Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi


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del 14 febbraio 1863. Il deputato Pasini e con lui la Commissione tira per le falde il Minghetti e gli dichiara, che ha preso un granchio di 108 milioni.—Sono più i diavoli, dice il proverbio, e il Minuetti si fonderà di certo su questo proverbio.—Ora troviamo che i beni demaniali calcolati in massa fino a 400 milioni sommano a 200!

      [2] Parole di scherzo che il Boccaccio fa dire al prete da Varlungo G. VIII n. 1.

      Questo è lo stato nostro restando le cose come si trovano; caso mai rompesse la guerra a cui ricorre il Ministro per provvedere i danari?—Il Ministro quando sentirà il governo potrebbe convertirglisi in croce da trovarcisi un bel dì confitto sopra lo butterà in terra; ovvero nicchierà come donna partoriente: «su, amici, su, votatevi le tasche, che, me auspice, vi colmaste fino all'orlo, su….» Vedremo allora: alla svolta ti provo. Però se dal passato è concesso argomentare il futuro hassi a credere, che la parte Moderata continuerà l'esempio dei ranocchi i quali stando pure col muso fuori dall'acqua del padule si tuffano sotto al primo stormire della procella per ricondursi al consueto gracidìo tosto che torni l'aura serena e la dolce stagione.—Allora e' converrà, che taluno si voti alla salute della Patria. Lo assista Dio secondo i meriti suoi, e le benedizioni le quali, fino da oggi, noi gli mandiamo dal cuore: dove (e a pur pensarlo ci tronca lo affanno) fosse nei fati, che ogni sforzo abbia a riuscire invano a lui, e a noi desideriamo la morte;—perchè è amaro, oh! è amaro dopo tanto alito di speranza lasciare scritto per epitaffio da apporsi sopra la tomba: cercando Patria e Libertà sono morto «schiavo[1].»

      [1] E tanto accadde al conte di Schlabrendof, il quale svisceratissimo della Rivoluzione di Francia, disperato delle umane sorti la vigilia della sua morte si apparecchiava il seguente epitaffio: «civis civitatem quærendo obiit octuagenarius» Écriv. mod. de l'Allemagne.

      Intanto pongo per debito qui le parole del deputato Saracco uomo temperatissimo, e non avverso al Ministero: «avete voi pensato, che per entrare in lizza liberamente non a rimorchio di estranea potenza, e sostenere l'urto di tanti nemici i quali ci disputeranno questo sacro suolo d'Italia ci vuole danaro, e molto danaro? Eppure, ch'io mi sappia, danaro noi non abbiamo, all'opposto siamo scoperti di oltre 500 milioni, però che sarebbe chimera grande immaginare alla vigilia della guerra la possibilità di vendere beni demaniali, e mettere in circolazione Buoni del Tesoro.—Al primo rumore di guerra i forzieri si aprono di preferenza alle grandi potenze le quali in simili casi ricorrono al pubblico credito.—In così grave condizione di cose non si farebbe atto di accorgimento pratico pigliare fino da oggi le provvidenze opportune onde il giorno della prova non si converta in giorno di sventura per la Patria?[1]»

      [1] Tornata 11 Dicembre 1863.

      Dal discorso del Ministro, in aumento di ciò che sono venuto a mano a mano allegando, si cavano lo seguenti proposizioni.

      Al primo di Decembre egli possedeva in cassa quattordici milioni, resto dei 500 già scontati, e 200 da scontare, i quali non pativano riduzione come dubitava il Polsinelli bensì erano effettivi; con questi si riprometteva sopperire in parte allo sbilancio del 1864: ora tu che hai senno mira svarione: possono elleno sostenersi effettive le cedole della rendita da vendere? Sta a lui fissarne fino da ora il prezzo venale? Col caro del danaro, ed i rumori di guerra sa egli, sappiamo noi di quanto rinviliranno? I diari ci affermano per sicuro l'alienazione di 75 milioni di questa rendita al Vicario di Mammone su questa terra al saggio del 71 per cento, che atteso la imminente riscossione del 2 e mezzo d'interesse fa 68 e mezzo; nè ferma lì, che io vorrei vedere tra ceralacca, e spago quanto ci si debba aggiungere. Ciò è male, e questo altro è peggio: se aliena 75 dei 200 milioni nel 1863 si ha da credere, che il prodotto si serbi per le occorrenze del 1864, o non piuttosto per pagare gl'interessi del debito pubblico a fine di anno?—Certa volta un banchiere, di quelli che vanno per la maggiore, mi ammoniva così: «quando ella vedrà il Governo creare debiti nuovi per pagare gl'interessi del debito vecchio la non si stia a confondere, e si tiri addirittura da parte; gli è il segno dei topi, che lasciano la casa minacciata dalla ruina.» Ora che facciamo noi da molto tempo in qua? Ad ogni modo questo pongasi in sodo, che i 200 milioni non possono bastare al saldo parziale dello sbilancio del 1864. Il Ministro però nega la vendita, e sarà vero, perchè il Rothscild non ne avrà voluto fare la compra, o allora gl'interessi si pagheranno co' Buoni del Tesoro, e fie pur sempre fermo che gl'interessi si saldano col capitale[1].

