Mater dolorosa. Gerolamo 1854-1910 Rovetta
con una certa diffidenza; esse temevano una rivale.
La bellezza della duchessa d'Eleda aveva raggiunto allora quasi la perfezione, e quel poco che le mancava per esser perfetta, ne accresceva la grazia. Era una bellezza che parlava ai sensi e al cuore; grande, bionda, pallida, l'eterno femminino di Goethe aveva in lei la sua espressione più viva, e la formosità giovanile, i suoi fascini più attraenti. Il poeta Aleardi, allora di moda, la paragonava a una Madonna pensata dal Beato Angelico, e dipinta da Rubens.
Quando non c'è un amante di mezzo che faccia da diafragma, i raggi lucenti della moglie cadono diritto a illuminare il marito: e Prospero Anatolio, come aveva già preveduto, ebbe in suo pro tutta la benevolenza che sapeva cattivarsi la moglie. Cominciavano a dimenticarlo, e la moglie lo ricollocò sul candelliere.
La celebrità, come le donne e la fortuna, si abbandona a chi sa coglierla in buon punto; e una volta raggiunta nessuno o ben pochi ripensano agli espedienti adoperati all'intento. Prospero Anatolio poi, dominato da una gran vanità, non era uomo da fermarsi ad analizzare il successo. Quando lo applaudivano alla Camera, egli dimenticava che il discorso era stato riveduto da un suo collega, costretto, per la disciplina di parte, a tenersi nell'ombra; quando faceva ridere gli amici con un frizzo, dimenticava il Figaro o il Fanfulla, dove lo aveva letto. Adesso si sentiva accarezzato, cercato, adulato, e non pensava a sua moglie, alla forza prima di tutto quell'incenso; quella forza ch'egli per altro, a suo tempo, non avea trascurato di adoperare.
Gli uomini di tutti i partiti, deputati, ministri, senatori, banchieri, artisti alla moda, diplomatici a spasso, generali e ufficialetti, tutto il sesso forte, insomma, si affaccendava attorno al duca e gli faceva corona: e nemmeno il sesso debole gli era avaro di sorrisi.
Maria non aveva amanti; per combatterla e vincerla bisognava dunque sedurre il marito.
E infatti fra le altre, e più delle altre, la baronessa Renata de
Haute-Cour, che da vari mesi faceva delirare invano il povero
Anatolio, aveva cominciato, dopo la venuta di Maria a Firenze, a
mostrarsi con lui di una amabilità molto arrendevole.
La de Haute-Cour era la moglie del ministro di Francia: una donnina che sembrava uscita da un capitolo di Feuillet, piena di grazia e di nervi; che rideva, parlava, gestiva continuamente, e che formava con Maria il più vivo contrasto. La duchessa d'Eleda aveva la maestà, i modi, il sentire di una gran dama; Renata, invece, la storditaggine briosa di uno sbarazzino.
Forse appunto per un tale contrasto, o forse per il rumore, lo scandalo, l'invidia, i desideri, che la de Haute-Cour avea sollevati intorno a sè, Prospero Anatolio da due mesi ne era perdutamente invaghito, e balbettava con lei, balbettava in modo straordinario. Renata non si può dire che rifiutasse il suo omaggio, questo no; ma le piaceva di farlo giocolare, come il micino che corre, salta, scatta, si contorce, fugge e ritorna affaticandoci per ghermire il gomitolo e, quando è lì lì per afferrarlo, uno strappo improvviso glielo porta lontano.
Ma invece al ballo della Principessa della Bicocca, Prospero Anatolio raggiunse il colmo della felicità. Renata era tutta per lui solo: aveva aperto al duca una partita a due colonne sul libricciuolo dei balli, e licenziava con poche parole gli importuni che tratto tratto venivano ad interrompere i loro discorsi.
Gongolante, orgoglioso, egli non avvertiva però che i rivali da lui messi in fuga correvano ad ingrossare le file già formidabili degli adoratori di sua moglie.
Durante le quadriglie, la coppia del duca e della baronessa Renata era la più disattenta di tutte, e fece nascere confusioni disastrose nella grande chaîne e nei comandi à gauche e à droite. Fra un ballo e l'altro era sempre il duca il cavaliere di lei, l'angelo custode del suo ventaglio, il segretario dispotico del suo carnet. Il duca la faceva bere, il duca la faceva passeggiare, il duca provvedeva agli strappi del suo vestito, conducendola dove le cameriere riparavano ai guasti avvenuti nel calore delle danze.
