Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma. Edmondo De Amicis

Speranze e glorie; Le tre capitali: Torino, Firenze, Roma - Edmondo De Amicis


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più generale, più costante, più ribelle a ogni umana opposizione che si conosca nella storia. Quel che non è antico come il mondo è la coscienza acquisita dell'uguaglianza civile e politica, che fanno sentire più profondamente che mai le disuguaglianze economiche; è la cultura maggiore che acuisce nelle moltitudini tutti i patimenti dell'animo derivanti, dallo spettacolo delle troppo grandi disparità delle classi; è la __miseria relativa__ smisuratamente cresciuta col moltiplicarsi delle ricchezze e dei raffinamenti sensuali della vita in un piccolo numero; è il decadimento progressivo di quello spirito religioso di rassegnazione che faceva sopportare i mali presenti con la speranza di una ricompensa futura; è, infine, un clero di tutte le chiese che, sollecitando delle riforme sociali, ossia riconoscendo che ai mali della terra c'è rimedio, fa comprendere agli sfortunati, se non con le parole, col fatto, che non si può pretendere da loro l'antica rassegnazione.

      Sì, la quistione sociale sarà antica come il mondo. Ma quello che è nuovo è la gigantesca potenza accumulatasi con l'oro in mano di cittadini privati, che s'alzano come sovrani in mezzo a popoli liberi, che posseggono parti della loro patria vaste come Stati, che tengon nella propria borsa la sorte di centinaia di migliaia d'uomini, che possono turbare a vantaggio proprio gl'interessi d'un'intera nazione e corrompere scopertamente moltitudini e poteri. Quello che è nuovo è che di fronte a questi monarchi della ricchezza, e alle loro strapotenti federazioni, che allargano intorno a sè come una landa sinistra la servitù morale e il salariato, siano sorte delle società di settecento mila lavoratori, delle «Unioni di mestieri» numerose come popoli e organate come eserciti, che in tutte le città dei paesi civili, chiamati a raccolta dalla grande industria, si vadano agglomerando i proletari in battaglioni e in reggimenti, che s'intendono, si disciplinano, e s'affratellano. Quello che è nuovo pure è che si raccolgano congressi operai ai quali intervengono i delegati di diciannove nazioni, rappresentanti cinque milioni di lavoratori; che vi sian paesi dove venti città si dichiarino in favore del «socializzamento» della terra; che nel paese più colto e più potente d'Europa si mandino al Parlamento quaranta campioni della nuova idea, con maggior numero di voti che non ne raccolga alcun altro partito della nazione; quello che è nuovo è un accordo internazionale di agitatori che con una parola d'ordine lanciata da Parigi a Sidney e da Berlino a Nuova York fa nello stesso giorno dell'anno disertar gli opifici a nove milioni di operai, e vegliare sull'armi dieci eserciti come sotto l'imminenza d'uno sfacelo degli Stati. Quello che è nuovo affatto è che si spandano ogni giorno, da mille città, verso ogni parte, su tutta la faccia della terra, milioni di fogli parlanti, che predicano una speranza comune e soffiano in una sola passione, e s'accumulano nelle soffitte e nei tuguri come una provvigione di polvere da guerra. Ed è un'altra cosa nuova, che migliaia di poveri lavoratori d'ogni paese, finite le loro dieci ore di lavoro estenuante, si assoggettino la sera a una nuova fatica per istruirsi nelle quistioni sociali, si strappino il pane dalla bocca per sostenere il giornale che li protegge, e consacrino gli ultimi resti delle proprie forze alla propaganda delle loro idee e all'ordinamento del loro partito, e perdurino in questa opera con una febbre di passione, che ne conduce molti alla fossa. E non è men nuovo nè men grave che questa gran moltitudine incolta e ribollente abbia e sappia d'avere alla sua testa uno stato maggiore intrepido d'uomini di studio e d'uomini di Stato, di vessilliferi di ogni scienza e di ogni arte, che propugnano la loro causa in tutte le regioni del pensiero e in tutte le congiunture della vita. Infine, la quistione sociale sarà antica quanto il mondo; ma quello che è tutto proprio del tempo nostro, credo io, e che non fu nemmeno negli ultimi anni che precedettero la rivoluzione francese, nei quali le classi minacciate andavano incontro all'avvenire con una quasi balda spensieratezza, è questo turbamento che tutti risentiamo, qualunque sia il nostro grado di fortuna, qualunque siano le nostre idee sociologiche, davanti allo stato attuale delle cose; è questa scontentezza della ragione e del cuore, è questa lotta sorda e continua fra la nostra coscienza di cittadini e il nostro interesse di privati, è questo sentimento confuso di colpa, è questo presentimento vago di qualche cosa di grande e di fatale, che ci fa guardare intorno con occhio inquieto come viaggiatori senza guida che s'avanzino alla ventura per una terra sconosciuta.

