Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace

Ben Hur: Una storia di Cristo - Lew Wallace


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egli non era nè pauroso nè curioso. L'uomo quando si trova solo, si adatterebbe, in genere, a qualunque compagnia; il cane gli diviene un buon camerata, il cavallo un amico, ed egli non si vergognerebbe di colmarli di carezze e parlar loro d'affetto. Il cammello però non riceveva mai dall'uomo un simile tributo, una carezza, una parola gentile.

      A mezzogiorno preciso, il dromedario si fermò, spontaneamente, emettendo un lamento pietoso. Pareva volesse protestare per il peso soverchio e chieder un trattamento cortese e un po' di sonno. Il padrone si scosse come se si destasse dall'aver dormito a lungo. Alzò la tenda del houdah, guardò il sole, esaminò il paese da tutte le parti, minutamente, come per identificare la posizione. Soddisfatto poi dell'esame, respirò a pieni polmoni e scrollò il capo come per dire: «Finalmente! Finalmente!» Un momento dopo incrociò le mani sul petto, chinò la testa e pregò in silenzio. Compiuto questo dovere, si preparò a discendere. Gli uscì di bocca un suono gutturale, famigliare senza dubbio ai cammelli di Giobbe: Ikh! Ikh! cioè il segnale d'inginocchiarsi. Lentamente il cammello ubbidì, prorompendo in un lungo urlo. Il cavaliere, fattosi un punto d'appoggio del magro collo dell'animale, scese sulla sabbia.

       Indice

      Il nostro uomo era ammirevole per le proporzioni del corpo, più tarchiato che alto. Slegando la corda di seta che gli stringeva il kufiyeh alla testa, lo cacciò indietro in modo da lasciar completamente scoperto il viso, un viso energico, abbronzito; la fronte era bassa e spaziosa, il naso aquilino, gli occhi fatti a mandorla; i capelli fitti, ruvidi, di un lucido metallico, gli scendevano sulle spalle in molte treccie e gli davano un'aria originale. Assomigliava ai Faraoni o agli ultimi Tolomei: a Mizraim, padre della razza egiziana. Indossava il kamis, camicia di un tessuto di cotone bianco, scendente fino ai piedi, dalle maniche strette, aperta davanti, e ricamata sul collo e sul petto. Sopra questa portava un soprabito di lana marrone, chiamato aba, con sottana lunga, maniche corte, foderato intieramente di stoffa di seta e di cotone ed orlato tutt'all'ingiro da una lista giallo scura. I piedi erano calzati da sandali legati con striscie di pelle morbida. Una fusciacca gli attorniava la vita e fermava il kamis.

      Bisogna notare che il viaggiatore dimostrava un gran coraggio, giacchè s'arrischiava solo nella traversata del gran deserto, ch'è ritrovo di leoni, di leopardi e di uomini selvaggi. Non portava con sè alcun'arma, nemmeno il bastone adoperato per guidare i cammelli. Quindi si poteva dedurne la sua missione pacifica: o egli era straordinariamente audace o godeva di una straordinaria protezione.

      Le membra del viaggiatore erano indolenzite per il lungo e faticoso cammino; si stropicciò le mani, battè i piedi per terra come per isgranchirli, passeggiò in su e in giù davanti al quadrupede fedele, che s'era sdraiato socchiudendo gli occhi, felice di quel po' d'erba che aveva trovato. L'uomo, ogni tanto, si fermava, facendosi ombra col palmo della mano, e, scrutando in lontananza, il suo volto si rannuvolava come per un disinganno subìto, di guisa che chi lo avesse osservato avrebbe capito com'egli avesse atteso qualcuno e avrebbe nel medesimo tempo provato la curiosità di conoscere il motivo che aveva condotto un viaggiatore in un paese così poco civile. Sebbene ad osservarlo paresse il contrario pure non era da metter in dubbio ch'egli fosse certo dell'arrivo della persona attesa. Nel frattempo si diresse alla lettiga e, dalla cassa opposta a quella ch'egli medesimo aveva occupata, tolse una spugna, un piccolo recipiente d'acqua, e lavò gli occhi, le narici e il muso del cammello. Dalla stessa cassa tolse un panno rotondo, a righe bianche e rosse, un mucchio di bacchette ed un grosso bastone. Quest'ultimo era composto di diversi pezzi posti l'uno dentro l'altro, i quali, poi, uniti insieme, formavano un bastone più alto della sua persona. Dopo aver piantato il bastone in terra e averlo circondato di bacchette, lo coprì col panno, a guisa di tenda, e gli parve, lì sotto, di essere in una casa, molto più piccola, è vero, di quella degli Arabi, ma simile, sotto ogni aspetto, ad una di esse. Sempre dalla cassa, prese un tappeto di forma quadra, e ne ricoprì il suolo entro la capanna testè fabbricata. Preparata in tal modo la tenda, uscì, e si mise a spazzare con cura il terreno che la circondava. Eccettuato uno sciacallo che scorrazzava in distanza, e un'aquila che si dirigeva verso il sasso di Akaba, il deserto era silenzioso e vuoto come silenziosa e vuota era la volta del cielo.