      [1] Ora sentiamo che la vendita è accaduta alla ragione del 65 e centesimi per cento!

      Intorno alla difficoltà di accomodare altri 150 milioni di Buoni del Tesoro in tempi così difficili, per iscarsezza di moneta e per presagi di guerra, il Ministro sta come torre fermo, che non crolla nelle sue virtù teologali (eccetto la carità) di collocarli con vantaggio. Per lui 300 milioni di Buoni del Tesoro, senza riscontro delle rendite da riscotersi in saldo di loro, e' sono ninnoli di cui non vale il pregio trattenere la brigata[1].

      [1] Il discorso dei signor Pasini ha due parti; la prima per mantenere il credito alla sua relazione; la seconda per lavorare di straforo l'amico Minghetti—Anch'egli non reputa i Buoni del Tesoro sconti di rendite avvenire, e ci mette a riscontro i disavanzi passivi, i quali non ci avrebbero ad essere, e anch'egli li biasima. Quando la mala pratica cesserà i Buoni del Tesoro saranno cambiati senza provvista nel bilancio pubblico.—Quanto alla difficoltà di alienare beni, e in misura da saldare i debiti nè il Pasini, nè il Minghetti movono verbo; il Pasini poi fa buono fino al 1864; di quanto avverrà dopo pensi a cui tocca. Anco ci è parsa strana la risposta che la tassa della rendita mobiliare, e della prediale non può venire meno alla somma contemplata a cagione della quota apposta ad ogni Comune, come se il busillis istesse nello assegnarla, e non nel riscoterla.

      Il Ministro non ha promesso mai bilanciare le spese straordinarie dentro i quattro anni, che per queste la Italia dovrà masticare fave per un pezzo; ma in ogni evento la Italia avrà proprio debito a lui, e all'onorevole suo predecessore Sella di averla salvata da fallire ordinariamente; quanto a fallire straordinariamente è un'altro paio di maniche: di questo egli se ne lava le mani nel 1867, e sempre.

      Il Ministro non vede perchè abbia a rimanere inefficace la tassa sopra la rendita mobile; nè manco la vede al pareggiamento della imposta prediale: queste hanno da operare fino dal primo dì del 1864[1]: quanto a quelle sul consumo delle derrate non può negarsi, bisognerà aspettare; ma non fa nulla, bocca baciata non perde ventura, ma si rinnuova come fa la luna.

      [1] Era così; adesso si è renunziato, diminuita la rendita il manco cresce.

      Certo, nè anco il Ministro nega che vuolsi renunziare al pareggio delle spese con le rendite ordinarie pel 1867; e ciò che rileva? Se non avverrà pel 67, sarà pel 77; pel 97; per qualche sette sarà; e poi per lui non rimase, che tanto benefizio comparisse, le sue brave leggi ei compose, ed ordinò, e non potersi appuntare lui se il Parlamento non le mise a partito, come nè anco fie sua la colpa caso mai gli Italiani non pagassero i balzelli; colui che tolse ad avvezzare l'Asino a starsi digiuno, quante volte gli levò la biada il suo dovere lo fece, se poi l'Asino in capo a sei giorni volle morire, la colpa è dell'Asino, non dell'Asinaio.

      A colmare il vuoto ci si butteranno dentro i beni demaniali; se non bastano questi, dietro a loro i beni delle casse ecclesiastiche della Italia settentrionale, e media; e se si trovassero corti anco gli altri delle province del mezzogiorno. I quattrini si trovano, o Signore! che ci vuole mai a battere moneta? Nulla; portare l'oro e l'argento alla zecca perchè te li conino, operazione semplicissima a cui basta l'ingegno del Ministro, e ce ne avanza.

      Leggesi su per le storie, che le Castellane d'Inghilterra, venute meno le provviste, mettevano su la mensa al nobile marito un piatto con dentro un paio di sproni: a questa cena, se la dura così, io temo riserbata la Italia; per me credo, che il signor Minghetti, il quale è uomo di lettere, abbia imparato dalla lettura del Canto del Conte Ugolino a comporre i suoi poemi di Finanza, però che l'ultimo suo meni dirittamente la Italia a mangiarsi le mani per colazione.—

      In onta a ciò, e al troppo più, che potremmo dire ogni cosa sarà non pure approvata, ma laudata, e levata a cielo, imperciocchè ormai gli avversari nostri non possano più come una volta sostenere che noi divide la opinione del metodo da praticarsi diverso per comporre la Italia: questo per taluno può essere, ma dai più ci separano cause bene altramente profonde. I nostri nemici


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