Il lampionaio. Maria S. Cummins

Il lampionaio - Maria S. Cummins


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regalerà un patrimonio, in contraccambio.... Ci fo assegnamento, perchè se non mi capita una fortuna prima di capo d'anno, devo darmi per disperato. —

      In quella i due ragazzi furono interrotti da Trueman che entrò portando trionfalmente un magnifico tacchino, regalo del signor Graham, e un libro per Gertrude, regalo d'Emilia.

      — Oh, non è curioso? — esclamò la bambina. — Guglielmo diceva appunto che voi, zio True, siete il mio Santo Claus.... Pare anche a me, davvero! —

      Così parlando apriva il libro. E nel frontespizio le si presentò il ritratto del leggendario personaggio. Ella proruppe, giubilante:

      — O, guarda, guarda, Guglielmo, come gli somiglia! È tutto lui! C'è il berretto di pelliccia, e la pipa, e il buon viso ridente proprio come il suo.... Ah, zio True, se soltanto aveste invece del tacchino e della lanterna un sacco di balocchi in ispalla, sareste un Santo Claus perfetto!... A proposito, per Guglielmo non avete nulla?

      — Sì, una cosuccia... Ma temo che non gliene importerà molto. Non è che un bigliettino.

      — Un biglietto per me? — domandò il ragazzo. — Di chi può essere?

      — Questo non so dirtelo, — rispose il lampionaio frugando nelle capaci sue tasche. — Svoltavo il canto quando un uomo m'ha fermato domandandomi dove abita la signora Sullivan. Io gli indico la casa. Allora, veduto che ci abito anch'io, mi consegna questo pezzetto di carta, e mi prega di rimetterlo al signorino Guglielmo Sullivan, che, m'immagino, siete voi. —

      Guglielmo prese con una mano il biglietto e con l'altra l'accenditoio di True, e sollevando il foglio all'altezza del lume, lesse forte:

      «R. H. Clinton desidera vedere Guglielmo Sullivan giovedì mattina, tra le dieci e le undici, al numero 13. Panchina....»

      Egli era sbalordito.

      — Che vorrà mai? — disse. — Io non conosco nessuno di questo nome.

      — So io chi è, — fece True. — È il signore che abita nella grande casa di pietra, in via ***; un riccone. Il recapito dato nel biglietto è proprio il suo banco....

      — Che? Il babbo di quei bellissimi bambini che vedevamo spesso alla finestra?

      — Precisamente.

      — O che cosa può desiderare da me?

      — Probabilmente ha bisogno de' tuoi servizi, — disse il vecchio.

      — Ma dunque è un posto! — gridò Gertrude. — E un posto buono! Santo Claus è venuto e te l'ha portato.... Lo dicevo io! Oh, come sono contenta! —

      Guglielmo tuttavia non sapeva se dovesse rallegrarsi o no. Gli sembrava assai strano quel messaggio da parte d'un signore che non lo conosceva affatto. Certo sarebbe stato naturale sperare con la sua piccola amica e con lo zio True che fosse l'alba d'una nuova fortuna; ma egli aveva ragioni particolari, da loro ignorate, per credere che di questa fortuna, se pur gli si offriva, non avrebbe potuto approfittare. E però si fece promettere da entrambi di non far cenno della cosa nè a sua madre, nè al signor Cooper.

      Il giovedì, ch'era il giorno dopo il Natale, egli si presentò puntualmente nel luogo indicatogli. Il signor Clinton, uomo di maniere finissime e d'aspetto benevolo, l'accolse con molta gentilezza, gli diresse poche domande, non chiese nemmeno se avesse raccomandazioni, o attestati del suo antico principale, ma senz'altro gli disse che aveva bisogno d'un giovanetto per le mansioni di secondo commesso nel suo banco, e gli offerse il posto. Guglielmo esitò, perchè quantunque l'offerta fosse molto vantaggiosa per il suo avvenire, non era accettabile per il presente, se, come pareva, il signor Clinton non gli assegnava uno stipendio. Questi, vedendolo titubante, gli domandò:

      — Forse la mia proposta non vi conviene, o avete già qualche impegno?

