La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891. Autori vari

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durante quel periodo, si andasse perdendo, tra gli Italiani, la fede negli antichi ideali politici; e più d'uno cominciava forse a pensare ciò che scriverà ai primi del 500 Francesco Vettori che “l'investitura data da un uomo che vive in Germania, e che d'imperatore non ha che il titolo, non basta a fare un villano vero signore di una città„.

      I signori invero, tuttochè si procaccino pergamene, fanno assegnamento più che altro sul proprio valore, e non meno sull'ingegno che sulla forza. Di tanto cresce l'importanza del pensiero, di quanto scema la riverenza verso le due grandi autorità, fonti del diritto pubblico universale, il Papato e l'Impero romano germanico. Mentre nei primi secoli del medioevo predominano le consorterie, le corporazioni, le scuole e le arti, onde parecchi monumenti, così d'architettura come di legislazione, rimangono anonimi e collettivi, invece coll'istituzione delle signorie emergono e campeggiano gli individui. Rarissimi sono i Signori che non abbiano in pregio la coltura; anzi, amando modellarsi su Federigo II (il quale in molte parti aveva precorso al moderno concetto dello Stato), lo imitano anche nel compor versi d'amore o d'argomento politico e morale. E pur si leggono nelle raccolte antiche o moderne rime di Guido da Polenta, di Castruccio Castracani e di Arrigo suo figliuolo, di un Bruzzi figlio naturale di Luchino Visconti, di un Malatesta dei Malatesta di Rimini, signore di Pesaro, di Marsilio dei Carraresi di Padova, di Roberto dei Guidi del Casentino, conte di Battifolle, il quale scambiò col Petrarca epistole latine e un sonetto volgare. Similmente si compiacevano di accogliere in corte poeti e dottori; e, se taluno, rozzo e altezzoso, trattava i poeti alla pari de' giullari e dei buffoni, molti invece ne facevano gran conto e se ne giovavano per commissioni e ambascerie. Così Franceschino Malaspina, marchese della Lunigiana, incaricò Dante di conchiudere una pace, e Guido da Polenta lo mandò poi oratore a Venezia. Il Petrarca fu inviato anch'egli presso la Serenissima da Giovanni Visconti; all'imperatore e al re di Francia da Galeazzo II, e prima del papa Clemente VI alla regina Giovanna di Napoli. I signori ed i Comuni facevano a gara per aver segretari letterati che componessero, con destra argomentazione e con erudita rettorica, lettere e discorsi. La nuova arte diplomatica sorgeva insieme colla trasformazione dello Stato. Per non tediarvi con un altro elenco di nomi, ricorderò soltanto, da un lato il Saviozzo da Siena di cui v'ho citato la laude al giovane Galeazzo e che fu cancelliere di Federigo da Montefeltro conte di Urbino; dall'altro Coluccio Salutati che, dopo aver servito la Curia romana, diventò segretario della repubblica di Firenze, e, al pari dei suoi predecessori e dei successori, in tale ufficio, fu uno dei più dotti uomini dell'età sua. Giovan Galeazzo diceva che le epistole di Coluccio gli facevano paura più di mille cavalieri.

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      Ma di questo Visconti, che già due volte ho avuto occasione di nominarvi, riparleremo più distintamente in appresso, perchè fu l'ultimo e più compiuto tipo del tiranno trecentista. Ora per rifarmi invece dal primo con cui s'inizia il periodo delle signorie, debbo presentarvi il molto magnifico ed inclito marchese Azzo o Azzolino VI da Este, signore di Montagnana, di Gavello, di Rovigo e del Polesine, non che di parecchi castelli e terre allodiali in Lombardia e in Lunigiana, e di più creato da papa Innocenzo III marchese d'Ancona, del qual feudo doveva poi due anni appresso ottenere da Ottone IV anche l'investitura imperiale. Apparteneva ad una schiatta antica e potente, un ramo della quale costituì in Germania la casa di Brunswick; sicchè Ottone IV in un diploma lo chiamava suo cognato ossia congiunto. Grazie ad un parentado aveva unito ai propri beni le ricchezze grandissime dei Marcheselli Adelardi capi della fazione guelfa in Ferrara, come i Salinguerra erano della ghibellina. Liberale del suo, si era procacciato numerosi aderenti, e grazie al favor popolare otteneva ed esercitava volentieri l'ufficio di podestà, per esempio, nel 1205 a Ferrara, nel 1206 a Mantova, nel 1208 a Verona, dove (dice un cronista) egli d'accordo col conte di San Bonifacio dominò finchè visse.

