La vendetta paterna. Francesco Domenico Guerrazzi

La vendetta paterna - Francesco Domenico Guerrazzi


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levando al cielo un grido acutissimo di dolore e di rabbia, dal quale rimasto il vecchio Marchese sbalordito, non seppe che cos'altro aggiungere di buono; ma perduta affatto la tramontana se ne andò per le corte, aggiungendo con voce commossa, che indarno però sforzava di rendere severa:

      «Voi, miei figliuoli, onoratela come mia consorte; e voi, servi, obbeditela come padrona: non occorre altro; andate.»

      Io che, come staffiere in casa al Marchese, chiamato con l'altra famiglia mi trovava presente a cotesto fatto, pensai vedere, ma avrei giurato aver veduto per certo una mano di scheletro girare lenta lenta per l'aria, e tracciare un cerchio dentro del quale venivano come ad essere comprese tutte quelle teste.

      Il vecchio Marchese si chiuse nelle sue stanze, e quivi rimase tutto giorno presso l'amata donna, consolandola con molli carezze e dolci parlari come giovanotto per la prima volta innamorato. I padroni giovani non furono visti in palazzo che a notte tarda, tranne Pompeo, il quale per essere tuttavia fanciullo stette in casa, ricusando però ostinatamente sempre sedersi in grembo alla bella Siciliana, che lo tirava a sè con modi soavi, e gli andava offerendo baci e confetti; anzi avendogli detto:

      «Don Pompeo, io vi farò da madre,» il giovanotto le rispose stizzito: «A me non fa mestieri altra madre che donna Vittoria Savella, la quale a quest'ora è lassù;» e col dito indicava il cielo.

      Non pareva davvero che in casa fossero state celebrate nozze, bensì mortorio; però che assai prima del consueto il palazzo fosse sepolto nel silenzio e nelle tenebre, — precursori della tempesta.

      Fortuna volle che a don Flaminio, il quale in corte del Papa teneva ufficio di camerario privato, ricorresse la volta nella prossima mattina; onde egli per non mancare si levò per tempissimo, e si abbigliò squisitamente di gala come costumano i vecchi, che studiano riparare con l'arte le offese degli anni: premeva a lui (che passata la prima notte aveva incominciato ad accorgersi del granchio preso) non gli fruttassero discredito in corte gl'improvvidi sponsali; e raddoppiando di reverenza e di zelo sperava che non glieli apponessero a torto, o alla più trista valessero a temperarne la sinistra impressione. La donna poi che viveva con sospetto grande, e a cui il sangue non porgeva nulla di buono, andava consolando dicendole:

      «Deh! cuore mio dolce, fatevi animo: per un po' di nebbia, o che credete voi che non abbia più a comparire il sole? Tutto si accomoda in questo mondo con un poco di pazienza e di piacevolezza, e voi di ambedue queste cose possedete dovizia. Orsù, fatevi animo; che a fine di conto i Marchesi miei figli sono cavalieri compiti, e fiore di gentiluomini, i quali si guarderebbero bene di far piangere quei due bei soli che avete in testa. Sicchè, vita mia, state lieta, e pensate stanotte, quando tornerò a casa, di farmi ritrovare la luce in un raggio dei vostri labbri divini.»

      E qui abbracciatala, e baciatale rispettosamente la mano, tolse commiato da lei cacciandosi festoso giù per le scale.

      Le camere dei giovani padroni stavano chiuse, e silenziose come sepolcri: noi altri servitori alzavamo gli occhi di ora in ora al campanello per vedere se si agitava: ma no, esso rimaneva come impietrito: verso mezzo dì si fece sentire un tocco solo — acuto, stridente, che parve gridasse: — ahi! — Accorsi, e trovai tutti i padroni vestiti da viaggio, tranne Pompeo, il quale io non vidi con essi loro. Don Marcantonio senza levare gli occhi di terra, con parole lente e stentate come se recitasse il de profundis:

      «Andate, Orazio, mi disse, ed avvisate la clarissima Marchesa di santa Prassede, che i suoi figliastri le domandano in grazia di essere ammessi all'onore di baciarle la mano, e di augurarle il buon giorno.»

      Mentr'egli così meco favellava, udii i suoi fratelli commettere ad altri famigli accorsi alla chiamata, che prendessero le valigie, e le accomodassero subito subito in groppa ai cavalli, che dovevano tenere in cortile insellati, e in punto di partire. Io sbirciando di traverso notai quattro sedie remosse da canto alla parete, e disposte intorno alla tavola dove pareva si fossero trattenuti a consulta, e vidi ancora sopra la tavola una carta scritta, e quattro para di pistole. Mala parata mi sembrò cotesta, e l'obbedire mi doleva; ma chi mangia pane altrui non ha la scelta: però senza badare ad altro portai l'ambasciata.

