Terra vergine. Anton Giulio Barrili
di un voto.
—Vostra Eccellenza legge nei cuori come nei libri;—disse Damiano.—Siamo infatti legati da un voto.
—Per il quale, probabilmente, avrete lasciati gli agi della vita, venendo partecipi alle fatiche, ai pericoli di questo viaggio: non è così?—
I due marinai non risposero parola. Ma per essi rispondeva la sapienza dei popoli, stillata in proverbi: chi tace acconsente.
—Non voglio chiedervi ciò che non potete dirmi;—riprese Cristoforo Colombo.—Siete genovesi, e basta ciò, perchè io v'abbia in conto di fratelli. Ricordate soltanto che bisogna amarla, amarla molto, la terra dove si è nati; amarla tanto più, quanto essa è più sventurata. Sapete quanto abbiano fatta dolente la nostra povera patria, le discordie maledette dei suoi figliuoli!...
—Voi dite bene, messere,—rispose Cosma.—E [pg!36] noi lo abbiamo ricordato già molte volte, pensando a voi.
—A me?
—Certamente. Ecco un uomo insigne, dicevamo tra noi, un uomo che ha fatto un disegno sublime, e potrebbe e vorrebbe darne la gloria e il profitto alla patria; ma perchè la patria non è in condizione d'intenderlo, egli deve rivolgersi ad altre nazioni, dando ad altri il profitto e la gloria delle opere sue.
—Ah!—gridò l'almirante.—Lo intendete anche voi che dolore sia questo? e come profondo? Io non lo dico a nessuno, perchè nessuno lo intenderebbe. Pazienza, miei giovani amici! E lasciamo questo argomento tristissimo. Intanto, le vostre parole mi han detto assai più che non dicessero le vostre mani. Vorrei fare qualche cosa per voi; chiamarvi almeno tra i miei ufficiali. Ma quante invidie si desterebbero! Non per ora, adunque. Il giorno che avremo toccata la terra promessa, io sarò davvero vicerè e governatore; e quel giorno, vedremo.
—Guardatevi intanto, messere. Noi non abbiamo mestieri che di una cosa: di vedervi incolume, trionfante su tutti i vostri nemici. Laggiù avete avuto da lottare coll'invidia; qui avete da lottare coll'ignoranza.
—E sempre con la malvagità;—conchiuse Cristoforo Colombo.—Ma le vostre parole mi fanno ricordare ciò che volevo dire poc'anzi. Vi chiedevo se eravate marinai, per raccontarvi del primo capitano con cui ho imparata l'arte del navigare. Eravamo nelle acque dell'antica Cartagine, atterrati, con un vento che non si potrebbe immaginare di peggio. Non si poteva reggere al mare, bisognava ormeggiarsi e tener fermo ad ogni costo. Ma le áncore [pg!37] aravano, per la forza della corrente, e si temeva di andare da un momento all'altro a battere negli scogli.
—Un guaio; dei grossi—esclamò Damiano.
—Certamente;—rispose Cristoforo Colombo—e non c'era tempo da perdere. Il comandante ordinò di mettere mano all'áncora della speranza. «Credete—diss'io—che ci farà buon servizio?» Domandavo troppo, più ch'egli non potesse sapere. Ma ad ogni modo, me la trovò lui, la risposta: «Getta l'áncora e spera in Dio!» E così, come mi fu consigliato nella mia prima navigazione, ho fatto io in tutte le altre che seguirono.
—Confidiamo nel suo alto volere;—disse Cosma, inchinandosi.
—Ma pensiamo ancora,—soggiunse Damiano,—che chi s'aiuta Iddio l'aiuta.
—Oh, sicuramente!—rispose Cristoforo Colombo, non potendo trattenersi dal ridere, alla pratica ammonizione.—Vi ho già detto che farò buona guardia alla mia vita, se occorrerà; non aspetterò che mi assalgano; andrò io contro ai loro disegni. Non si compiace di sfidare i bassi pericoli, chi ha cuor d'affrontare i maggiori. Ma se è necessario di entrare in lizza coi rivoltosi, anche questo farò. Voi, frattanto abbiate per certa una cosa: che presto, con l'aiuto di Dio, saluteremo la terra.
—Con questa fede siamo venuti;—disse Cosma.
—E ci sia pure da navigare altrettanto, non ci lagneremo, noi altri;—soggiunse Damiano.—Voi dite, messere, che si serve a Dio, con questo viaggio.
