Vita mondana. Memini

Vita mondana - Memini


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che si tradiva in Diana. Invano cercava dimostrarle la necessità di quella partenza, già più volte posposta, accampava la necessità di attendere alla propria casa, le due sorelle erano sole da un mese colla governante... gli affari... insomma, era impossibile!

      Una volta Diana, nell'ardore delle sue istanze si lasciò sfuggire un: non lasciarmi, sì spaventato, sì angoscioso che la contessa Galli ne rimase davvero impensierita. Pensò che se non si batteva il ferro, subito, ora che era caldo, chissà quando sarebbe tornata l'occasione.

      — Non ti lascio sola, cara Diana, le disse teneramente, ti lascio con tuo marito.

      Diana si strinse le mani, con un gesto nervoso.

      — Ma sai... sclamò... sai pure...

      — Lo so... pur troppo... Ma non è possibile che abbia sempre a durare così.

      Diana ebbe un brivido.

      — Mamma, disse. Ma tu vorresti?...

      Si arrestò, mordendosi a sangue le labbra.

      — Vorrei solo questo, continuò la madre con grande dolcezza, che tu ti convincessi del quanto sia deplorevole, contraria alla normalità delle cose l'attuale vostra posizione.

      — Non son io che l'ho voluta, ribattè Diana seccamente.

      — Infatti. Ma sei la prima a subirne tutti gli inconvenienti.

      Appoggiò alquanto sulla parola tutti, senza però cercarne gli effetti sul volto di Diana.

      Procedeva lentamente, con grande cautela, sentendosi al buio e pur paventando la luce.

      Diana tacque; come se non avesse più nulla a dire. Mandò un lungo sospiro, del quale la madre si allietò sinceramente. Un principio di rinunzia, forse, al tenace risentimento.

      Ma Diana aveva sospirato, senza saperlo e solo per lo sconforto di non poter fare intendere la vera causa dei suoi terrori. Più volte avrebbe voluto confessarsi alla Contessa. Ma non osava, atterrita dalla severità dei loro comuni principî, dall'austerità della vita ch'ella aveva sempre condotto, dall'orgoglio di pura esistenza ch'ella sapeva riposto in lei da sua madre. Temeva di arrecarle un colpo troppo crudele, lasciandole vedere quanto ella fosse già calata nell'abisso. Temeva di udirsi a condannare, di vedersi aborrita e respinta.

      Errore! Dio solo sa quanto può intendere e perdonare chi, pur lottando, non soggiacque! Ma Diana era giovane ed ignorava questo anche perchè aveva, in tutto, delle idee troppo logiche e per conseguenza, estreme.

      Un giorno, sola in giardino, aveva veduto alzarsi dietro una siepe la pallida e tormentata faccia di Alberto. Non s'erano parlati, ma in quella rapida apparizione essa aveva trovata la conferma dell'immutato ed esigente amore di lui. No!... egli era sempre determinato, era quale le era apparso a Rezzano, nell'ultimo istante. — Aspettava.

      E così; ella si sentiva presa tra due fuochi.

       Indice

      Leone stava comodamente seduto in una lunga poltrona di giunco, sul limitare del porticato aperto sul giardino. Aveva accanto un tavolino carico di quanto potesse occorrergli e teneva fra le mani un giornale spiegato. Ma egli non leggeva e il suo sguardo correva, furtivo e un po' inquieto, dietro due figure femminili erranti pel giardino.

      Egli era ora quasi al tutto guarito ed aveva incaricata sua suocera di parlare a Diana in favor suo. La pecorella smarrita chiedeva di far ritorno all'ovile.

      La contessa Galli, lietissima della santa missione, aveva colta la prima occasione, quella cioè della passeggiatina ch'ella e sua figlia erano solito fare ogni giorno, dopo colazione, in giardino.

      Giardino, per modo di dire. — C'erano i soliti comparti di bosso sì cari ai nostri nonni, la solita montagnuola, fresca dell'ombra di un vicinissimo boschetto di cipressi e d'ippocastani, ornato d'un tavolo e di qualche seggio di pietra, nonchè di un parapetto, dal quale si poteva godere lo spettacolo della pianura senza fine e quello di una larga gora che stagnava all'esterno, costeggiando la base del muro di cinta. I sentieri si serbavano a mala pena, tanto erano scarsamente battuti.