      Donna Rosalia udita l'ambasciata stette alquanto sopra di sè; poi come se di moto proprio non si sapesse risolvere, girò intorno la faccia quasi cercando chi la sapesse consigliare in cotesto frangente; ma non vedendo altri che me parve esitare, poi risolversi, e mosse le labbra per articolare parola: ad un tratto diventò vermiglia, punta forse dalla vergogna di consultarsi con un fante; e se fosse così, ben le incolse quello che le avvenne; forse anche non volle mostrare paura, e allora la compiangerei di più: fatto sta, che mi disse animosa:

      «Vengano, e saranno i benvenuti.»

      E come mi disse io referii. Ecco (mi pare di averli sempre davanti agli occhi) i padroni muovere lenti, pallidi, muti nel modo col quale è fama, che le anime dei morti nella notte precedente al giorno dei defunti se ne vadano a processione incontro alla tempesta, che Dio manda perchè i vivi si rammentino di loro.

      Appena si furono affacciati nella stanza ove si era fatta ad attenderli donna Rosalia, ella si levò in piedi e mosse un passo o due verso di loro, atteggiando il sembiante a lieta accoglienza. Quando i padroni le furono discosto un paio di braccia, e nè anche tanto, poco più di un braccio, il marchese Marcantonio così parlò:

      «I Marchesi di santa Prassede, prima di abbandonare per sempre, in grazia vostra, il palazzo dei loro onoratissimi antenati, sono venuti a darvi il buon giorno, e ve lo danno.»

      Quattro terzettate sparate a un punto stesso, che parvero una sola, fecero quattro finestre nel petto alla povera donna, che gridò Ge, e non ebbe balìa di compire Gesù, e cadde giù bocconi morta sul colpo.

      I padroni giovani com'erano venuti se ne andarono lenti, muti, senza pur degnare di uno sguardo il cadavere: scesi nel cortile inforcarono i cavalli, ed uscirono di Roma. Per la bella Siciliana non ci fu mestieri nè medico, nè prete. La copersi con uno arazzo; dalla parte del capo le posi il crocifisso grande di argento fitto sur un candelabro, che il marchese don Flaminio teneva nella camera da letto; da piedi le accomodai una lucerna accesa; le dissi presto presto un po' di de profundis, e poi mandai al Vaticano pel Marchese onde venisse subito a casa per affare, che non pativa dilazione; — e feci male; perchè a quello che era accaduto, o un giorno o un secolo oggimai non guastava più nulla.

       Indice

      Il marchese don Flaminio non si fece lunga pezza aspettare: improvvido e spensierato, il cuore non gli presagiva nulla di sinistro: saliva le scale canterellando, senza porre mente ai volti lugubri e al favellìo sommesso dei servi: non lo percosse la frequenza straordinaria della gente accorsa al rumore delle pistolettate, e nemmeno alla inchiesta dei curiosi: «dov'è successo lo ammazzamento?» Tanto lo teneva assorto quel suo matto amore!

      Quando entrò in sala, e vide il sangue prima, poi il cadavere in modo così disonesto fracassato, come colto da fulmine stramazzò. — Il medico accorso in fretta gli allentò la vena, gli applicò le ventose: e adoperandovi intorno ogni sforzo dell'arte, con infiniti argomenti gli riusci a farlo rinvenire; ma colpito il povero vecchio dal male di gocciola, ne rimase come morto: anzi si può dire morto addirittura, tranne il capo, rimasto mezzo vivo; imperciocchè non riuscisse, anche balbettando, a farsi capire: cibo e bevanda ricusava; mai di piangere rifinava; due rivi perenni gli scendevano giù per le gote, ed immollavano le lenzuola e i pannilini che ci soprammettevamo. Come quel cristiano potesse cacciar fuori tanta acqua dal capo, per me non sapeva capire davvero. Voi intendete, che andando avanti di cotesto passo poco cammino si poteva fornire: e fu così; difatti il medico sul far del giorno gli tastò il polso, lo guardò in faccia, e voltato ai parenti susurrò: «andate pel prete.»

      E il prete venne, che fu monsignor Romei vescovo di santa Sabina, il quale remossi tutti gli ostacoli lo confessò. O come fec'egli a confessarlo? direte voi, e questo dissi ancora io perchè della lingua non si poteva valere, e nelle altre membra era impedito; e pure monsignor vescovo dichiarò averlo inteso ottimamente punto per punto, e così com'ei disse si ha da credere che fosse;


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