Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace

Ben Hur: Una storia di Cristo - Lew Wallace


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la mano.

      — «Tu mi schernisci.» —

      — «Ascoltami ancora un poco. Presto, — il Romano sorrise con disprezzo — mi verranno in mente Giove e tutta la sua famiglia greca e romana, come al solito, e allora addio serietà! Io ti sono riconoscente d'esser venuto dalla vecchia casa de' tuoi padri per darmi il benvenuto e rinnovare l'affetto della nostra infanzia, se possiamo.» — «Andate,» — disse il mio maestro, nell'ultima sua lezione. — «Andate, e se volete raggiunger la mèta, ricordatevi che Marte regna ed Eros ha ricuperata la vista.» — Egli voleva dire che l'amore è nulla, la guerra tutto. Così è in Roma. Il matrimonio è il primo passo verso il divorzio. La virtù è una qualità da bottegaio. Cleopatra, morendo, ci legò le sue arti, ed è vendicata. Essa ha un successore sotto il tetto di ogni Romano. Il mondo corre per la stessa strada. Abbasso Eros, evviva Marte! Io sarò soldato, ma tu, o mio Giuda, — io ti compiango, — che cosa sarai tu?» —

      L'Ebreo si avvicinò allo stagno. Messala continuò.

      — «Sì, ti compiango, mio bellissimo Giuda. Dal collegio alla Sinagoga; poi al Tempio, quindi — oh, gloria suprema! — ad un seggio nel Sinedrio. Una bella vita, davvero! Gli dei ti aiutino! Mentre io....» —

      Giuda lo guardò e vide l'orgoglio imporporargli le gote e sfavillare negli occhi, mentre ei proseguiva;

      — «Ah, la terra non è tutta quanta conquistata! Il mare chiude isole ignote. Nel settentrione vi sono popoli ancora sconosciuti. La gloria di continuare la marcia d'Alessandro nell'ultimo Oriente offre nuovi allori. Vedi quante vie si aprono ad un Romano?» —

      Tacque un istante, e poi riprese col solito tono di persona annoiata:

      — «Una campagna nell'Africa, un'altra contro gli Sciti, poi il comando di una legione! Qui terminano i sogni di molti. Non il mio. Per Giove, che idea! Rinuncierò alla legione per una prefettura. Pensa alla vita di un Romano danaroso — oro, vino, donne, giuochi, poeti a banchetto, intrighi di corte, dadi tutto l'anno. — Questa sarebbe una degna mèta alla mia esistenza. Una grassa prefettura? O mio Giuda, ecco la Siria! La Giudea è ricca e Antiochia è una capitale degna degli Dei. Io sarò il successore di Cirenio, e tu, — tu dividerai la mia fortuna.» —

      I sofisti e i retori che affollavano i pubblici ritrovi di Roma, e che avevano quasi il monopolio dell'istruzione della gioventù patrizia, avrebbero approvato questi detti di Messala nei quali avrebbero riconosciuto gran parte dei loro insegnamenti; ma nel giovane Ebreo facevano l'impressione di una sgradevole novità, ben diversa dalla solennità dei discorsi e delle conversazioni a cui era abituato. Di più, egli apparteneva ad una razza le cui leggi, costumanze ed abitudini di pensiero, vietavano la ironia e lo scherno. Molto naturalmente quindi egli ascoltò l'amico con varî sentimenti; sdegno dapprima, poi incertezza nel come dovesse prenderlo. Quelle arie di superiorità assunte da Messala lo avevano offeso sin da principio. Presto divennero insopportabili. Anche quella pioggia frizzante di detti satirici destò la sua ira. Per l'Ebreo dell'età di Erode il patriotismo era una passione selvaggia appena celata sotto il manto di una velata pacatezza di modi, e così connessa con la sua storia, con la religione e con Dio, da balzare fuori immediatamente al menomo dileggio di essi. Non è quindi esagerazione l'affermare che il discorso di Messala, progredendo lentamente fino all'ultima sua pausa, cagionò la più acuta tortura al suo uditore, il quale a questo punto, lo interruppe con un sorriso studiato.

      — «Sono pochi coloro che permettono che il proprio avvenire sia fatto oggetto di scherno. Io non sono di quelli o Messala.» —

      Il Romano lo osservò un istante, poi rispose: — «Perchè non si dovrebbe dire il vero scherzando, anche sotto forma di parabola? La grande Fulvia andò a pescare l'altro giorno, pigliò più pesci di tutte le sue compagne. Si disse che essa avesse fatta indorare la punta del suo amo.» —

      — «Allora tu non scherzavi soltanto?» —

      — «Mio Giuda, m'accorgo che non ti ho offerto abbastanza,» — rispose il Romano rapidamente, con gli occhi scintillanti. — «Quando sarò Prefetto e dominerò sulla Giudea, ti farò primo Sacerdote.» —

      L'Ebreo si voltò adirato.

