Amedeide. Gabriello Chiabrera
cadavere onorevolmente accompagnato alla chiesa di S. Jacopo de' Minori Riformati, e nell'arca della sua famiglia deposto; ma nè la moglie, benchè agiata ed erede del marito, nè gli amici, nè il Comune pensarono mai a onorarne la tomba. Lelia sopravvisse fino al 1647. Il testamento del Poeta ha la data del 3 febbrajo 1634; quello della sua vedova, del 5 maggio 1640: ambedue ricevuti in Savona dal notajo Marcantonio Castellini. Qui porrò fine alle notizie di GABRIELLO CHIABRERA, principal vanto di Savona, gloria della Liguria ed ornamento d'Italia.
ANNOTAZIONI ALLA VITA.
[1] Benchè il Chiabrera non dica per qual motivo Giovanni suo zio abitasse in Roma, io credo poter affermare che ciò fosse per ragione di commercio. Certo è che Augusto fratel naturale del Poeta maneggiava in Roma la dote di Lelia; e maneggiare qui significa mercanteggiare. Lelia era di casa Pavese; e che i Pavesi eziandio tenessero negozio in Roma, è cosa notissima. Sappiamo similmente che al commercio applicavano nella capitale del mondo cattolico i Siri, ragguardevole famiglia di Albisola. Erano speculazioni commerciali di banco, che non offuscano la nobiltà, secondo che dimostra il Conte Napione nella sua dissert. sulla patria di C. Colombo. Ma il Chiabrera che voleva comparire nelle Corti, non ha parola, da cui si ritragga il negoziare de' suoi, i quali sopperivano coll'industria alla strettezza del nostro territorio. E a dirla schietta, io penso che pure a motivo di negozj fosse in Roma all'età del Chiabrera un ramo degli Spotorno; e l'argomento dal vedere che la casa avevano a Ripa grande, e la sepoltura in S. Francesco a Ripa, come insegnano le iscrizioni che vi si leggono tuttavia.
[2] Il marchese Maffei nell'Arte magica dileguata riferisce che il dotto P. Lebrun nell'opera des pratiques superstitieuses ebbe fede a colui che gli riferì «come suo padre e sua madre per sette anni erano stati inabili, e che una vecchia ruppe il maleficio e li lasciò liberi.» E qualche chiesa particolare di Francia, non mai la Romana, lasciò trascorrere ne' Rituali diocesani alcun cenno di tali malie per inabilitare gli sposi.
[3] Molte di queste notizie si trovano nel Viaggio per la Liguria del sig. Bertolottì; ma e' le trascrisse assai fedelmente dal tomo IV. della Storia Letteraria Lig.
[4] Abbiamo i Sermoni del Chiabrera corretti sovra d'un testo a penna ed illustrati, Genova, 1833 in-12.º e in-8.º per gentil cura del chiar. Prof. Ab. Rebuffo che intitolò quest'edizione all'illustre suo amico Prof. Bertoloni.
AMEDEIDE
POEMA
Con gli Argomenti
DELL'AVVOCATO
GIAMBATISTA BELLORO
SAVONESE
CANTO PRIMO
ARGOMENTO.
Di Rodi Angel divino alla difesa AMEDEO chiama, e 'l guida in sul naviglio; Ma l'empia Aletto allor da tanta impresa De' suoi temendo l'ultimo periglio, Alla stretta città novella offesa Sveglia Ottomano a far, col suo consiglio; Ed egli di Sultana il cor piagato, La mostra vuol veder del campo armato.
I
Musa, ch'alme corone al crine adorno
Tessi di stelle, e di bei lampi ardenti,
E dal Cielo, ove fai dolce soggiorno,
D'ammirabile spirto empi le menti,
Di' d'AMEDEO, come da Rodi intorno
Tolse il furor de le nemiche genti,
Quando a' Cristiani altar porgendo aita
Il feroce Ottoman trasse di vita.
II
E Tu, ch'alto adoprando, ampio sentiero
T'appresti, o CARLO, a le magion stellanti,
Mentre pur sali, e nel vïaggio altiero
Belle orme imprimi, odine lieto i canti;
Non perchè 'l corso del real pensiero
Spronar tu deggia del grand'Avo ai vanti;
Non è mestier: così spedito, e franco
Voli a le mete eterne unqua non stanco.
III
Scorgi sol, ch'agli Eroi sacra corona
Dassi in Parnaso; e lo sperar sia certo,
Ch'un dì cetra immortal lungo Elicona
Temprerà Febo al tuo sì nobil merto:
Bene alto in terra d'AMEDEO risuona
Il giusto affanno in guerreggiar sofferto;
Ma più sublimi inverso il ciel tue lodi
Allor n'andranno: or dà l'orecchio a Rodi.
IV
Chi mosse in prima, e per pietà soccorse
Quei tanto afflitti, e guerreggiati regni?
Il gran Batista; Egli ver Dio sen corse
Forte pregando, e mitigò suoi sdegni.
Per le colpe di Rodi in ira sorse,
Ch'avean d'ogni pietà varcati i segni,
E guardava su lei con fronte carca
Di ben giusto furor l'alto Monarca.
V
Già d'acerbi guerrier tutte cosperse
Avea l'aspro Ottoman piaggie, o pendici,
E già sforzando le difese avverse,
De le mura abbattea gli alti edifici.
Ma non Giovanni rimirar sofferse
Senza conforto i popoli infelici,
E sperando impetrarne alcun perdono,
Di Dio sen venne a l'ineffabil Trono.
VI
Ed ivi ardente, come amore invita,
Parlò cosparso di pietà ben vera:
Alto Dio, la cui forza alta infinita
Non mai per ira i peccator dispera,
Che 'n lor miseria i Rodiani aita
Sperin da tua mercè per mia preghiera,
Etti palese; e s'io per lor procuro,
Di non spiacerne a Te son ben sicuro.
VII
Eterno Redentor, tempra i disdegni,
E di tua gran bontà cresci gli esempi;
Non dar popoli tuoi, non dar tuoi regni
A' tuoi nemici abbominati ed empi;
Quante rie ferità, quanti atti indegni
Su gli aitar forniransi, e dentro i Tempi?
Quante vergini piè verransi a meno?
Deh Dio, deh stringi a la giustizia il freno.
VIII
Così