      La contessa Galli condusse sua figlia sulla montagnuola e sedette. Diana rimase in piedi. Indovinava, a un dipresso, le intenzioni di sua madre, sentiva venir la burrasca, senza poterla evitare.

      Per un momento, quelle due donne stettero raccolte in un silenzio grave. S'udiva, poco lungi di là, dietro il boschetto, lo strepito dei cavalli che si governavano nelle vicine scuderie. Dalla lucentezza immobile del fossato esterno saliva una frescura umidiccia ed un musicale ronzìo di moscerini.

      La contessa Galli fu affettuosissima colla figliuola e fe' rapida strada nell'argomento. Le disse di aver avuto un lungo colloquio con Leone, d'aver deplorato con lui le difficili e spiacevoli circostanze della posizione. Parlò del sincero pentimento del genero, egli riconosceva apertamente i suoi torti e nutriva vivo desiderio di ottenere il perdono di sua moglie.

      Diana sorrise. Ora!... disse con profonda amarissima ironia.

      La madre, sconcertata un'istante da quell'enigmatica parola e più ancora dall'accento col quale era stata profferita, riprese con somma e dolce cautela, le proprie argomentazioni.

      Leone aveva errato, senza dubbio, aveva crudelmente offesa la sua povera Diana. Chi, più della madre, aveva sofferto dell'infelicità, della figlia? Ma ora tutto ciò era passato, finito. Dio aveva parlato al cuore di Leone, le cure, l'affetto della moglie lo avevano richiamato sulla via del dovere, cancellando in lui ogni traccia del passato. Diana trionfava ora, nel pentimento e nel ravvedimento del marito.

      E con questo riferto, alquanto amplificato, a dir vero, sul tracciato della missione affidatale, la buona signora credette d'aver tagliata la testa al toro.

      Ma Diana non rispondeva. Appoggiata al parapetto, guardava non già sua madre, ma qualcosa che a lei sola era visibile, nelle sfumature dell'orizzonte. Stava rigida, immota colle ciglia aggrottate, il suo volto era duro, contratto, recava una espressione che turbò la madre, più assai di quanto nol lasciasse scorgere.

      — Ebbene? chiese questa, cercando di sorridere e di parlare scherzevolmente.

      — È impossibile!... disse Diana con accento vibrato.

      — Impossibile?... Oh che parolone, mia cara Diana. Ma perchè?

      — Perchè è impossibile. Doveva pensarci prima. Ora, è tardi.

      — Non è mai tardi per pentirsi. È naturalissimo ch'egli, rinunziando alle colpevoli leggerezze che ti hanno tanto afflitta, desideri il tuo perdono e lo implori. E tu... sei sua moglie.

      Diana ebbe un moto di rabbia convulsa. Strappò di terra alcuni fili d'erba e li gettò con un aspro gesto nel fossato.

      — Sei sua moglie, continuò dolcemente la vecchia signora. Questo stato t'impone dei doveri speciali... dirò anche, dei sacrifici. Non puoi esimertene.

      Diana si morse le labbra e non rispose che dopo un istante, con impeto.

      — Egli si è liberato da questi legami, li ha infranti, egli... pel primo.

      — Vero. Pur troppo; verissimo. — Ma quando tu lo hai sposato, mia povera Diana, quando hai giurato di esser sua, per sempre, non hai fatte condizioni speciali, non hai messe clausole preventive? Hai giurato, semplicemente ed illimitatamente. — Poi?... Egli fu debole ed infedele, mentre tu serbavi incolume, illibata la tua personale dignità di donna e di moglie.

      Sotto la sferza di quella lode materna, Diana impallidì e la sua persona ebbe un breve guizzo nervoso.

      — Egli, continuò imperturbata la madre, ebbe la sventura di cadere, non trovò, per difendersi contro le passioni la forza che tu, insidiata da esse, avresti attinte alla nostra fede, ai nostri principi. Perciò ti è serbato l'alto privilegio


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