Mia. Memini

Mia - Memini


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Il giardino era, come dissi, ricchissimo di fiori. Sulla spianata, a ridosso della facciata principale, una doppia gradinata, bipartendosi lateralmente da una fontanina, saliva, sino alla terrazzina del primo piano, mettendolo così in comunicazione diretta col giardino. Quelle due scalinate avevano una fisonomia gentilmente teatrale d'idillio, colle loro barocche ringhiere ammantate da fitte diramazioni di rosai, di serenelle, di caprifoglie; era come un'invasione di fiori, intenti a dar la scalata alla casa.

      Peccato che la finestra del terrazzino fosse sempre chiusa!

      Dietro c'era una bellissima stanza da letto, tutta parata in raso celeste. Quella era la camera matrimoniale del Principe e la Milla v'era nata ma egli non ci metteva mai piede, nè permetteva che alcuno l'abitasse.

      Milla dimorava in un'altr'ala della casa. Aveva anch'essa uno stanzone grande e ricco e il suo piccolo lettuccio pareva ancor più piccolo in quella severa vastità d'ambiente. Ma, come a correggere l'esiguità di quel lettuccio di bimba, accanto a questo s'accampava maestoso l'ampio letto ove stendevansi pudicamente ogni sera, l'ossea carcassa e le forme allampanate della rispettabile Miss Rhoda Spring, la governante inglese della Principessina. A dire vero, Miss Spring non faceva grande onore al suo poetico nome. La primavera di quella degna signora era da più anni compiuta ed era difficile persino il ricordo delle mammolette e del ritorno delle rondini davanti a quella formidabile persona, così maestosamente, così intrepidamente brutta. Con tutto questo Miss Spring era un angiolo insulare di zitellona, buona, ingenua, candidissima; ma nel villagio e nella tenuta non godeva le simpatie dell'universale. Abituati a stimare altamente le razze di cavalli inglesi e a pregiare sovra ogni altra, le puledre venuto dall'Irlanda, quella brava gente non poteva capacitarsi come una compaesana, per esempio, di Lady Rowena (quella famosa morellona che aveva portato via il premio all'Esposizione di Roma) potesse essere così brutta, e avere dei piedi cosiffatti, e una faccia smorta, che pareva il muso d'una cavalletta. Il male era che, per l'appunto, il Principe aveva scritto a un suo amico a Dublino di mandargli una cavalla così e così. Infatti avevano viaggiato, si può dire, di conserva, ma, giungendo, non avevano incontrato per nulla lo stesso aggradimento. Il che non vuol dire però, che non avessero entrambe fatta, ciascuna a modo suo, eccellente riescita: Rowena era l'idolo della scuderia, e Miss Spring era l'idolo di Camilla.

      A dirla schietta, non ci voleva poi gran che per diventare l'idolo della Milla. Il suo cuoricino di bimba aveva un grande bisogno di voler bene.

      E in quella baraonda di casa, fra quell'andirivieni di gente, esclusivamente occupata di cavalli e dove l'elemento femminile non era rappresentato che dalle guardarobiere o dalle mogli dei fattori e dei palafrenieri, una donna che si occupasse della bambina, che le usasse certe cure, doveva, senza fallo, occupare un posto importante nell'animo suo. Milla poi aveva un benedetto carattere.... Si affezionava presto, con un grande ardore, che durava, nutrendosi del proprio elemento, esaltandosi, raffinandosi, facendosi sempre più scevro d'egoismo. Oh! come aveva amata quella zoticona della sua balia, rimastale vicino sino a che ella avesse raggiunto il settimo anno! Che pianti, che disperazione quando dovette lasciarla! E ora, ecco, il suo amore era Miss Spring!

      Certo; Miss Spring era proprio una buona donna, e anch'essa s'era affezionata assai alla Milla.... Credeva in piena buona fede di far l'educazione di quella creatura.... darling Milla! Ma in realtà darling Milla si educava da sè sola, colla dolcezza infinita, soave del suo carattere, col suo ardente bisogno di voler bene. Non faceva immensi progressi nello studio, era molto timida, e non era punto furba; ma questo cosa importava?....

      Il signor Principe aveva raccomandato di non seccarla troppo, povera piccina, con tutte le storie in ia...; non si curava affatto d'aver una bambina prodigio, e d'altronde era di parere che una donna ne sà sempre abbastanza. Ond'è che Milla passava sole poche ore del giorno nel salotto così detto di studio, e quando il tempo lo permetteva, lei e Miss Spring vivevano all'aria aperta, a passeggio o in giardino. Anche il medico aveva suggerito di far così; e realmente, nulla poteva tornar più giovevole alla salute della bambina. Miss Spring prediligeva l'ombra fitta e fresca degli ipocastani; a mezzo il viale, dal lato del giardino, il Principe aveva fatta fabbricare una specie di capanna rustica con dei banchi e qualche seggiola, e questo era il quartier generale della governante e dell'allieva. A destra, a capo al viale, la casa; a sinistra, in fondo al viale, il cancello sempre aperto; dietro il giardino; davanti, il muro basso, rossiccio, interminabile delle scuderie.

