Il Quadriregio. Frezzi Federico

Il Quadriregio - Frezzi Federico


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deliberò a Diana aver ricorso.

      70 E disse:—O dea, tu facesti il domando

       ch'io rimanessi, e Iuno fu contenta;

       ed io anche assentii per suo comando.

      Ed ora pare a me ch'ella si penta,

       non so perché: e se fia mia partenza,

       75 convien che gran dolor mio cor ne senta,

      perché tu, dea, a me benivoglienza

       hai dimostrata, e Pallia e Lisbena

       e l'altre, con ch'i' ho fatto permanenza.

      Però partir da loro a me è gran pena,

       80 ch'io amo ognuna come mia sorella,

       e sopra tutte te, o dea serena.

      Però, ti prego, alquanto tu favella

       a dea Iunon ch'io stia sino alla festa,

       che ogni anno, come sai, si rinovella.—

      85 Rispose a lei Diana:—Manifesta

       tu fai te stessa: or sappi che colei,

       di cui è sospetto, non è ben onesta.

      Vanne con la signora delli dèi;

       ché s'ella mi dicesse ch'io v'andassi,

       90 sí come a Iove, a lei ubbidirei.—

      Per la vergogna tenne gli occhi bassi

       la misera e pensava tutt'i modi

       per rimanere e che nessun ne lassi.

      O Amor folle, che sí forte annodi

       95 l'amante con l'amato e sí li leghi,

       che dentro consumando li corrodi!

      Quando si vide non valer li prieghi,

       giva ansiando come fa la cagna,

       a cui veder li suoi figliuol si neghi.

       p. 48

       100 E lasciò tutte e sol me per compagna

       seco menòe; e salse tanto ad erto,

       ch'ella pervenne in una gran montagna.

      Alquanto andammo lí per un deserto:

       alfin venimmo in quel prato fiorito,

       105 ov'ella te di fiori avea coperto.

      Ella gittossi dov'eri dormito;

       e cominciò a dir con pianto amaro:

       —O dolce sposo mio, dove se' ito?

      dove se' ora, o mio amico caro?

       110 Oh ti vedessi 'nanti ch'io mi parta,

       da che contra il partir non ho riparo!—

      Poi ch'ebbe pianto lí ben una quarta

       d'una gross'ora, su in un sasso scrisse

       col dardo suo, come chi scrive in carta.

      115 E lí lo pose e poi indi partisse;

       e per veder te, credo, mille volte

       giú per la piaggia mirando s'affisse.

      Iunon le ninfe sue avea raccolte,

       e perché Lippea sola v'era manco,

       120 mandat'avea a trovarla ninfe molte.

      La piaggia tutta non avea scesa anco,

       che fu trovata e menata a Iunone

       coll'animo ansioso e tanto stanco.

      Non valse a dir che sdegno era cagione

       125 del suo assentarsi, che creso era piúe

       a Invidia il falso, ch'a lei 'l ver sermone,

      che non la fêsse dalle ninfe sue

       battere prima, e poscia l'ha mandata

       stretta e legata al monte Olimpo in súe.

      130 Nel suo partir m'impose esta ambasciata,

       la qual t'ho detta; e disse:—Dilli quanto

       da lui mi parto afflitta e sconsolata.—

      Tanto negli occhi m'abbondava il pianto,

       quando la driada questo mi proferse,

       135 che non risposi per lo pianger tanto.

       p. 49

       Ma per le vie tant'aspere e perverse

       con lei andai insino alla pianura,

       ove Lippea di be' fior mi coperse.

      E ratto corsi a legger la scrittura,

       140 la quale avea scolpita su nel sasso,

       quand'ella fece la partenza dura.

      Ella dicea: «Perduto ho il bello spasso,

       ch'io avea, vedendo te, o dolce drudo:

       partir conviemmi, ed io il mio cor ti lasso.

      145 Troppo Cupido a me è stato crudo:

       egli, ch'io non ti veggia, t'ha nascoso,

       e di te m'ha ferito a petto nudo.

      Fátti con Dio, o mio primaio sposo

       ed ultimo anco: oimè, che non ho spene

       150 di rivederti mai, né aver riposo!

      Ché quel reame, che Iunon si tiene,

       è alto tanto e posto sí lontano,

       che mai nessun mortal tanto su vene».

      Letto ch'io ebbi quel tra me pian piano,

       155 volsi alla driada il lacrimoso volto,

       il qual io mi percossi con la mano,

      dicendo:—Il mio conforto chi l'ha tolto?

       Or dove se', Lippea ninfa mia?

       O dolce amore, in quanto duol se' vòlto!

      160 Driada, dimmi se c'è modo o via

       o che io la giunga, o s'egli c'è speranza

       ch'io venga ove Iunone ha signoria.

      —Il correr delle ninfe ogni altro avanza

       —rispose quella;—e 'l regno di dea Iuno

       165 è tanto ad alto ed ha sí gran distanza,

      che non vi puote andar mortale alcuno.—

       Cosí mi disse e poi si mosse a corsa,

       d'ogni sperar lasciandomi digiuno,

      e se n'andò correndo piú che un'orsa.

      p. 50

       Indice

      Nel quale l'Amore discorre delle varie impressioni dell'aere con l'autore, a cui da Venere vien promessa la ninfa Ilbina.

      Oh Speranza vivace e sempre verde!

       Se ogni cosa all'uom toglie fortuna,

       ella sempre rimane e mai si perde.

      Questa soletto al lume della luna

       5 mi mise tra li boschi e tra li rovi

       con gran fatica e senza posa alcuna.

      Dicea fra me:—Ben converrá ch'io provi

       ogni mio ingegno e cerchi ogni paese,

       che Lippea bella mia ninfa ritrovi.—

      10 E giá cercando er'ito ben un mese

       per l'aspro bosco e per la selva amara,

      


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