Mater dolorosa. Gerolamo 1854-1910 Rovetta
cosa avete, signora Maria?… avete un po' di spleen o state poco bene?
—No… tutt'altro.—E così dicendo, la duchessa, distratta, continuava a tagliar le pagine di un volume del Charpentier con una stecca di avorio.
—Eppure dovete averci qualche seccatura. Lalla non è stata buona?
—Eh! che volete, ebbe i suoi capricci con miss Dill anche stasera: ma poi si è addormentata tranquillamente.
—E allora?—insistè il giovanotto, sicuro di non ingannarsi.
—Allora, proprio lo volete sapere?… A voi; leggete.—E così dicendo, Maria porse una lettera a Giorgio, sulla quale brillava in tutto il suo splendore uno stemma gentilizio.
—Prospero ha forse ragione… ma io sono così poco amante di novità!… Al pensiero di dover lasciare la mia casa, la mia quiete, le mie occupazioni, per andare a mettermi in mostra, è un pensiero che mi secca… che mi dà noia.
Giorgio intanto leggeva la lettera a mezza voce.
«Ma chère et ma reine,
«Da vario tempo studio intorno a un progetto pel quale imploro la tua approvazione sovrana. Il vivere lontano dalla famiglia, esiliato dalle pareti domestiche, comincia a riuscirmi di un peso insoffribile. Sento farsi più intenso ogni giorno il desiderio delle vostre carezze, ho bisogno di distrarmi col cicaleccio della mia bambina e di rallegrare lo spirito affranto nel tuo bel volto pallido e sereno. Aggiungi a tutto questo, che io incomincio a invecchiare e, cosa peggiore, ad accorgermene. Nelle mani dei camerieri di locanda mi trovo mal servito, mal trattato, e il mio appartamento non è abbastanza comodo, quantunque sia dei migliori. Per soprappiù non istò affatto bene; e lo attribuisco alla cucina dei restaurants, alla quale non ho mai potuto abituarmi. Ho già trovato e fissato il quartiere e ho già dato tutti gli ordini opportuni.
«Per cagione di nostra figlia e della deputazione che, pur troppo, mi tiene sempre legato alla catena, tu pure fosti costretta a condurre una vita tutt'altro che allegra. Ma adesso, essendo più libero, cercherò compensartene: qui a Firenze troverai una società omogenea, si pronostica un carnevale brillante, senza contare poi tutte le feste che si daranno più tardi, in occasione del matrimonio del principe Umberto.
«Dimmi quanto tempo ti occorrerà per fare i preparativi della partenza, con tutto tuo agio, senza darti alcun pensiero di me, che sarò sempre il più innamorato dei mariti e il più devoto dei servitori.
«Salutami lo zio Eriprando, ricordami a miss Dill e a Giorgio, e baciami sulle guance di Lalla.
11 Gennaio 1868.
«Il tuo
«PROSPERO ANATOLIO».
«PS.—Tutto ben calcolato, sarà a prenderti lunedì, 20 gennaio, e ripartiremo il 25. Il cuoco potrebbe venire a Firenze col cocchiere il 18. Intanto Giuseppe e Pietro, che restano a Borghignano, avranno cura dei cavalli, e l'uno o l'altro farà anche la cucina. Regolati per tutte le disposizioni occorrenti. Sans adieu».
A questo punto Giorgio, restituita la lettera, si mise a ridere tutto allegro.
—Come! Ridete?—disse Maria, mortificata.
—Perdonatemi, duchessa; ma se sapeste che buona notizia ho ricevuto da questa lettera!
—Voi?
—Sì, io. Aspettate, e poi mi direte se non ho ragione di essere contento.—Così dicendo, Giorgio, tolta una lettera dal suo portafoglio, cominciò a leggere di nuovo e ad alta voce:
«Carissimo nipote,
«Parto fra otto giorni e vado a Parigi. Devo conferire con Nigra per incarico avuto dal nostro Governo, e poi ripartire per il Belgio e la Prussia.
«Resterò assente un mese o forse due.
«Mia moglie è sempre indisposta, non posso adunque prenderla meco e non vorrei lasciarla qui affatto sola.
