Vita mondana. Memini
nell'indole di quella cara amicizia ma, accorto, benchè affascinato anch'egli lasciò che in lei, male accorta, continuasse sinchè poteva, il dolcissimo inganno.
E veramente questo continuò a lungo. Ella ignorava ancora di amarlo e già, da tempo, lo amava.
Per cento ragioni, tutte naturalissime. Perchè egli era amabile, per quella crudele pietà ch'egli aveva di lei, perchè ella non aveva figli ed era tradita, pressochè abbandonata dal marito!
L'amava, perchè il suo cuore ne aveva d'uopo e perchè egli era la sua ora di amore... Lo amava finalmente, per quella suprema fra le ragioni dell'amore... perchè di sì!..
Quando non potè più celare a sè stessa di amare Alberto, non seppe neppur celarlo a lui. Il primo bacio era venuto a tradimento, per una semplice quanto terribile forza delle circostanze.
Si fermarono lì... a quel punto; per uno di quei miracoli ai quali il mondo non crede e che irride, beffardamente. Ma ella non si sentì meno: perduta, perciò. Si sentì colpevole di tutto il male che non aveva fatto, ma che si era posta in grado di fare. Non accattò scuse di fronte a sè stessa, non si chiamò vittima, non si pensò giovane, ardente, trascinata!... Non pensò che al pericolo. Riunì tutte le sue povere forze, lottò e credette di aver vinto quando egli, obbedendo alla disperata ingiunzione di lei, si allontanò da Rezzano. Dieci giorni prima, essa gli aveva detto: va!.. Glielo aveva detto sì efficacemente ch'egli era andato. Giudicava forse venuto il tempo in cui la privazione di lui dovesse tornarle intollerabile e determinare la situazione? Ovvero se n'era andato onestamente anch'egli, con una cavalleresca ubbia di abnegazione e di salvamento? Chi lo sa! Fatto è ch'era partito... Ma fatto pure che passati quei dieci intollerabili giorni, era tornato. Senza idea preconcetta, forse. Ma era tornato e ora; l'equivoco non era più possibile.
La situazione si era aggravata di tutta l'entità del fallito tentativo. L'ambiente era più caldo, più pericoloso di prima, il bisogno di un concreto avvenire s'imponeva al loro amore. Ciò sentivano entrambi, mentre si guardavano negli occhi, accesi di un vago spavento. S'interrogavano a vicenda, così, senza parlare, colle mani prese nella forza di una stretta che pareva accentuare i loro pensieri.
Egli ardeva ed ella era gelata, colla violenta impressione di doverlo amare ad ogni costo. Anelava forte. Ma si difendeva ancora, nel sublime controsenso d'un diniego folle, ostinato, mentre egli ribatteva quel diniego coll'onnipotente ardore di una sola parola.
T'amo.... t'amo.... t'amo!
Un'ubbriachezza la coglieva, e in pari tempo un'inesorabile lucidità del pensiero. Una brutale risoluzione investì il suo cervello. Con un subito, folle oblio di tutto ciò che non era Alberto ella chiese ad Alberto: — Che vuoi?
Ed egli rispose sordamente: — Voglio te.
Tacquero entrambi. Poi Alberto le prese la faccia tra le mani e l'accostò alle sue labbra.
Gli sguardi si smarrirono nell'infinito del reciproco ardore... le labbra si protesero e il lungo forte bacio scoccò, col suo sapore di dolcezze ineffabili. E appena divise, quelle labbra tornarono ad unirsi, ancora... ancora... due, tre, dieci volte...
Finalmente ella si liberò da quella grandine. Mosse un passo addietro ed ebbe un grande gesto di rinuncia, il gesto di una regina che abdica.
— Alberto, gli disse recisamente, portami via!
— Via?... chiese Alberto... tentando un altro bacio che essa evitò.
— Portarmi via, ripetè Diana. Dove vuoi... non importa ma via... subito... intendi?...
Il giovane la guardava sbalordito, cercando dì raccapezzare le proprie idee di fronte a quella strana domanda. Ella aggrottò le ciglia e guardandolo con gli occhi pieni di delirio:
— Esiti?... gli chiese.
Era sì fremente, sì disperata, sì bella, ch'egli trovò, in quell'istante, il coraggio di un'immensa follia.
— No... disse... ti amo!
