La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891. Autori vari

La vita italiana nel Trecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1891 - Autori vari


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il Saviozzo invocava la giustizia e la vendetta di Dio contro quel

      detestabil seme

      Nimico di quïete e caritade

      Che dicon libertade

      E con più tirannia ha guasto il mondo.

      . . . . . . . . . . . . . . . . . .

      Costor coi loro inganni han messo al fondo

      Già le cose di Dio

      E conculcato quasi ogni vicino.

      . . . . . . . . . . . . . . .

      Ch'el sangue fiorentino

      Purghi ogni sua più velenosa scabbia

      E noi siam franchi da cotanta rabbia!

      La voce del rimatore politico è avvalorata da due ben più gagliarde, levatesi già al principio e verso la metà dello stesso secolo, quelle di Dante e del Petrarca. L'uno, imprecando anch'esso, ma con tutt'altro animo, alla sua città, che gli si era fatta matrigna, e predicendole grandi sventure, le faceva intendere come le terre soggette, non meno che i nemici, le augurassero ogni male:

      Tu sentirai di qua da picciol tempo,

      Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.

      E a tutti predicava in ogni forma, secondo il suo ideale politico, fraterna pace e giustizia. L'altro similmente lamentava, tra le peggiori piaghe d'Italia, la folle superbia di soprastare e la cupidigia di taglieggiare i vicini più deboli; per le quali imprese gli Stati italiani, quando fu scritta la canzone (cioè secondo ogni probabilità fra il 1344 e il 45) solevano già adoperare le armi mercenarie delle soldatesche di ventura:

      Qual colpa, qual giudicio, o qual destino

      Fastidire il vicino

      Povero, e le fortune afflitte e sparte

      Perseguire, e in disparte

      Cercar gente e gradire,

      Che sparga 'l sangue e venda l'alma a prezzo?

      A queste testimonianze, tolte, come vedete, da varii momenti del periodo storico di cui nel presente anno vogliamo intrattenervi, ne potrei aggiungere molte più intorno al furore delle sette, alle mutabilità dei provvedimenti, ed agli altri mali che straziavano i Comuni. Ma me ne astengo, poichè non bisogna abusare di nulla, neanche dei versi dei migliori poeti; tanto più che vorrò pure citarvene altri in altre occasioni, pensando che vi riesca gradita, com'è utile e buona, simil maniera d'illustrare i casi storici coi documenti della letteratura contemporanea: al che giovano non meno delle opere dei dotti ingegni, le leggende e i cantari fatti pel popolo da rimatori mediocri e spesso ignoti. Ma non vo' farvi credere d'essere andato io a scovarli dai vecchi codici dove erano sepolti; a tale studio dettero impulso fra noi il D'Ancona, il Bartoli, il Carducci; e dietro a loro una eletta schiera di giovani che alla lor volta sono già diventati maestri, quali il Casini, il Frati, il Mazzoni, il Medin, il Morpurgo, lo Zenatti, e mi piace di ricordarli per debito di gratitudine.

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      Basta il fuggevole sguardo che abbiamo dato alle condizioni interne ed esterne dei Comuni per fare intendere che sorta d'esistenza travagliata e precaria essi menassero e come aprissero facile varco alle ambiziose mire dei futuri Signori. I quali, peraltro, non ostante tutte le arti loro, non avrebbero potuto insediarsi nè mantenersi in istato ove non fossero stati sorretti, per un tempo, dal favore delle moltitudini. E non poteva essere altrimenti; giacchè la licenza e le sfrenatezze generano tal sazietà, che viene un momento in cui un popolo si darebbe anche al diavolo, pur di tirare in basso i prepotenti e di godere qualche giorno di vivere riposato; si acconcia allora all'assoluta potestà d'un solo, finchè i mali dell'oppressione non abbiano alla lor volta cancellato il ricordo degli abusi della libertà. Ci possiamo fare una chiara idea di questa legge storica, ripensando (per addurre un solo esempio) alle vicende della repubblica in Francia, negli ultimi cento anni: nè parrà strano il raffronto, chi consideri quanto si somigliano nell'instabilità le nostre antiche democrazie con la moderna di Francia. Colà due volte, nel 1800 e nel 1848, la nazione intera si buttò volonterosa in braccio ad un Bonaparte, affinchè la salvasse dai pericoli dell'anarchia. Speriamo che, al presente, faccia miglior prova la terza repubblica; e noi, come italiani, dobbiamo desiderarlo; ma poco mancò, due anni or sono, che essa non precipitasse sotto la strana dittatura d'un fantoccio soldatesco, di cui teneva i fili una compagnia di legittimisti, d'imperialisti e di faccendieri. Ed avvertasi che se, nella prima repubblica, c'erano due categorie di persone messe fuor della legge, gli emigrati ed il clero non costituzionale, nelle altre due repubbliche, tutti partecipavano e partecipano al governo, anche i residenti in remotissime colonie; mentre per contrario gli assoggettati, gli esclusi e gli sbanditi costituivano il massimo numero degli abitanti, nei nostri Comuni medievali.

