Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace
dell'Intelletto.
L'egoismo del Romano è cieco, impenetrabile come la sua corazza, davanti alle buone qualità degli altri popoli. Oh, predoni spietati! Sotto l'urto dei loro talloni la terra trema come il grano battuto dalla grandine!
Noi siamo caduti insieme agli altri, — ahi, ch'io debba dirtelo, figliuol mio! — Essi si sono impadroniti delle nostre cariche più eccelse, occupano i luoghi più sacri, e chi ne prevede la fine? Ma, questo io so, — potranno ridurre la Giudea come una mandorla frantumata dai martelli, e divorare Gerusalemme, che ne è l'olio e la dolcezza; ma la gloria degli uomini di Israele rimarrà come un faro nei cieli, inarrivabile alle loro mani; perchè la nostra storia è la storia di Dio, che scrisse con le nostre mani, parlò con le nostre lingue, fonte suprema egli medesimo di tutto il bene che fu nostro; che visse con noi, legislatore sul Sinai, guida nel deserto, in guerra duce, Re nel governo; che nei momenti di dubbio sollevò le tende del padiglione lucente in cui dimora, e, come uomo che parli ad uomini, ci indicò il giusto e retto cammino della vita, e con solenni promesse ci avvinse a Lui con patti eterni. O mio figlio, può darsi che coloro con cui Jeova dimorò, terribile famigliare, non abbiano nulla appreso da Lui? Che nella loro vita e nelle loro azioni le comuni qualità degli uomini non siano state conservate in qualche modo e colorite dall'influenza divina? che il loro genio, anche dopo tanto lasso di secoli, non ritenga in sè qualche scintilla celeste?» —
Per qualche tempo il silenzio della stanza non fu rotto che dal fruscìo del ventaglio.
— «Nell'arte scultoria e della pittura,» — proseguì — «Israele non ha avuto cultori.» —
La confessione era fatta con rammarico, perchè dobbiamo ricordare che essa apparteneva alla setta dei Sadduei, la fede dei quali, a differenza di quella dei Farisei, permetteva l'amore per il bello in tutte le sue forme e manifestazioni, indipendentemente dalle sue origini.
— «Pure, chi non vuol condannarci ingiustamente,» continuò, «non deve dimenticare che l'abilità delle nostre dita fu contenuta dal divieto: «Tu non farai per te alcuna figura scolpita, o la immagine di chicchessia,» il che i Sopherim malvagiamente estesero oltre lo spirito della disposizione. E neppure dobbiamo dimenticare che molto tempo prima che Dedalo apparisse nell'Attica e con le sue immagini di legno trasformasse la scoltura in modo da rendere possibili le scuole di Corinto e di Egina e i trionfi del Pecile e del Campidoglio, molto tempo prima di Dedalo, dico, due Israeliti, Bezaleel ed Aholiab, i mastri-artefici del primo tabernacolo, rinomati per la loro perizia in tutti i rami dell'arte, foggiarono i cherubini che troneggiavano sopra l'arca. D'oro battuto, non cesellato, erano fatte quelle statue, divine insieme ed umane nell'aspetto. «Ed esse stenderanno le loro ali dall'alto.... e i loro volti si guarderanno....» Chi nega che fossero bellissime? o che non fossero le prime statue?» —
— «Ora comprendo perchè i Greci ci hanno sorpassato,» — disse Giuda, con profondo interesse.» — E l'Arca? Maledetti siano i Babilonesi che l'hanno distrutta!» —
— «Non dir così, Giuda; sii credente. Non fu distrutta, solo andò perduta, nascosta troppo bene in qualche caverna nei monti. Un giorno, — Hillele e Sciammai lo assicurano entrambi, — un giorno, quando il Signore vorrà, sarà trovata, ed Israele danzerà davanti ad essa, cantando come nei tempi andati. E quelli che allora guarderanno in volto i cherubini d'oro, quantunque si siano già beati dell'aspetto della marmorea Minerva, saranno pronti a baciare la mano dell'Ebreo, per amore del suo genio sopito pel corso di tante migliaia d'anni.» —
La madre, trasportata da varie passioni, aveva parlato con la foga e la veemenza di un oratore; ed ora, per riposarsi, e ricuperare il filo dei suoi pensieri, fece una breve pausa.
— «Tu sei tanto buona, o mia madre,» — egli disse con riconoscenza, — «che non mi stancherò mai di ripetertelo. Nè Sciammai, nè Hillele avrebbero potuto parlar meglio. Io sono ritornato un vero figlio di Israele.» —
— «Adulatore!» — esclamò. Tu non sai che io non ho fatto che ripetere gli argomenti che intesi esporre da Hillele in una conversazione che egli ebbe in mia presenza con un sofista di Roma.» —
— «Ma almeno la foga della parola era tua.» —
Essa riprese:
— «Dove eravamo? Ah sì! Rivendicavo ai nostri padri Ebrei la gloria di aver costruito le prime statue. Ma l'abilità dello scultore, o mio Giuda, non esaurisce l'arte, come l'arte non è che una parziale estrinsecazione della grandezza.
Io m'immagino la processione dei grandi uomini discendere la scalea dei secoli, divisi in gruppi a seconda delle nazionalità. Qui gli Indiani, là gli Egizii, più in là gli Assiri. Li accompagna il suono di fanfare; stendardi sventolano sopra i loro capi. A destra e sinistra, spettatrici riverenti, stanno le innumere generazioni. Mentre avanzano, mi par d'intendere il Greco esclamare: — «Largo! Alla testa di tutti vengono gli Elleni!» — E il Romano protesta: — «Silenzio! il posto che fu tuo ora è mio; vi abbiamo lasciato indietro come la polvere che calcammo sotto i piedi!» —
E durante tutto questo tempo, dalla coda della processione al principio di essa, perdentesi nel lontano futuro, splende una luce sconosciuta al cuore dei contendenti, ma che li guida e li spinge eternamente: la luce della Rivelazione. E chi sono i lampadofori? Ah, il vecchio sangue Giudeo! Come esso brulica e fermenta al solo pensarvi! Per questa luce vi riconosciamo, o tre volte benedetti, padri della nostra stirpe, servi del Signore, custodi dei patti! Voi siete i duci dell'umanità, morta e vivente. Vostra è l'avanguardia: e quand'anche ogni Romano fosse per Cesare, non la perderete!» —
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