La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891. Autori vari
parlare;
Fanno un trombombe
Che par che rimbombe
A guisa di trombe.
. . . . . . . . . .
Vi s'incontrano giudei, saraceni, romei, pellegrini, cantori, trovatori, falconieri, ragazzi; poveri affamati; animali domestici e selvaggi; è una corte bandita dove tutti si satollano, tutti si sollazzano di giorno e di notte, con giuochi senza fine: assai lontano crepuscolo alle raffinate eleganze onde rifulgeranno nel seguente secolo, le case e le ville medicee di Firenze, i palagi ducali di Ferrara, di Mantova e d'Urbino.
E questo è 'l signore
Di tanto valore
Che 'l suo grande honore
Va per terra e per mare.
A questa conclusione del nostro rimatore fanno eco altri contemporanei che pagarono con simili lodi i benefizi ricevuti dallo Scaligero: così il Ferreto, storico e poeta di Vicenza, ne cantò la gloria in un poema latino, ed il cronista Sagacio Muzio Gazzata ci lasciò una descrizione delle splendide stanze assegnate agli ospiti, dipinte con diversi emblemi a seconda della condizione delle persone.
Per contrario non gli si mostrò benevolo nè in prosa nè in verso Albertino Mussato, l'insigne storico e il poeta incoronato di Padova, sebbene preso in guerra, sotto le mura di Vicenza, fosse stato trattato da Cangrande più come ospite che come prigioniero. Ma egli era uno dei pochi che serbassero in cuore il culto disinteressato della libertà e del Comune: onde non perdonò mai al signore di Verona le violenze e le insidie a danno della sua patria, mentre per amor di questa, dimenticò, nel maggior pericolo, le ingiurie e l'esiglio sofferti dai Carraresi, che si eran fatti tiranni della città; e invitato si unì con essi contro il comune nemico.
Autore, tra le altre opere, di una tragedia latina dove col titolo di Ecerinis mette in iscena il tiranno, già diventato leggendario, della Marca Trevigiana, il Mussato chiama lo Scaligero Ezelino redivivo. Ma questi, benchè non immune dai vizi dell'età sua e del suo stato, non merita davvero sì ingiuriosa appellazione. Si citano di lui vari tratti che lo mostrano magnanimo anche cogli avversari e assai men rapace d'altri più potenti sovrani; così quando Filippo il Bello, d'accordo con Clemente V, abolì l'ordine dei Templari (nel Tempio portò le sacre vele), e si appropriò le immense ricchezze che possedeva in Francia, Cangrande invece consegnò lealmente ai cavalieri Gioanniti i beni immobili esistenti nel suo Stato, e volse ogni rimanente a vantaggio della città. La sua potenza fondavasi sull'accorgimento politico non meno che sulla virtù guerresca, ed era giunta all'apice nel 1319. Aveva finito col sottometter Padova, cedutagli dallo stesso Marsilio da Carrara, in odio al suo tristo congiunto Niccolò; e posto l'assedio a Treviso, anche questa città gli si arrese, per consiglio degli anziani che vollero prevenire un moto di popolo in favore della nuova signoria. Ma pochi giorni dopo esservi entrato, morì di morbo improvviso, e la sua fine, se crediamo ad un anonimo cantore, fu pianta da tutti, baroni e plebei, e anche da ogni principe e re di corona.
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