—Il vostro è un capriccio,—gli diceva Renata appoggiandosi mollemente al braccio di Prospero.
—No! No! Per tutto ciò che ho di più sacro al mondo, vi giuro che vi amo, che non ragiono più.
—Ma… domani?
—Domani, come ieri, come oggi, co-come sempre!
—For ever?
—For ever.
—E vostra moglie?
—Mia moglie… Vi amo.
—Guardatela. È bella assai, vostra moglie…
Fatto il giro dell'appartamento, erano entrati insieme nel buffet, e Renata, dietro a una portiera, gli indicava la duchessa, in mezzo alla sala da ballo.
Era appena finito un valzer: Maria, ancora ansante, colle guance leggermente colorite, era ammirata, circondata dal fior fiore della gioventù e dell'eleganza.
—Com'è bella!… No! Non dovete guardarla!
E Renata si strinse più forte al braccio del duca, piena di fascino e di grazia, fingendosi quasi paurosa, quasi mortificata da quel confronto.
—Voglio voi… Amo voi…—le balbettò all'orecchio il duca d'Eleda.
—Vi piaccio dunque… mi amate di più?—esclamò Renata correggendosi a tempo, e con una mano sapiente giuocando colla commenda che brillava sullo sparato tutto a pieghe e a ricami della camicia di Prospero.
—Lo vedete, Renata, non so-ono qui?!…
Renata si guardò intorno con un rapido giro degli occhi. Nel buffet non c'era nessuno. Nascosta dietro alla portiera, non poteva certo esser veduta: si alzò ritta sulla punta dei piedi, e con una sua mossa da monello stordito sfiorò colle labbra il volto di Anatolio, che diventò pallidissimo.
VI.
Tra Giorgio Della Valle e il duca d'Eleda non c'era molta amicizia.
Giorgio, parlando di Prospero, alzava le spalle chiamandolo clericale; e Prospero chiamava l'altro un repubblicano e faceva altrettanto. Erano rimasti molto tempo salutandosi appena, fatto abbastanza notevole in una città di provincia, fra i rappresentanti di due case cospicue del patriziato; e solo quando successe il matrimonio del duca, cominciarono ad avvicinarsi un po' più. Il conte Eriprando, lo zio della sposa, era stato tutore di Giorgio, e Giorgio era tenuto dai Santo Fiore come un figliuolo. A poco a poco, la consuetudine di vedersi ogni giorno, se non fece nascere fra di loro una straordinaria simpatia, finì col renderli amici apparentemente.
Giorgio rispettava le opinioni politiche e religiose del suo avversario; anzi, per la disparità grandissima che esisteva fra quelle opinioni e le sue, diffidava del proprio giudizio, temendolo alterato dalle prevenzioni, e si ostinava, per paura di eccedere, a voler tener il duca d'Eleda per da più assai che non valesse in realtà. Prospero poi, da parte sua, gli accordava un olimpico compatimento, giudicandolo sempre un ragazzo esaltato, ma innocuo; un po' matto, ma in fondo un ottimo cuore; e sperava, davvero, che maturandosi cogli anni e coll'esperienza avrebbe messo il cervello a partito. Nè lo vedeva di mal occhio in casa; anzi faceva pompa di una tale amicizia; perchè questa amicizia rappresentava la tolleranza del duca verso i suoi avversari politici. Di questa tattica fine egli raccoglieva già i frutti, e durante le ultime elezioni se n'era discorso favorevolmente al gran caffè di Borghignano e su pei giornali;
Adesso per altro, a Firenze, Prospero Anatolio trovò nel conte Della Valle un cambiamento troppo evidente… Giorgio alle volte era con lui così freddo, che si avvicinava a scortese… nè Giorgio aveva tutti i torti.
L'amicizia, la stima ch'egli professava a Maria erano sincere e vivissime, e perciò non poteva perdonare al duca d'Eleda di posporre tutte le virtù e i pregi inestimabili di sua moglie ad una cocotte, con tutti i quarti,