      Il viaggiatore si rivolse al cammello dicendo a voce bassa e in una lingua sconosciuta al deserto:

      — «Siamo lontani da casa, o veloce mio corsiero, ma Dio è con noi. Bisogna aver pazienza.» —

      Levò dei fagioli da una tasca della sella, li mise in un sacco che appese sotto al collo dell'animale, e, quand'ebbe visto l'accoglienza fatta al cibo, si guardò intorno e tornò a scrutare l'immensità del deserto sul quale il sole dardeggiava infuocato.

      — «Verranno — disse assai calmo fra sè. — Colui che mi ha guidato li guida. Mi terrò pronto a riceverli.» —

      Dalle tasche interne della tenda e da un cesto di vimini che formava parte del mobilio, levò il necessario per approntare una colazione: piatti di terra, intessuti di paglia, vino in piccoli fiaschi di pelle, carne di montone affumicata, shami o melagrane siriane, piene di semi, datteri dell'El Shelebi, eccellenti, cresciuti nei nakhil o frutteti dell'Arabia Centrale; formaggio come le «fette di latte» di Davide, e pane, fatto col lievito, proveniente dal forno della città.

      Tutto questo egli aveva portato con sè, ed ora poneva premurosamente sotto la tenda, sul tappeto. In fine prese tre pezze di seta per coprire, secondo l'uso delle persone più altolocate dell'Oriente, le ginocchia degli invitati durante il pasto, e da ciò si poteva comprendere quante fossero le persone da lui attese a partecipare alla sua colazione. Tutto era pronto. Egli uscì dalla tenda e un punto nero gli apparve lontano, nel deserto. Rimase come pietrificato a quella vista; gli occhi gli si dilatarono, sentì un brivido pervadere la sua persona. Il punto nero si avvicinava sempre più, mutava colore ed era divenuto grande, quasi quanto una mano; infine, a poco a poco, prese proporzioni definite. Era un dromedario quasi uguale a quello del nostro viaggiatore, alto e bianco, portante un houdah, o lettiga dei passeggieri dell'Indostan.

      L'Egiziano incrociò le mani sul petto e guardò verso il cielo.

      — «Dio solo è grande» — esclamò reverentemente e cogli occhi pieni di lagrime.

      Lo straniero s'accostò e si fermò. Sembrava si ridestasse da un lungo sonno. Osservò il cammello inginocchiato, la capanna, e l'uomo che se ne stava fermo davanti alla porta, in atto di supplica; incrociò le mani, abbassò il capo e si mise a pregare silenziosamente. Poco dopo scese dal collo del cammello, e, posto il piede sulla sabbia, si avanzò verso l'Egiziano nel medesimo momento che questi muoveva ad incontrarlo. Si guardarono fissi, per un momento, poi si abbracciarono, e ognuno mise il braccio destro sulla spalla dell'altro ed il sinistro sui fianchi, posando il mento sul petto, reciprocamente, prima a sinistra, poi a destra.

      — «Pace sia con te, o servo del vero Dio!» — esclamò lo straniero.

      — «Sii il ben giunto, o fratello della vera fede! Anche a te pace» — rispose l'Egiziano con fervore.

      Il nuovo venuto era un uomo alto e magro, dal viso grande, dagli occhi infossati, dai capelli e dalla barba bianca, dalla carnagione di un colore tra la cannella ed il bronzo. Anch'egli era privo d'armi.

      Il suo costume era Indiano; gli copriva il capo uno scialle che scendeva sulla nuca a pieghe profonde, a guisa di turbante; il suo vestito era come quello dell'Egiziano, eccettuata l'aba, ch'era più corta, e lasciava intravvedere dei larghi calzoni ben aderenti, però, al collo del piede. In luogo dei sandali portava delle mezze scarpe di pelle rossa, terminate a punta. Meno le scarpe, dalla testa ai piedi, era vestito di tela bianca. Aveva un bel portamento, un'aria dignitosa, severa. Visvamitra, uno dei più grandi eroi ascetici dell'Iliade orientale, avrebbe potuto aver in lui un perfetto rappresentante. Era un uomo degno, in sapienza, di esser figlio di Brahma e ne incarnava la devozione.

      Nei suoi occhi era rispecchiata una grande vitalità, ma quando rialzò il viso dal petto dell'Egiziano, essi erano pieni di lagrime.

      —


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