Storia degli Esseni: Lezioni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni: Lezioni - Benamozegh Elia


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ed esercitava congiuntamente. Naturale nelle infinite vestigia che di essa reca il Talmud, e tutta l’enciclopedia rabbinica dei primi secoli; arte se volete meglio che scienza, cieco empirismo anzi che principj e metodiche deduzioni, ma pure, o signori, tutti di medicina gli officj e tutte le parti; prodigiosa però in quelle guarigioni portentose taumaturgiche che sono, a così dire, uno strascico dell’Èra profetica, e che l’impero rivelano non del tutto dismesso dell’uomo perfetto sovra le forze create, che la Genesi augurava sin da principio (Genesi I, 28).[13] Ora, questa duplice Terapia, quest’uso simultaneo di mezzi così dispari, di semplici e di scongiuri, di virtù naturali e di angeliche potestà, questa terrena e celeste farmacopea, ella è, sappiatelo a dirittura, ella è il più vistoso, il più manifesto distintivo della scuola che togliemmo a studiare. Non è da ora, o miei giovani, che a noi è dato il vederlo; ma verrà tempo, e non è lontano, in cui queste cose ci saranno manifeste. Vedrete gli Esseni a questa duplice Terapia dar opera solerte; li vedrete studiar sulla natura, sulle virtù dei semplici e sulla composizione dei farmachi; li vedrete studiosi sui libri della recondita Medicina dagli avi loro trasmessa; li vedrete in una parola Esseni in tutta la forza della parola, che è quanto dire Medici—Medici, risanatori per eccellenza.

      Questo è il primo senso in cui si dissero gli Esseni medicatori e Terapeuti. Ma non vi fu un altro, che il primo immensamente sopravanza in altezza, in nobiltà? Sì, vi fu; e tanto il primo trascende per ogni verso, quanto l’animo il corpo trascende, quanto la sanità, la purità e la interna armonia dello spirito, quelle vincono di gran lunga che il frale riguardano. Gli Esseni non furono soltanto i Medici del corpo, ma Medici si dissero pure dell’animo umano. Era egli cotesto nuovo officio, nuovo vocabolo nella lingua religiosa dell’Ebraismo? Dite piuttosto che era antichissimo; che la Bibbia rigurgita di simili esempi; che lo spirito non meno che il corpo fu sempre dall’Ebraismo considerato siccome un ente che a tutte le vicissitudini soggiace, buone e triste, della vita; che ha la sua salute, le sue infermità, le sue crisi, le sue cadute, le sue ristorazioni, e quindi una vera e propria scienza mediatrice. Ma dite piuttosto che univoci attestano di queste idee predominanti i Profeti; che lo attesta Davide quando chiedendo la remissione delle colpe, e la rigenerazione dell’animo suo, chiede farmaco e guarigione, Guarisci l’anima mia, chè a te peccai;[14] che il Perdono è da Isaia dichiarato qual suprema sanatoria;[15] che lo stesso Isaia parlando nel nome di Dio, ci presenta il peccatore amnistiato qual malato medicato e guarito[16], che lo attesta, infine, Geremia e quasi al sommo reca la forza dell’argomento, quando il Profeta istruttore chiama col nome istesso di Rofé, Medico; e farmaco dice per avventura e teriaca preziosa la dottrina di lui.[17] Sono elleno men di questi frequenti, meno di queste eloquenti le prove che dai Rabbini si traggono? Hanno eglino con manco predilezione usate in questo senso traslato, in questo senso metaforico l’idea, il vocabolo di Medicina e i suoi derivati? Sarebbe ignorare assolutamente dei Dottori la fraseologia, il disconoscere di questa Idea, di questi traslati, gli esempj parlanti. Volete sapere che cosa sono le religiose dottrine per i nostri Rabbini? Sono potentissimi cardiaci pei cuori infermi; sono collirj pegli occhi oftalmici, e antidoto, in breve, efficacissimo contro ogni malore. Ho io bisogno di avvertirvi che così magnificando delle religiose dottrine i privilegi a tutt’altro intendevano che ad una vera e propria virtù curativa? Voi già comprendete, o signori, a che cosa si allude. Si allude sotto il corpo allo spirito, si mira a traverso le infermità corporali, a quelle infermità che affliggono la parte migliore di noi medesimi: all’occhio della mente ottenebrato, al cuore fatto recesso d’ogni vizio. Che più, o signori? Se un dottore trova agli ignoranti della legge difesa nel dì della Resurrezione, egli chiama questo trovato Medicina, e trovai per loro guarigione nella legge:—se il pregio si vuol accennare trascendente di uno studio disinteressato, Farmaco si dice cotesto di vita Eterna, Sam haim; come tossico mortale si dice il suo contrario, ch’è quanto dire ministero religioso sostenuto per argento, Sam ammavet. Che volete di più? Non solo è il linguaggio tal quale ve lo descrivo, non solo idee siffatte di Terapia ricorrono ad ogni tratto, e più che non dissi ne riboccano gli antichi rabbinici monumenti; ma ciò che infinitamente si lascia dietro ogni prova, ciò che è lo specchio vivo e parlante dell’Essenato salutare e medicativo, è l’attitudine esteriore—sono le forme curiosissime, sono gli atteggiamenti espressivi, parabolici, figurativi, che prendeva talvolta il dottorato insegnante. Avete udito d’Isaia che seminudo percorre le vie di Gerusalemme, ed in sè raffigura gli Ebrei da esso vaticinati, che fuggono dalla spada babilonese? Avete mai letto di Ezechiele che, in realtà o in visione, si giace or da un fianco or da un altro, e i cibi ingolla che l’umor satirico divertirono per lungo tempo del filosofo di Ferney? Or bene—non dissimili da queste immagini parlanti ci offre talvolta il dottorato mimiche rappresentazioni, e la medicina n’è il subbietto. Vedete questo rivendugliolo che, andando attorno per i villaggi che coronano Sippori, non rifinisce di gridare a squarciagola e quasi con piglio ciarlatenesco—chi vuol della vita lo elisire, venga e compri? Man bae lemizban sam haim. Chi è costui e quale è il mirabilissimo specifico che proferisce? È un farmacista, dice semplicemente il Medrasce, e nulla dell’esser suo aggiunge di più. Ma il farmaco che cosa è? Il farmaco ve lo darei in mille a indovinare. Pure se punto vi cale saperlo, salite qui.—Il pseudo farmacista è già nelle stanze entrato di un dottore il quale affacciatosi al noto grido, gli fece cenno dalla finestra, salisse pur su, che un confratello avria trovato con cui alternare i saluti e le soavi parole. Che cos’è, o gentil farmacista il Farmaco che tu ci vendi? Alla quale domanda ratto trasse fuora un salterio che sottopose agli occhi del dottore, dove questi detti si leggono significanti—chi è l’uomo che ami la vita, che giorni chiegga per esser felice? La lingua sua guardi dal male, le labbra dalla menzogna, ec. (Vaicra Rabba, sez. XVI.) Ecco il farmaco vantato. E pure, qual vero e proprio farmaco lo bandiva per terra e castello. E pure, a quel grido gran calca fattaglisi intorno di incettatori, la innocente frode per avventura disvelava, e testo prendeva di là ed occasione a moralizzare le turbe, in quella guisa che il fondatore del Cristianesimo ci dipingono gli Evangeli andando attorno per le campagne e le moltitudini accorrenti concionando di tratto in tratto dalla sommità di un poggio.[18] Vi pare che sia abbastanza decisivo cotesto esempio? E pure una circostanza vi manca sapere, ed è la più concludente. E quale è, o signori? É il nome vero, il vero ufficio e il vero carattere dello pseudo farmacista. Già voi sospettate che qualche cosa di più nobile sotto i panni si asconda del cerretano: già i fatti presenti parlano troppo in favor mio; ma la provvidenza ci serbava ancor più.—Per una di quelle singolari coincidenze che nei libri rabbinici si dànno in mille volte, ciò che implicito rimase nel Medrasce, trovammo esplicito nel Talmud; ciò che col nome fittizio, supposto, quivi si designa di Rohel, col vero e genuino nome si accenna nel Talmud. In una parola, nel fatto stesso, ma più brevemente dal Talmud raccontato, il Rohel non è più Rohel, il cerretano non è più cerretano, ma è un vero e proprio dottore, un vero e proprio Fariseo, nomato Alessandro.

