cristiani si parlasse, pria che le scuole alessandrine risuonassero di quelle dottrine, che si vogliono generatori, balj del grande Essenato. E questo è argomento che davvero vi sembrerà categorico. Nè ciò basta.

      Quando più saremo innoltrati nelle presenti esposizioni, molte cose vedremo che a confermare varranno la impossibile derivazione straniera del grande istituto degli Esseni. Vedremo la loro forte e rigida organizzazione, i gelosi insegnamenti, le lunghe prove, le incomunicabili dottrine, la perpetuità, la immutabilità dei dettati e tutto; insomma, vedremo quello che costituisce una forte, un’autonoma personalità, ove il genio spicca della originalità anzichè della imitazione, del profondo e concentrato sentire anzichè della espansione, della interiorità anzichè della esteriorità. In una parola, noi vedremo come non solo tutti gli


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