      Quanta gente ci viveva su quel lusso delle scuderie! L'allevamento era una fonte continua di prosperità e di guadagni per la popolazione di Astianello, e quasi tutte le braccia valide vi trovavano sicuro impiego. E come andavano superbi di appartenere alla tenuta del signor Principe! I cavallanti, poi, in ispecie formavano quasi una corporazione privilegiata, dove la successione si trasmetteva di padre in figlio. Avevano la riputazione d'essere esperti, arditissimi, anche un po' temerari, se si vuole. Li chiamavano i diavoli d'Astianello, ed essi erano lusingatissimi della loro denominazione e si sforzavano di farle onore, cavalcando sempre di carriera, portando il berretto in un modo speciale e usando un certo linguaggio, pittoresco all'estremo, che strappava degl'innumeri shocking! dalle labbra smorte di Miss Spring. Ma i cavallanti, forse perchè non capivano il pudico valore di quella parola, non ristavano dall'infiorare i loro discorsi di quelle energiche locuzioni. Era un'abitudine, un vezzo come un altro; probabilmente essi eran persuasi che ciò contribuisse assai al chic della professione. I più giovani naturalmente esageravano questa pretesa; tra i ragazzi poi, i cavallantini in erba, era una cosa terribile. Bisognava sentir Drollino, per esempio! Era per l'appunto il ragazzo più taciturno della tenuta; ma le poche parole che diceva eran tutte moccoli.... proprio tutte!

      Che tipo curioso quel Drollino! Veramente si chiamava Pietro, ed era figlio d'uno dei più bravi cavallanti della tenuta. Le consuetudini del dialetto della provincia avevano alterato il suo nome, allungandolo: ne avevan fatto, Pedrolo. Senonchè, per distinguerlo dai molti altri Pedroli e dal padre stesso, che si chiamava pur egli così, il nostro Pedrolo diventò Pedrollino; poi, per abbreviare, si disse Drollino. Egli portava bene quel nome spiccio. Era un ragazzeto sui dieci anni, magrissimo, con una faccia fina, piccola, espressiva, abbronzata dal sole ardente dei pascoli. Sua madre era morta nel darlo alla luce, ed egli, che non amava la matrigna, non voleva saperne di stare in casa... era sempre a zonzo pei pascoli, col padre suo o solo. A scuola non ci voleva andare; veniva su alla libera, ignorante come un ciuco, di tutto ciò che non fosse cavalli. Con questi, si sa, pane e cacio; ed egli preferiva assai trovarsi in mezzo ai puledri che coi compagni suoi. Cavalcava già, con destrezza mirabile. Il male era che s'affezionava tenacemente agl'individui della razza, e, se accadeva la vendita di qualche pariglia o di qualche allievo del quale egli si fosse personalmente occupato, considerava quella misura quasi come un insulto personale, digrignava i denti, bestemmiando come un Turco e per più giorni batteva la pianura come un zingaro. Poi l'amore pei cavalli lo vinceva e la pecorella tornava all'ovile.

      Ragazzo com'era aveva già una salda esperienza del suo mestiere; ne sapeva quasi tutte le malizie; ciò che piace ai cavalli e ciò che dà loro ai nervi. Era un po' prepotente e quando imbizzarriva, tirava calci e mordeva.—Mi spiace a dirlo, ma temo che Drollino non avesse sulle parole tuo e mio delle nozioni d'una precisione matematica. Il frutteto riceveva spesso qualche sua visita notturna e il giardiniere trovava sempre mancanti all'appello certi limoni acerbi ch'egli contava spesso con una cura piena di speranze. E Drollino amava molto i limoni acerbi... Ma non si lasciava mai cogliere sul fatto. Con tutto ciò era un ragazzo simpatico... aveva certe qualità indicatissime pel suo mestiere. Oltre ai cavalli adorava il suo padrone. Gli rubava i limoni è vero, ma per lui si sarebbe fatto ammazzare, quando occorresse. Per Drollino il possessore di tutti quei cavalli, di quella tenuta immensa non poteva essere un uomo come gli altri. Era maestà infinita, senza pari. E quando pensava che, se il padrone non si rimaritava, tutta la tenuta, la villa, lo spazio immenso delle campagne apparterrebbero un giorno a quella creaturina vestita di bianco che giocava nel viale, la bambina assumeva ai suoi occhi un aspetto fantastico; diventava un essere straordinario anche lei, come una specie di deità, destinata a uno splendore incomparabile di avvenire. In quello, al povero Pedrolo, il padre di Drollino, accadde un brutto caso. Un puledro mal domo, ch'egli stava governando, gli sferrò un calcio terribile nella coscia. Il poveretto ebbe a restare coricato per quaranta giorni e quando s'alzò s'avvide con immenso dolore d'essere ormai irrimediabilmente


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