Cantoni il volontario. Garibaldi Giuseppe
meglio far niente che far male.—Nei miei scritti io quasi esclusivamente narro de' morti; de' vivi meno che mi sia possibile, attenendomi al vecchio adagio, «che gli uomini si giudicano bene dopo morti.»
Stanco della realtà della vita, ho creduto di adottare il genere
Romanzo storico, stimando far bene.
In ciò che appartiene alla storia, credo d'esserne stato l'interprete fedele, almeno quanto sia possibile d'esserlo; poichè, massime negli avvenimenti di guerra, si sa quanto sia difficile il poterli raccontare con esattezza.
Circa alla parte romantica, se non ci fosse la storica, in cui mi reputo competente, e se non mi sentissi provocato dall'insofferenza dei vizi e nefandezze del pretismo e suoi protettori, io non avrei tediato la gente in un secolo in cui scrivono romanzi i Guerrazzi ed i Vittor Hugo.—Infine, propenso alla tolleranza, io scrivo più in odio al male, che affligge l'odierna Società, che agli uomini che la rappresentano colle denominazioni di ministri di Dio e della Corona.
Caprera, 15 dicembre 1869.
G. GARIBALDI.
CAPITOLO I.
CANTONI IL VOLONTARIO.
Ce n'est pas vrai qu'aux rois nous ayons fait l'aumone:
Nous servions l'Italie, nous ne servions personne.
(Autore conosciuto)
Bello come l'Apollo di Fidia¹, come Milone di Crotona robusto², Cantoni, il coraggioso volontario di Forlì, destava l'ammirazione universale degli uomini quando alla testa de' suoi militi assaltava il nemico d'Italia, e quella delle donne,—e le donne sì che sanno apprezzare il bello e valoroso uomo. Sulle donne dunque egli esercitava quel delizioso fascino contro cui non varrebbero le gelose mura degli harem³, custodite dalle guardie di Neri e dagli Eunuchi del severo despotismo orientale, quel fascino che lega al destino del suo idolo la più debole, la più forte, la più virtuosa, la più depravata. ma comunque la più perfetta delle creature con cui Dio abbellì la famiglia degli esseri animati su questa terra.
¹ Esistente nel museo di Roma. ² Milone che con un pugno uccise un bue. ³ Negli Harem i Turchi tengono le loro donne.
Vi sono degli uomini, ai quali per quanto cara ti sia l'esistenza, l'affideresti come alla madre che ti portò in grembo.—A cotesti il cane fido di casa tua non abbaja; i tuoi bimbi, che lo videro per la prima volta, si rovesciano tra le sue ginocchia implorandone una carezza. Fidente nella virtuosa sua amicizia, tu non sei geloso della tua donna. Guai al protervo che attentasse di denigrare la tua riputazione in sua presenza!—E se giammai l'avversità amareggiasse l'anima tua, l'amico dividerà teco il suo pane e ti mostrerà gratitudine per averlo preferito nella sventura.
Tale era Cantoni, figlio prediletto delle Romagne, il volontario Cantoni, volontario e non soldato; egli serviva l'Italia, e solo l'Italia o la causa de' popoli oppressi; egli serviva l'Italia Nazione non i suoi reggitori, più o meno tiranni, più o meno prostituiti allo straniero.
Finita la guerra, Cantoni tornava alle delizie del suo campo non vasto, ma bastante alla sua esistenza, perchè lo coltivava con energica solerzia, perchè a Cantoni bastavano i frutti del suo sudore per soddisfare i propri bisogni.—«Conformandosi alla propria condizione non si è mai poveri» questa era sentenza che egli aveva imparato dall'onesto suo padre e che giammai non dimenticava.
Invano, innamorati della bella e marziale figura dell'Achille Italiano, i soldati di mestiere lo avevano accarezzato per attrarlo nella loro confraternita, indorata, grassa, pieghevole col potente e coll'oppresso proterva. Egli aveva rintuzzato la bramosia dei moderni bravi, che per soddisfare i molti loro bisogni furono obbligati di piegare la cervice ed il ginocchio davanti al nuovo e più potente feudalismo, di cui l'Europa altro non è che un appannaggio.