Tu sei il mio unico parente, non hai nulla da fare (per la repubblica c'è tempo) e, aspettandola, potresti lasciare il fascio, le loggie e i fremiti di Borghignano, per adempiere ai tuoi doveri di nipote.
«La zia ha i capelli misto-marengo, non temo perciò le tue seduzioni; è irlandese, e l'influenza delle tue idee progressiste potrà anzi farle del bene.
«A proposito della repubblica: il presidente lo prendete bell'e fatto, o lo ordinate apposta? In ogni modo non dimenticarti di raccomandargli la mia testa: potrà sempre riconoscerla dalla coda.
«Attendo una risposta a volta di corriere.
«Fa quello che vuoi. Ti lascio libero della tua volontà: ma, se rifiuti, bada che ti diseredo.
«Ascolta dunque le mie preghiere, unitamente a quelle dei tuoi creditori, e prendi subito il diretto per Firenze. Tua zia ti prepara una benedizione del Santo Padre.
«Ti stringo la sinistra e mi dichiaro colla destra
«L'affezionato zio
«PIER LUIGI DA CASTIGLIONE».
—Ma dunque? Voi pure venite a Firenze?—esclamò Maria; e ne' suoi grandi occhi, invece delle lacrime, brillava adesso la gioia.
—Certamente!… Volete che mi lasci diseredare? Ho già risolto e parto fra otto giorni.
—Oh bravo!… Nel caso contrario, sapete, mi sarei unita io pure a vostro zio…
—E ai miei creditori.
Maria rise del motto, e fra le due buone creature cominciò quella corrente di allegro umore, schietto e sereno, che di tanto in tanto fa così bene all'anima e alla salute. Giorgio mise in canzonatura Prospero Anatolio, il quale sottoponeva il suo progetto alla volontà sovrana della consorte e finiva poi col fissare la giornata e l'ora della partenza. E Maria rispose citando il conte Pier Luigi, che lasciava il nipote libero della propria volontà, minacciando per altro di diseredarlo se non avesse fatto a modo suo. In conclusione, entrambi convennero che tanto Prospero quanto Pier Luigi avevano i loro difetti, le loro pecche; ma erano pure le due eccellenti persone! Maria andava persuadendosi che suo marito non era dalla parte del torto e che, chiamandola presso di sè, le dava veramente una prova d'affetto. Conveniva che, a Borghignano, divertimenti nè distrazioni non ce n'erano affatto, mentre a Firenze avrebbe potuto uscire un po' da quella vita monotona e sollevare lo spirito, specialmente frequentando i teatri; ed anche per l'educazione di Lalla il nuovo disegno di Prospero Anatolio veniva assai opportunamente. Vedendo persone nuove e vivendoci in mezzo, il demonietto avrebbe perduto un po' di quella sua selvatichezza indomabile, e con suo padre vicino avrebbe fatto meno capricci.
Giorgio approvava tutte le considerazioni di Maria, si lasciava burlare a proposito delle sue aspirazioni platonicamente repubblicane, e così, fra una chiacchiera e uno scherzo, quella sera, invece di andarsene alle undici, come era solito, lasciò il palazzo d'Eleda quando la mezzanotte era già suonata.
Un'ora dopo, Maria si addormentava beata, tranquilla, sorridendo alla nuova felicità che l'aspettava a Firenze, senza aver notato il cambiamento del suo umore, senza averne avvertito il perchè, senza domandarsi come mai prima le aveva data tanta pena la lettera di suo marito ed ora invece le procurava tanto piacere.
Il conte Della Valle, un'ora dopo, era ancora al club, e quando la mattina scrisse allo zio accettando di andare a Firenze, non ricordava nemmeno che a Firenze ci sarebbe andata pure la duchessa d'Eleda.
V.
Maria comparì la prima volta in mezzo al bel mondo fiorentino, nel gran ballo della principessa Balbi della Bicocca. Già essa vi era stata annunziata, e la precedeva quel vociare inquieto, quei mille pettegolezzi coi quali si fabbricano le biografie improvvisate