      — «Non andare in collera» — disse Messala.

      L'altro si fermò irresoluto.

      — «Per gli Dei, mio Giuda, come scotta il sole!» — esclamò il patrizio, osservando la perplessità dell'altro. — «Andiamo all'ombra». —

      Giuda rispose freddamente:

      — «È meglio che ci lasciamo, sarebbe stato anche meglio che io non fossi venuto. Cercavo un amico, e trovo....» —

      — «Un Romano» — disse Messala.

      L'Ebreo strinse i pugni, ma, padroneggiandosi con uno sforzo, si allontanò.

      Messala si alzò, prese il mantello dal sedile, e gettatoselo sopra le spalle, seguì Giuda. Raggiuntolo, gli pose una mano sulla spalla e continuò il cammino.

      — «Con la mia mano sulla tua spalla, eravamo avvezzi a camminare da fanciulli. Procediamo così fino al cancello.» —

      Messala cercava d'esser serio e gentile, ma non poteva cancellare dal suo volto la solita espressione satirica. Giuda lo lasciò fare.

      — «Tu sei un ragazzo, io sono un uomo; lasciami parlare come tale.» —

      La compiacenza del Romano rasentava la superbia. Mentore consigliando il giovane Telemaco non avrebbe potuto parlare con più disinvoltura.

      — «Credi tu nelle Parche? Ah, dimenticavo! tu sei un Sadduceo: gli Esseni sono i soli che abbiano giudizio fra voi: essi credono nelle tre sorelle. Così faccio io. Costantemente esse ci attraversano il sentiero. Se covo un grande disegno, se lavoro per attuarlo, proprio quando sto per stringere il mondo nel pugno, intendo dietro di me lo stridere delle forbici. Mi volto, e la scorgo, Atropo maledetta! Ma, mio Giuda, perchè andasti in collera quando parlai di succedere al vecchio Cirenio? Tu pensavi che io volessi arricchirmi depredando questa tua Giudea? Supponiamolo; ciò è quanto farà forse un'altro Romano. Perchè non lo dovrei fare io?» —

      Giuda rallentò il passo.

      — «Altri stranieri, prima dei Romani, dominarono sulla Giudea,» — disse alzando la mano. — «Dove sono ora, o Messala? Essa ha sopravvissuto a tutti. Ciò che è stato avverrà ancora.» —

      Messala disse ancora con pacatezza:

      — «Le Parche hanno seguaci anche all'infuori degli Esseni. Ben tornato, o Giuda, nel grembo della fede!» —

      — «No, Messala, non contarmi fra quelli. La mia fede poggia sulla rocca che fu il fondamento della fede de' miei padri prima di Abramo; sopra la parola del Signore Iddio di Israele.» —

      — «Troppa foga, mio Giuda. Come un simile scoppio di passione da parte mia, avrebbe incollerito il mio maestro! Io vorrei giovarti, o bello al pari di Ganimede; seriamente vorrei giovarti. Io ti voglio bene, tutto il bene di cui sono capace. Ti dissi che ho intenzione di diventar soldato. Perchè non vuoi fare altrettanto? Perchè non uscire dal cerchio angusto, che, come ti ho dimostrato, è tutta quanta la vita che permettono le tue leggi e i tuoi costumi?» —

      L'Ebreo non gli diede alcuna risposta.

      — «Chi sono i saggi ai giorni nostri?» — continuò Messala. — «Non quelli che esauriscono le loro forze in vane dispute intorno a cose morte; intorno a Baal, Giove e Jeova, o intorno a filosofie e religioni. Citami un grande nome, o Giuda; non mi importa dove tu possa cercarlo; in Roma, nell'Egitto, in Oriente, o qui in Gerusalemme, — e Plutone mi prenda, se non appartenne ad un uomo che foggiò la sua fama con gli strumenti che gli fornì il presente; che nulla tenne per sacro che non contribuisca a questo fine; che nulla sprezzò di quanto a questo fine condusse.

      Non fu così di Erode, non fu così dei Maccabei? E il primo, e il secondo Cesare? Segui il loro esempio. Comincia subito. Ecco Roma, pronta ad aiutarti, come aiutò l'Idumeo Antipatro.» —


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