Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace
in Roma e si accamparono, sei mesi, nelle sue vie desolate. Il Governo teneva forse gli annali gentilizî? Se fu così che avvenne di essi in quei giorni funesti? No, no; la verità parla, alla fondazione del Tempio, e indietro, fino, alla marcia dall'Egitto, onde abbiamo l'assoluta certezza che tu discendi in linea diretta da Hur, compagno di Giosuè. In quanto agli antenati, il tuo onore non è dunque grande? Desideri di indagare più oltre? Prendi la Torah ed apri il Libro dei Numeri, e settantadue generazioni dopo Adamo troverai il capostipite della tua casa.» —
Il silenzio regnò per qualche tempo, nella stanza sopra il tetto.
— «Io ti ringrazio, o madre» — disse Giuda stringendo le mani di lei nelle sue — «io ti ringrazio di tutto cuore. Avevo ragione di non chiamare il buon Rabbino; egli non avrebbe potuto soddisfarmi come tu lo hai fatto. Ma, per nobilitare veramente una famiglia, basta il solo tempo?» —
— «Ah, tu dimentichi, tu dimentichi! Le nostre pretese non poggiano unicamente sul tempo; il favore del Signore è la nostra gloria precipua.» —
— «Tu parli della razza, ed io, madre, della famiglia, della nostra famiglia. Negli anni dopo Abramo che cosa ha operato, che cosa ha conseguito? Quali sono le grandi gesta che la innalzano sopra il livello de' suoi pari?» —
Essa esitò, pensando che forse si era tutto questo tempo ingannata sul conto suo. I ragguagli che egli cercava potevano avere uno scopo ulteriore, che non la soddisfazione dell'orgoglio offeso. La gioventù non è che un guscio dipinto in cui risiede quella meraviglia che è lo spirito dell'uomo il quale non aspetta che una certa età per far pompa di sè, più precoce negli uni che negli altri. Essa tremava pensando che questo poteva essere il momento decisivo della vita di Giuda; che, come i bambini appena nati tendono le loro mani inesperte ad afferrare le ombre e piangendo, così l'anima sua, ancora cieca, brancolava in cerca del suo ignoto avvenire. Quelli a cui un giovane viene chiedendo: «Chi sono io e che cosa devo essere?» hanno bisogno di usare di tutta la loro prudenza. Ogni parola della loro risposta potrà essere, nella vita futura, ciò che l'impronta delle dita dell'artefice è per la creta che egli sta modellando.
— «Io provo il sentimento, o mio Giuda» — ella disse, accarezzandogli il capo con la mano che egli aveva stretta fra le sue — «io provo il sentimento di chi lotta contro un avversario ancora sconosciuto. Se Messala è il tuo nemico, dimmi tutto quanto ti ha detto.» —
CAPITOLO V.
Il giovane Israelita raccontò il suo colloquio con Messala, fermandosi specialmente sulle espressioni di scherno usate da costui contro gli Ebrei, i loro costumi e la loro vita.
Temendo di parlare, la madre ascoltò in silenzio. Giuda si era recato in Piazza del Mercato attratto dall'affetto per un suo compagno d'infanzia che egli credeva di trovare quale era cinque anni prima, quando egli era partito: aveva all'opposto incontrato un uomo, che invece di ricordargli le risa ed i trastulli passati, gli aveva parlato del futuro, gli aveva fatto balenare alla mente la gloria dei conquistatori, le loro ricchezze, la loro potenza, e il visitatore era tornato a casa ferito nell'orgoglio, ma animato da una naturale ambizione; la madre, gelosa, lo intuì, e non sapendo quale piega potessero prendere le aspirazioni del figlio, s'intimorì subito. Se ella lo avesse distolto dalla fede dei suoi padri? Agli occhi di lei questa conseguenza apparve più terribile di tutte le altre. Non scorgeva che un solo mezzo per evitarla, e si accinse a questo compito con tutte le forze della sua intelligenza, acuite a tal punto dall'affetto, che, il suo dire, diventò quasi maschile nella foga, e, a momenti, assunse quasi l'ispirazione di un poeta.
— «Non v'è mai stato un popolo» — cominciò — «che non si sia creduto almeno pari a qualunque altro; mai una grande nazione che non si sia creduta massima fra tutte. Quando il Romano, guarda dall'alto in basso Israele non fa che ripetere la follìa dell'Egizio, dell'Assiro, del Macedone; e siccome Dio è dalla nostra parte, il risultato è sempre il medesimo.» —
La sua voce divenne più sicura.