Allora essa lo avvinghiò colle braccia, lo baciò con furiosa veemenza. Poi si scostò e gli disse:
— Sta bene. Ora sono tua e per sempre. Domattina... alla stazione alle otto. Partiremo assieme. Ora va... questa è casa sua.
Scomparve così ratta, dietro una porta vicina, la chiuse sì rapidamente che Alberto non ebbe il tempo di raggiungere quella donna che fuggiva. — Ma sapeva, ormai, che sarebbe sua.
Tornando a casa, il giovane era alquanto stordito dall'idea della sua sconfinata felicità... Non sapeva bene s'egli stesso fosse un eroe o un imbecille. A dir vero non aveva mai pensato alla possibilità di quella conclusione del suo romanzo con Diana, a quella fuga chiassosa, romantica, che avrebbe avuto una sì inattesa importanza pel suo avvenire. Comprendeva Diana e non l'accusava... ma tant'è... era un po' forte... tutto ciò! Forse, se avesse saputo...
Ma non aveva saputo e ad ogni modo, ormai era tardi. Egli amava realmente Diana e in quell'amore cercò un conforto di risoluzione spensierata. Sarà quel che sarà! Ripeteva: domani... domani... esaltandosi in quel pensiero, tanto che non pensò più ad altro. Si chiuse in camera e dispose tutto per la partenza e per la vita nuova.
II.
Diana era sola, nella sua vasta e bella camera da letto. — Sedeva al tavolino; su una seggiola poco discosta stava la sua valigia già fatta e già chiusa. La Contessa non recava seco che lo stretto necessario, il suo scrigno di fanciulla e pochi oggetti, esclusivamente suoi. S'era tolte dalle dita i ricchi anelli, dalle orecchie i grossi solitari donateli per le nozze. Non voleva nulla di lui. Di fronte a lei stava uno specchio ed ella guardava ogni tanto, come attratta da un fascino, la pallida faccia di quella sciagurata che, in un collo splendore dei celebri giojelli, stava per lasciarsi dietro, nella casa abbandonata, la intatta luce del suo passato, lo splendore della sua reputazione di donna onesta. Il suo volto pareva quello di una condannata, visto così nello specchio, nell'incerto chiarore del giorno che finiva anticipatamente, abbujato da una minaccia di temporale.
Pensò un istante se dovesse scrivere a suo marito. — Ma che dirgli? Accattare un pretesto? Muovergli dei rimproveri? No, tutto era inutile... tutto era un'aggravante dell'oltraggio! — Meglio, di gran lunga scomparire così, in silenzio. — E non solo per lui, ma per tutti.
Allora, ella pensò a sua madre.
Urtandosi a quell'immagine, il pensiero di Diana si smarrì, in un'agonia di spasimo. Ella ebbe il ricordo, rapido, vivo come una luce di lampo, dei giorni passati con sua madre, del suo amore, dei suoi precetti, del suo esempio. Vide quella bella testa bianca, immacolata, di vecchia e di signora, sentì l'intollerabile peso dello sguardo materno, sì amoroso e sì austero. Grosse goccie di sudore le irrigarono le tempie, ed ella strinse le mani tremanti, con una mossa forsennata.
Pensò alle sorelline... pensò a ciò che direbbero, quando fosse noto anche ad esse...
Si contorse, nell'eccesso dell'ambascia che invadeva e disse ad alta voce, come un'insensata: È impossibile.
Ma subito, le corse al pensiero che impossibile pure era il vivere senza Alberto, impossibile il ritrarsi dall'estremo partito cui l'era stato giuocoforza l'appigliarsi. Che fare, ora che lo amava, ora che aveva risolto di esser sua?
La vita sua non doveva forse appartenergli?
Doveva ella abbracciare l'altro partito, quello della colpa, quale ha corso nella società... la colpa plateale, sicura, ignobile, protetta dall'ignoranza del marito? Due tradimenti anzichè uno solo, il buon nome scroccato, l'impunità del giornaliero adulterio, quello che nulla toglie, nulla altera nell'esistenza di una donna?...
No... oh... non scender sì basso, non questo estremo fra i gradini dell'avvilimento, non questo vigliacco sistema d'impunità degradante! Ell'era già troppo caduta col cuore e col pensiero, per poter fermarsi sulla china,