      — No, — rispose egli prontamente. — Mi dimostrate una gran bontà onorando me, estraneo, di tanta fiducia da essere disposto ad ammettermi nella vostra Casa, e la proposta mi giunge gradita quanto inaspettata; ma io, finora, avevo servito in un negozio di spaccio al minuto, dove percepivo un regolare salario sul quale mia madre e mio nonno facevano conto.... Certo, preferirei di gran lunga un banco quale il vostro, e credo, signore, che imparerei presto a rendermi utile: se non che, lo so, molti giovanetti di famiglie ricche si stimerebbero fortunatissimi d'essere impiegati da voi senza alcuna rimunerazione, e quindi io non potrei sperare uno stipendio, almeno per i primi anni. Comprendo bene che in capo a un certo tempo mi troverei compensato ad usura dalle cognizioni acquistate nella pratica degli affari mercantili: disgraziatamente non sono in istato di procurarmi questo vantaggio, più che di proseguire gli studi. —

      Il signor Clinton sorrise.

      — Come mai, giovanotto, siete così informato di queste cose?

      — Ho inteso dire da parecchi ragazzi miei condiscepoli, ora commessi in case commerciali, che non ricevono paga, e ho sempre giudicato equo cotesto trattamento; ma per tale ragione appunto mi sono sentito in obbligo di contentarmi del posto che occupavo in una farmacia, perchè sebbene non fosse di mio gusto, mi dava modo di bastare a me stesso e di venire in aiuto a mia madre ch'è vedova, e a mio nonno ch'è vecchio e povero.

      — Il vostro nonno, chi è?...

      — Il signor Cooper, sagrestano nella chiesa del signor Arnold.

      — Ah sì, lo conosco! — disse il signor Clinton; e dopo una pausa soggiunse: — Quello che avete detto, Guglielmo, è esattissimo: non è nostro costume assegnare un qualsiasi stipendio ai nostri giovani commessi, e ciò nonostante siamo tempestati di profferte; ma ho avuto ottime informazioni sul conto vostro, ragazzo mio (non vi dirò da qual fonte per quanto io vegga la vostra curiosità), e inoltre voi mi piacete: credo che mi servirete fedelmente. Ditemi dunque che cosa avevate dal signor Bray: io vi darò altrettanto il primo anno, e in seguito andrò aumentando la vostra paga, se lo meriterete. Siete contento? Allora potete entrare nel mio banco al principio del gennaio prossimo. —

      Guglielmo lo ringraziò il più concisamente possibile, e s'affrettò ad accomiatarsi.

      Il commesso principale, chino su' suoi registri, ascoltava il dialogo, e pensò che il ragazzo avrebbe dovuto esprimere maggiore riconoscenza dinanzi a una così insolita generosità. Ma il negoziante, osservando Guglielmo mentre gli parlava, ben aveva scorto nei mutamenti del suo viso il succedersi della maraviglia allo scoramento, e della speranza, della gioia alla maraviglia; una gioia piena di gratitudine sincera e così profonda che, egli lo comprendeva, non trovava parole per manifestarsi. E s'era ricordato del tempo in cui, giovanetto e figlio unico di una povera vedova, egli era venuto solo nella grande città, in cerca d'un impiego, e trovatolo dopo lunghi stenti, aveva subito scritto alla mamma per dirle che sperava di poter presto guadagnare abbastanza da provvedere a sè ed a lei.

      Da vent'anni cresceva l'erba sulla tomba ove ella dormiva l'eterno sonno, laggiù nella lontana campagna natia, e la faccia del negoziante era solcata dalle rughe che vi avevano impresse i pensieri e le cure; ma quando, ritornato a sedere, egli tracciò quasi inconsciamente su un foglio bianco, con la penna asciutta, le parole: «Cara mamma», ella rivisse per lui e rivisse egli stesso nella propria giovinezza. Quelle parole invisibili incominciavano la lettera che le recava la buona novella.

      No, Guglielmo non era ingrato, altrimenti non avrebbe destato nel signor Clinton i ricordi del tempo in cui il suo cuore provava le stesse commozioni.

      E tutte le madri che hanno pianto e pregato e ringraziato Dio ricevendo simili notizie da figliuoli teneramente amati, possono intendere qual fosse la felicità della buona piccola signora Sullivan quando Guglielmo le annunziò l'insperata fortuna. Il signor Cooper e Gertrude hanno pure i loro prototipi in tanti vecchi ne' cui occhi smorti e stanchi si riaccende il bagliore della speranza, che sebbene sia stata fallace per essi, vagheggiano ancora per i nipotini; in tante sorelline superbe e liete di vedere il nobile fratello apprezzato alfine dagli altri come fu sempre da loro. Nè in tali occasioni deve mancare l'amico cordiale che, come il bravo True, entra d'improvviso e battendo una spalla al ragazzo esclama:

      — Avevo ragione, io? Non c'era bisogno che si rammaricassero tanto, i tuoi....


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