      Aveva io ragione quando diceva, il concetto che suggerì l’appellazione di Esseni, profonde, vaste gettare le radici nei Profeti e nei Rabbini, nella Bibbia e nella tradizione? Io credo, e non è troppo presumere, che queste prove da sè basterebbero. E pure non sono le sole; vi sono analogie, vi sono concetti, vi sono appellazioni non dissimili nell’istesso paganesimo. Che dire della Biblioteca Egiziana? Domandatene ad Orapollo e poi a Bossuet, che la narrazione ne riferiva. Essi attestano concordi, come le Biblioteche si chiamassero in Egitto con nome che in quella lingua suonava medicina dell’anima. Domandatene Diodoro Siciliano. Egli parlando del sepolcro di Osimandia, vi dirà che tra gli appartamenti di quel palazzo era una sacra Biblioteca alla quale queste parole soprastavano incise: Medicina dell’anima. E per ultimo, le buone ragioni si guadagnarono i buoni autori;—la buona causa trovò buoni avvocati che la difendessero. S. Epifanio, che conobbe il vero, e amore del nuovo trasse fuori del cammin dritto; il sig. Munk, che nella Palestina alla interpretazione nostra fa ossequio; il Salvador, che esplicitamente vi assente nella grandiosa sua opera J. C. et sa doctrine, ed altri molti che sarebbe lungo annoverare; tutti intesero egualmente nel vocabolo di Esseni quel concetto di sublime, di superlativa Terapeutica, che noi v’intendemmo; tutti vi prestarono ferma e ragionevol credenza: a guisa del ver primo che l’uom crede. Ella è, infine, una deposizione il cui valore non sarebbe possibile dissimularsi. Non è da ora che non possiamo insistere sulla identità originaria degli Esseni coi Cabalisti. Sull’autorità di


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