Il soldato di mestiere ha sacrificato sull'altare del ventre ogni sentimento onesto. Egli non deve, non può aver volontà, chè il padrone pensa e vuole per lui. Il soldato ubbidisce: il cittadino si deve legare, fucilare, sia pure l'amico, il fratello, il padre… Il soldato di mestiere conosce un sentimento solo, una sola legge: ubbidire!—Lo straniero calpesta la terra italiana, beve il vino italiano, stupra le fanciulle italiane,—una mano di prodi insofferenti di vergogna affronta le soldatesche d'un esoso tiranno, e pugna e muore perchè poca e male armata… il soldato italiano dall'alto dei colli (ove il padrone col più astuto gesuitismo lo ha collocato col pretesto di custodire l'onore italiano, ma in realtà per far da sgherro ai propri concittadini, ed abbandonarli soli alle mani con soldati stranieri), il soldato italiano, dico, contempla l'inegual pugna, dice d'essere commosso, ma non può dividere le glorie ed i pericoli dei fratelli, perchè al padrone vendette la propria libertà.—Esso ubbidisce!—E quando gl'Italiani giacciono affamati, egli ubbidisce al padrone che vietò loro l'ingresso del pane… Ubbidisce al padrone intercettando armi e munizioni ai militanti italiani, e quando questi, sudanti, spossati, sconfitti, sono cacciati dallo straniero, il soldato italiano ubbidisce incarcerandoli…
È pure umiliante di dover ubbidire sempre, anche quando vi ripugna alla coscienza! Sotto un governo eletto, la disciplina è non solo necessaria, ma onorevole. Non così sotto un governo imposto, ove la sorte della nascita vi dà irrevocabilmente un padrone.
Anche il volontario ubbidisce; ma quando è spinto dalla causa santa del suo paese, o dall'umanità, allora l'ubbidienza è sacra!
La patria è in pericolo, umiliata, vilipesa, i volontari accorrono da ogni parte della penisola, nè un solo capace di portar le armi deve mancare.—Il nemico è battuto, il pericolo scomparso, il volontario torna al suo focolare a lavorare al suo campo o ad attendere ad altre occupazioni che devono fruttargli la sussistenza.—Egli nelle veglie della sera racconta a' suoi cari la privazioni, i pericoli, le pugne indurate a pro' dell'Italia, e colla fronte alta dice: Io nessuno ho servito, ma il mio paese!
Com'è bella la vita dell'uomo indipendente! E per esserlo, basta conformarsi alla propria condizione. Ma i vizj, l'amore dell'oro e delle gozzoviglie conducono l'allettato sibarita all'umiliazione, alla dipendenza ed al vituperio.
L'Americana Nazione ha dato negli ultimi tempi un superbo esempio per il milite cittadino. Un formidabile esercito, d'oltre un milione di soldati, dopo d'aver liberata la patria, torna ai suoi focolari, ed i generali di quel brillante esercito ripigliano, senza nulla esigere, le loro antiche professioni coll'onesto guiderdone e soddisfazione dell'anima d'aver fatto il proprio dovere.
CAPITOLO II.
ALLE FILIGARI.
Passiamo presto e sulla punta dei piedi
quel monticino di fimo e di sangue,
che si chiama Papato.
(GUERRAZZI).
Era una sera d'autunno; sulle cime e sul pendio orientale dell'Apennino fioccava la neve. Nel cielo non si scuopriva una nube, perchè opaco plumbeo e grigio dal riverbero delle argentate colline.—Il soffio temuto della Bora¹ udivasi come un lamento della sventura tra le secolari piante della foresta. E quel lamento era sovente frammischiato al rumore di passi di un cavallo che da Bologna per la strada di Firenze si dirigeva alle Filigari².
¹ Vento da Greco. ² Villaggio al confine dello Stato Pontificio verso la Toscana.
O notte tetra, fredda, terribile, come eri bella! come allettante per
il giovinetto che batteva la via per raggiungere un pugno di
Volontari, che nell'osteria delle Filigari ebbero dal Governo
Pontificio il divieto di penetrare sul territorio Romano!
Quel giovine era Cantoni—Cantoni