Vita mondana. Memini
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Memini
Vita mondana
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066068479
Indice
Dilemma.
I.
Nella elegante portineria olandese, nicchiata nel verde, di fianco al cancello del giardino, il sopraggiungere di Alberto Mentena non cagionò meraviglia alcuna. — La linda portinaja si alzò premurosamente per aprir l'uscio che metteva sul viale e accompagnò il giovane, sinchè potè vederlo, colla benevolenza del suo vispo sguardo di vecchietta. Alberto Mentena era simpatico a tutti, giovani e vecchi, ricchi e poveri.
S'inoltrò con spedito passo pel giardino, veramente bello nella pompa primaverile del suo verde. In fondo al viale, biancheggiava la villa, a mezzo rivestita di arrampicanti, un vero nido di pace elegante. La brezza temperava il calore del meriggio, mettendo delle molli oscillazioni nei penduli rami della clematide in fiore e un fremito continuo, sommesso, quasi musicale, nei cortinaggi di tela russa che adombravano l'atrio. — Un domestico, vestito di nero passava grave ed ozioso, a capo chino. Ma Alberto non lo chiamò. — Attese anzi per procedere ch'egli si fosse allontanato. — Allora soltanto penetrò nell'atrio e prese a destra, mettendosi per un'ampia fuga di sale. Le attraversò senza fermarsi nè incontrare alcuno, sinchè giunse e si trattenne in un salotto piccino che apriva su una specie di serra, o meglio un piccolo giardino d'inverno, colle pareti ad invetriate.
In quella serra stava sola, una signora giovane, non bellissima, snella, piuttosto piccina, con un volto pallidetto, di persona ammalata o molto inquieta. Sedeva in una piccola nicchietta di verde, fra due palme, in una poltroncina di giunco e ricamava, svogliatamente però, un canovaccio campionato a disegni antichi, con delle tinte pallide e vecchie.
Alberto non entrò in quel luogo. Si fè presso all'uscio, con precauzione, perchè ella non lo udisse, non sapesse ch'egli fosse lì. Si tenne celato dietro una portiera, rimuovendola solo quanto bastava a concedergli la visione di quanto accadeva nella piccola serra.
La signora si credeva sola. Credeva ch'egli fosse lontano assai. E perciò viveva liberamente quell'ora di solitudine e di sofferenze intime.
Tutto in lei contribuiva a tradire l'interna lotta. Il tremore delle labbra, l'espressione speciale della fisonomia, l'inconscia irrequietezza dei moti. Il lavoro fu lasciato e ripreso più di una volta. — Ogni tanto un'idea passava, quasi tangibile, sulla sua fronte, fissando negli occhi e sulle labbra semi aperte un'estasi vaga, mettendo nella personcina fremente una súbita pace di riposo, contrasto strano coll'agitazione sì viva che lo aveva preceduto...
Diana Contessa di Rezzano ebbe, finalmente un amaro sorriso, cui tenne dietro un lungo e sconsolato sospiro. Afferrò un libro che giaceva su un prossimo tavolino. Lo aperse, vi attese per dieci minuti, poi i suoi pensieri tornarono in frotta, più eloquenti delle pagine del libro. Essa lo depose, senza chiuderlo, su una poltroncina uguale a quella da lei occupata e che le era vicinissima. La contemplò a lungo, con una súbita, profonda attenzione la respinse alquanto, tornò ad accostarsela.... poi, senza allontanarla se la mise di fronte e con una mossa lenta, bizzarra, come esitante, depose la mano sul bracciale. Si chinò alquanto come se parlasse a qualcuno che le stasse di fronte, su quella poltroncina.
Sorrideva, inarcava le ciglia, pareva udire delle frasi, accoglierle... rispondere ad esse. Un momento trasse a sè la mano, che posava sul bracciale, rapidamente, come se l'avesse sfiorata il bruciore di una favilla, poi la depose sull'altra, con una vaga tenerezza di gesto e la baciò. Si scosse poscia ed ebbe uno scoppio di amare risa. S'alzò con impeto ed uscì in giardino.
Allora soltanto, Alberto entrò nella serra e sedette al posto solito, sulla poltroncina che aveva poc'anzi attirata l'attenzione di Diana. Così attese. Il suo sguardo seguiva la gonna della Contessa, volteggiante fra le ajuole.
Quand'ebbe colto, un po' a rifascio, un grosso mazzo di fiori, Diana tornò lentamente indietro, guardandoli. Solo quando fu sulla soglia dell'invetriata alzò gli occhi e vide Alberto.
S'arrestò; cogli occhi spalancati, col volto di cera! Mandò un piccolo grido di gioia involontaria, tenerissima ed una súbita, suprema letizia irradiò da tutto l'esser suo.
Ma ella non corse incontro ad Alberto. Stette ritta, fiera, sulla soglia, aggrottò le ciglia e disse con aspro accento: Che fate qui?
Alberto sorrise, venne risoluto ad incontrarla e le porse la mano.
— Sono qui, le disse.
Ella tentò di ritrarsi d'un passo. Ma non potè, l'ira fuggiva irresistibilmente da lei. Attratta, suo malgrado, mosse verso lui, colle labbra anelanti.
— Alberto! disse a voce spenta, con un fioco accento di rimprovero.
—