—È la mia opinione.
—E bisogna dunque servirlo allegramente. Lo raccomanda perfino il Salmista.—
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L'almirante sorrise e battè amorevolmente della destra sulla spalla di Damiano.
—Ottimamente, giovanotto!—esclamò.—E che Iddio vi guardi ambedue. Ma domandiamogli ancora una grazia;—soggiunse.—A persuadere questa gente che ha il furore della paura, un buon vento gagliardo, e da ponente, farebbe meglio di tutti i nostri discorsi.—
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Capitolo III.
Di una bella sconosciuta che mandò a Cristoforo Colombo un ramo di spino fiorito.
Cristoforo Colombo era stimato un gran dotto in materia geografica, cosmografica ed astronomica, quando non era stimato un impostore, od un pazzo. Per lui, si sa, erano stranamente mutevoli i giudizi del volgo, nobile o plebeo che si fosse; e saltavano da un estremo all'altro, come qualche volta usano saltare i venti, dal primo al terzo, o dal secondo al quarto quadrante. Si può dire, dopo aver letto attentamente la storia della sua vita fortunosa, che gli storti giudizi, i sospetti, le animosità contro di lui non posassero mai intieramente finchè egli visse, da prima volendo regalare per forza un nuovo mondo alla Spagna, poi disputando ai suoi grandi una corona di vicerè nelle terre scoperte, e da ultimo combattendo virilmente per la propria fama, per il proprio onore, per il proprio decoro, contro le invidie e le ingratitudini congiurate. Ma ci furono anche nella sua vita, e frequenti, i giorni della lode e della reverenza universale. Ci furono anche i giorni in cui egli era tenuto per un gran mago, padrone di alti segreti naturali, e capace [pg!40] di comandare agli elementi coll'autorità di misteriose parole. E per un negromante, di sicuro, lo avrebbero tenuto i marinai della Santa Maria, il giorno 22 settembre del 1492, se dieci o dodici ore prima, cioè nel cuor della notte che fu sopra a quel giorno, lo avessero udito domandare al cielo un vento gagliardo di ponente.
Quel vento si levò per l'appunto nella giornata, fortissimo, teso, dritto da prora; tanto che fu necessario serrare i velacci e le basse vele, prendendo i terzaruoli alle gabbie ed anche alla mezzana, per mettersi alla cappa serrata. Non si navigava più, con quel vento indiavolato al traverso; ma ne avevano anche una patente mentita le sciocche paure dei marinai.
—Ed ora direte ancora che in questi paraggi il vento fresco soffia soltanto da levante!—esclamò l'almirante, volgendosi a Perez Matteo Hernea, suo pilota.
—Non lo dirò più, ve lo giuro;—rispose umiliato l'Hernea.
Il giorno seguente, le cose mutarono. Pareva proprio che quel vento da ponente si fosse levato solamente per dar ragione a Cristoforo Colombo, contro il suo equipaggio, e che, dopo aver fatto quella buona testimonianza per lui, non avesse più motivo di soffiare. Cadde, infatti, e il 23 ripigliò la brezza di levante, con cui si poteva andare a gonfie vele per la rotta stabilita.
La Santa Maria aveva dato gloriosamente tutta la sua tela al vento. Ma non durò a lungo con quella velatura di buon tempo. L'almirante, a un certo punto della giornata, comandò di serrar fiocchi, velacci, vela di maestra e mezzana, contentandosi di navigare con la gabbia, il trinchetto e la trinchettina. Certi punti neri all'orizzonte, diventati [pg!41] presto nuvoloni, l'aria più fresca, un color di piombo sulle acque, gli avevano annunziato imminente un temporale.
Non si era ingannato. Il temporale si avanzò minaccioso, oscurando il cielo e sollevando il mare a tempesta. Le navi balenarono un poco, indi presero a menar la ridda sui flutti, ora balzando sulle creste spumanti che il vento incalzava, ora ascondendosi a mezzo nei profondi intervalli, per cui pareva che volesse ad ogni tratto scoprirsi il fondo degli abissi.
La tela al vento era ancor troppa; e l'almirante comandò di prendere i terzaruoli alle gabbie. Poi, rinforzando il vento, le fece serrare a dirittura, ed egualmente il trinchetto, di guisa che la nave prese a correre con la sola trinchettina.
—Che mare, Santa Vergine!—disse Damiano al compagno, mentre scendevano da