      V'è pure chi cerca di stornarvi da questo pensiero affermando che non bisogna lasciarsi illudere da certe scosse improvvise e solitarie, dalle apparenze ingrandite ad arte di certi avvenimenti; che, in realtà, il movimento è lentissimo e intralciato da discordie inconciliabili, che ha periodi lunghi di sosta, e che non saranno neppure i figli dei nostri figli che vedranno la società in grave pericolo.—Non credete nemmeno a costoro. Sotto le maggiori apparenze di quiete, anzi più sotto queste, il movimento procede con una celerità non sperata neanche da chi lo seconda. Il socialismo germanico fece i suoi più rapidi passi nel periodo delle leggi eccezionali, da cui pareva stato strozzato. La maggior parte delle sue conquiste è silenziosa, ed è la loro continuità medesima che, come quella della cresciuta di un fiume, non ci consente di seguirne con l'occhio la progressione. Dalla parte dov'è combattuto, all'ira ch'era stata preceduta dal dileggio, è susseguita ora una discussione universale e quasi continua, nella quale ai colti paladini della borghesia accade assai sovente, con loro grande stupore, di trovarsi davanti degli avversari d'officina, che in quistioni economiche di propria spettanza non sono men forti di loro. A poco a poco il socialismo invade il giornale, il libro, il teatro, penetra nelle accademie dei dotti e nei gabinetti dei monarchi, si rizza sui pergami, assalta l'una dopo l'altra le cattedre; le quali in più d'uno Stato, con maggiore o minor restrizione di idee, sono in massima parte già sue. Si può quasi asserire che meno rapidamente egli si diffonde alla superficie di quanto si propaghi dal basso all'alto. Nella vasta polemica scientifica ch'egli promove su tutte le quistioni che gli si legano, e gli si legano tutte, ogni giorno strappa agli avversari una concessione, disarma una resistenza, fa accettare un'idea. Ogni giorno, nell'esercito formidabile che gli sta a fronte, nel campo della politica, della scienza e delle lettere, un combattente s'arresta incerto, o butta via le armi, o le ritorce contro i suoi; e molti che continuano a combattere si sentono già spuntare nell'anima l'amor del nemico, e hanno già la diserzione nel cuore, e non la compiono se non per ragioni di personale interesse, o per timori e per riguardi sociali, o perchè non hanno fede che in un trionfo troppo lontano della causa che credon giusta. E di questo vacillamento e rimescolìo di coscienze si vedon mille segni ed effetti per tutta la scala della cittadinanza, dal maestro di scuola impacciato a dar ragione alla fanciullezza di tante mostruose anomalie sociali che non si possono più palliare coi sofismi antichi, al giudice che non sa più troncare in bocca all'accusato volgare la dichiarazione di principii che lesse egli medesimo nel libro d'un senatore del Regno, fino allo scrittore borghese che non può più scrivere pel popolo senza girare con artifici infiniti intorno alla grande quistione che gli si presenta inevitabile e molesta a ogni passo, scompigliandogli nella mente tutta la sua vecchia precettistica morale e patriottica, fino ai grandi predicatori dell'igiene pubblica, fino agli amministratori ufficiali dell'istruzione popolare, che dubitano e si scoraggiano vedendo l'opera loro urtare da ogni parte ed infrangersi contro la ferrea barriera della miseria e contro l'architettura stessa degli ordinamenti sociali. La resistenza alle nuove idee si riduce sempre più dal campo delle coscienze in quello degli interessi; per il che può ben essere ancora risoluta e tenace e terribile; ma non ha più per sè le grandi e belle passioni, davanti alle quali la furia degli avversari dubita qualche volta e s'allenta. Ond'è che gli assalitori che andavano ieri col passo di marcia, vanno oggi col passo di carica, e andranno di corsa domani. E non è da credere che gli impediscano gran fatto i dissensi e le divisioni che turbano le loro file. Come,—secondo il detto di un di loro,—tutte le teorie e concezioni diverse del socialismo, dal socialismo di stato del professore tedesco al comunismo pastorale del romanziere russo, viste dall'alto, non appaiono in antagonia fra di loro, ma si mostrano come i piani graduali di un vastissimo panorama, o meglio come le forme successive, le attuazioni o i tentativi di attuazione a mano a mano più larghi e compiuti d'una stessa idea; così nell'ordine dell'azione, fautori del collettivismo, apostoli della società senza Stato, ministri socialisti della chiesa cattolica e delle chiese protestanti, benchè proponendo riforme diverse e arrestandosi a diverse mete, poichè son tutti quasi concordi, e quasi violenti del pari nella critica del presente, concorrono tutti, volenti o no, ad uno stesso effetto finale, tutti apparecchiano e spingon le moltitudini alla grande evoluzione, tutti, o levino in alto il libro del Marx o la Bibbia, o la fiaccola, tutti lavorano ad allargare e ad accelerare un moto, di cui non si riscontra l'eguale—per dirla con le parole del più autorevole giornale dell'Inghilterra—se non risalendo


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