      Non deve dunque parere strano che la vita loro abbia avuto, in complesso, splendida, ma non lunga durata, essendo sorta coll'undecimo secolo, e già nel decimoterzo incominciando a declinare; c'è piuttosto da meravigliarsi che alcune città riuscissero, tra molte traversie, a mantenersi libere fino ai tempi moderni, e che quattro delle antiche repubbliche sopravvivessero ancora in Italia quando l'intiera Penisola, travolta nel turbine della rivoluzione francese, fu soggiogata dalla nuova repubblica e dal suo condottiero, nato in Corsica, di schiatta toscana: quattro repubbliche, Venezia, Genova, Lucca e San Marino, tutte prettamente oligarchiche, salvo una che, sola superstite, ci è caro di conservare qual minuscolo testimone d'un mondo scomparso.

      Per tutti gli altri Comuni, la trasformazione in signorie ha principio col 1200 ed ha compimento nel 1559. Durante questo periodo si manifestano svariatissime forme di vita politica che s'intrecciano e si avvicendano, secondo che portano l'energia individuale e l'umore avventuroso d'un popolo, il quale si ridesta, giovane e vecchio ad un tempo, superbo delle antichissime tradizioni latine, perpetuatesi nei travestimenti del medioevo, e pur voglioso d'innestare su quelle i germogli d'una nuova civiltà.

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      Al modo stesso che i Comuni si sono inalzati sui feudi, appropriandosene gli usi e le prerogative, così ai Comuni si sovrappongono le signorie usurpandone le ragioni e riducendole in mano ad un solo. Ma poi (questa è una sentenza veramente storica del cronista Matteo Villani) “come tirannie si criano, com'elle esaltando si fortificano e crescono, così in esse si nutrica e si nasconde la materia della loro confusione e ruina„.

      Laonde avveniva non di rado che un Comune, caduto sotto l'autorità d'un tiranno, si rivendicasse in libertà, e che poi più d'una volta si rinnovasse la stessa vicenda. Non alla sola Cesena, ma a parecchie città si potevano applicare i versi di Dante:

      Così com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte,

      Tra tirannia si vive e stato franco.

      E del pari le signorie non istavano ferme; le grosse ingoiavano le piccole; e queste, quando se ne porgeva il destro, tornavano indipendenti, salvo a ricadere sotto gli artigli d'un più potente vicino. Se non che neppure il semplice trapasso, che può dirsi normale, da feudo a comune, da comune a signoria, e da signoria piccola a signoria grossa, non sempre accadeva, nè dappertutto; e molto meno poi tali successioni si effettuavano contemporaneamente. Nel modo stesso che a quanto c'insegnano gli astronomi, si muovono, negli spazi eterei, mondi in formazione, e poi sistemi planetari che come il nostro compiono le proprie rivoluzioni, e infine soli spenti e pianeti frantumati; così a mal agguagliare, sussistevano insieme, nei secoli XIII e XIV, feudi d'antica data, comuni rimasti o rifattisi liberi, e signorie di varia grandezza e di varia natura.

      Sotto quest'ultimo nome, nel più largo significato, si comprende ogni specie di sovranità: Venezia e Firenze, per esempio, avevano ciascuna la sua signoria, che era composta, per la prima, del doge


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