      Le podesterie furono, come già v'ho accennato, primo avviamento alle signorie. Tal magistratura, la quale non aveva nulla a che fare con quella che il Barbarossa, sotto l'istesso nome, aveva già voluto imporre ai Comuni, si era omai estesa, con universale gradimento, in ogni città. Il podestà essendo un forestiero a cui veniva affidato per un solo anno, e coll'obbligo di render conto, l'incarico di far eseguire le leggi e di amministrar la giustizia civile e penale, offriva una guarentigia d'imparzialità che lo rendeva accetto a tutti gli abitanti. Doveva menar seco, non le persone di famiglia (chè gli era vietato), ma una famiglia di giudici, cavalieri e berrovieri. Il sospetto che diventasse troppo potente fece poi distaccare dal suo ufficio il comando delle milizie, e così creare l'altra magistratura del capitano del popolo. Ma non era un buon rimedio: poichè i signori feudali che ambivano la potestà, nè scadendo dall'ufficio, avrebbero potuto per regola esservi confermati, riuscivano invece a farsi eleggere capitani del popolo, e viceversa, perpetuando così la propria autorità. I Comuni, in sostanza, con simile istituzione, si confessavano inetti ad esercitare la giustizia, senza ricorrere ad un estraneo; era dunque naturale che quest'ultimo, destreggiandosi fra le parti contrarie o mettendosi a capo di una di esse, suscitasse nei più il desiderio che gli fosse dato in mano lo Stato.

      Ciò appunto avvenne in Ferrara; dove Azzo d'Este e il Salinguerra giuniore, dopo aver proceduto d'accordo per qualche anno, vennero ad aperta rottura; nel 1207 il secondo cacciò il primo, e alla sua volta fu cacciato l'anno seguente. Ma in tale occasione la cittadinanza creò l'Estense governatore, rettor generale e signore perpetuo di Ferrara, colla trasmissione della dignità nel suo erede, e col diritto di provvedere, di correggere, e di riformare ogni cosa ad arbitrio della sua volontà.

      Fu il primo esempio, dice il Muratori (che pubblicò l'atto solenne), d'un Comune il quale cedesse la propria sovranità per metter freno alle discordie intestine. Se non che la fazione dei Salinguerra tornò vittoriosa nel 1209, e l'imperatore Ottone riconciliò momentaneamente i due competitori; ne seguirono nuove vicende di guerra e di pace, finchè nel 1240, abbattuti gli avversari coll'aiuto del legato pontificio, Azzo VII diventò davvero signore perpetuo della città. Invero, morto che fu, nel 1264, i fautori della sua casa ne assicurarono la successione ad un figliuolo illegittimo d'un suo figliuolo. Ed un cronista contemporaneo sentì un Aldighiero dei Fontanesi (disceso dagli Aldighieri di Val di Pado e però congiunto col sommo Poeta) arringare il popolo dicendo: “Non temano gli amici, nè s'imbaldanziscano i nemici.... Rimane quell'Obizzo diciassettenne, di buona indole e di buona speranza. E se, a prender la signoria, Casa d'Este non avesse più nessuno, ce lo faremmo di paglia.„ E il popolo a gridare: sì, sì! In simil modo Obizzo fu acclamato signore di Modena nel 1288 e di Reggio nell'89: plebisciti che poi si rinnovarono anche a pro di altri Estensi: segnatamente a Ferrara per Rinaldo nel 1317 e a Modena per Obizzo II nel 1336. Ma dell'opera propria non ebbe già da lodarsi quell'Aldighiero; il quale morì avvelenato a tradimento da Obizzo I, e poco dopo i suoi parenti, essendosi due volte sollevati, furono tutti o ammazzati o banditi.

      Di questi e d'altri delitti (quali l'eccidio per agguato di Jacopo del Cassero e la seduzione di Ghisolabella de' Fontanesi) fece giusta vendetta il Poeta sommergendo lo spirito del tristo marchese nella fossa di sangue bollente, e infamando in pari tempo (secondo la voce che allor correva) le azioni e i natali del suo successore Azzo VIII:

      .... Quella fronte che ha il pel così nero

      È Azzolino; e quell'altro che è biondo

      È Obizzo da Esti, il qual per vero

      Fu spento dal figliastro su nel mondo.

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      Bene stanno uno accanto all'altro quei due tiranni, il guelfo Obizzo, alleato di Carlo d'Angiò, e il ghibellino Ezzelino III da Romano, genero e vicario di Federigo II, spietati ugualmente ambedue, se non che l'uno più feroce e l'altro più perfido.

      Degli Ezzelini v'è già stato parlato da altro lettore[3]: ond'io ricorderò soltanto in qual modo questi grandi feudatari (anch'essi, come gli Estensi, d'origine germanica) fondassero la lor signoria nella Marca Trevigiana, dove il loro avo Ecelo nel 1036 aveva avuto dall'imperatore Corrado II il


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