— «Non vi è una legge che determini la superiorità dei popoli; quindi vana è la pretesa e inutili sono le dispute. Un popolo sorge; percorre il suo cammino, e muore o di morte naturale o per insidia di un altro che gli succede nella sua potenza, occupa il suo posto, e sopra i suoi monumenti scrive nomi nuovi; tale è la storia. Se dovessi esprimere simbolicamente Dio e l'uomo nella forma più semplice, io traccerei una linea retta ed un cerchio; e della linea direi: — «Questo è Dio, perchè egli solo procede diritto in eterno; e del cerchio: Questo è l'uomo: tale è il suo cammino.» — Io non intendo dire che non vi sia differenza fra la vita delle singole nazioni; non ve ne sono due che abbian vite compagne. Tuttavia la differenza non consiste, come alcuni sostengono, nell'ampiezza del cerchio che descrivono o nello spazio di terra che coprono, ma dall'altezza della sfera ove si compie il loro ambito, le più alte sfere essendo le più vicine a Dio.
Se ci fermassimo qui, o mio figlio, abbandoneremmo il tema della nostra conversazione senza averlo trattato. Continuiamo. Vi sono dei segni coi quali si misura l'altezza del cerchio che compie ogni nazione del quale dirò solo che è base a questi, paragoniamo l'Ebreo col Romano. La vita quotidiana del popolo è il più semplice di tali segni del quale dirò solo che Israele ha dunque talora dimenticato Dio, mentre il Romano non lo ha mai conosciuto; il paragone dunque non regge.
Il tuo amico, — il tuo amico d'una volta, — ci rimproverò — se bene intesi, — la mancanza di poeti, artisti e guerrieri; col che volle significare che noi non abbiamo avuto grandi uomini, un altro dei segni di cui parlo. Per comprendere bene questa accusa è necessario premettere una definizione. Un grande uomo, o mio figlio, è uno che nella sua vita dimostra di esser stato protetto, se non chiamato da Dio. Il Signore adoperò un Persiano per punire i nostri padri apostati, riducendoli in cattività; un altro Persiano fu eletto per ricondurre i loro figli in Terra Santa; più grande di entrambi, però, fu il Macedone per opera del quale fu vendicata la devastazione della Giudea e la rovina del Tempio. Lo speciale merito di questi uomini fu che ciascuno di loro fu scelto dal Signore per eseguire un disegno divino; nè scema la loro gloria pel fatto che furono pagani. Tieni presente questa definizione mentre procedo.
Vi è un'opinione, secondo la quale la guerra costituisce la più nobile occupazione dell'uomo, e che antepone la gloria dei campi di battaglia a tutte le altre. Non ti inganni questa comune opinione del mondo. È una legge che finchè vi sia qualche cosa che non intendiamo, noi dobbiamo adorarla. La preghiera del barbaro è un urlo di paura di fronte alla forza, la sola qualità divina che egli arriva chiaramente a concepire; d'onde la sua fede negli eroi. Che cosa è Giove se non un eroe Romano? La grande gloria dei Greci è d'aver posto pei primi l'Intelligenza sopra la Forza. In Atene l'oratore e il filosofo furono più venerati del guerriero. L'auriga e il corridore veloce sono ancora gli idoli dell'arena, ma le corone di semprevivi sono riserbate al più dolce cantore. Sette città si contesero l'onore di aver dato i natali ad un poeta. Ma l'Elleno non fu il primo a negare la vecchia fede barbarica. No, mio figlio; quella gloria è nostra: Dio si rivelò ai nostri padri; nella nostra religione l'urlo della paura ha ceduto il posto all'Osanna e al Salmo. Così l'Ebreo ed il Greco, alla testa dell'umanità, l'avrebbero condotta sempre più in alto ed avanti. Ma, ahimè! L'ordinamento del mondo poggia sulla guerra come sopra una condizione eterna. Perciò, sopra l'Intelligenza, e sopra Dio, il Romano ha innalzato il suo Cesare, la concentrazione di tutta la potenza conseguibile, la negazione di ogni altra grandezza.
L'impero dei Greci fu la primavera dell'ingegno. Quale schiera di pensatori l'Intelletto produceva in cambio della libertà che godeva! Ogni cosa ottima aveva la sua gloria, e in ogni cosa regnava una perfezione così assoluta che in tutto, tranne in guerra, il Romano, ha piegato la testa, e si è abbassato all'imitazione. Un Greco è ora il modello degli oratori nel Foro; ascolta, e in ogni canzone Romana intenderai il ritmo del Greco; se un Romano parla saggiamente di morale, di astrazioni, o di misteri della natura, o è un plagiario, o un discepolo di qualche scuola che ebbe un Greco a suo fondatore. In null'altro che nella guerra, lo ripeto, Roma può accampare pretese di originalità. I suoi giuochi e i suoi spettacoli sono invenzioni