Vita mondana. Memini
Il mio?... gridò Diana.
— Il tuo, sì. — Ascoltami, sia sincera. Sei contenta dell'attuale tua posizione? Guardami in faccia, rispondi.
Ella non rispose, nè guardò in faccia sua madre. Alzò le spalle bruscamente, come nello sforzo di un singhiozzo.
— Non puoi essere contenta, Diana... non lo sei. — E perciò, dimmi; cosa intendi fare?
— Io?... Che vuoi ch'io faccia? Che posso dire? Ma scordare, tornar come prima è impossibile. — È impossibile! ripetè esasperata.
— Ebbene, ammettiamo. È impossibile. — Ma allora, in questo caso, quali sono i tuoi progetti.
— I miei progetti?... balbettò Diana. Ma non so, non ne ho. — Vivere a Rezzano, così... nome ora.
— Sola?
— Sì... sola...
— Ma s'egli non volesse? Può venirci o condurti via, a piacer suo. Non siete separati legalmente.
— E se mi separassi legalmente?
— Non puoi farlo senza il suo consenso e senza un motivo legale. Anche nei suoi disordini, egli ha rispettata la dimora coniugale. Egli ha avuti dei torti, e tu hai tutte le ragioni, ma con tutto ciò, la legge è per lui e non per te. E quand'anche ottenessi una separazione amichevole, che faresti poscia?... Penseresti forse di venir con me?... Ma io ti amo troppo, figlia mia, per acconsentire a questo falsissimo passo.
Diana ebbe un grido.
— Tu non mi vuoi?... tu?
— No Diana, non ti voglio così. Non voglio per te una posizione ambigua, che il mondo giudicherebbe sinistramente. Ricusando di accettare il pentimento di tuo marito, rinunzieresti a tutti i privilegi della tua posizione e ne incontreresti una di gran lunga peggiore. E ciò potrebbe altresì recar danno all'avvenire delle tue sorelle.
— Io potrei recar danno...?
— Certamente, Diana. — È difficile, in qualunque condizione, il collocamento delle ragazze. Ma più ancora quando un primo matrimonio in casa avesse fatto cattiva prova. Il mondo...
Diana ebbe un gesto di fiera noncuranza.
— No cara, non possiamo scordarlo, nè sfidare le sue condanne, anche se ingiuste, anche se erronee. E sai tu che si direbbe di te, qualora tu respingendo il pentimento di tuo marito, volessi continuare un'esistenza indipendente? Che colla scusa dell'infedeltà del marito, vorresti libero l'esercizio della tua!
— Mamma! gridò Diana con un'angoscia piena di spavento.
— Sì, proseguì spietatamente la contessa Galli, il mondo direbbe questo. Sarebbe una menzogna; ma alcuni la crederebbero. Non quelli che ti conoscono... non io, appunto perchè più di ogni altro ti conosco; perchè sei mia figlia, perchè è impossibile che tu cada.
Tacque un istante, sopraffatta dalla sua emozione, dal segreto terrore che sorgeva e cresceva in lei davanti all'attitudine atterrita di Diana, davanti al suo curvo capo, al suo silenzio disperato.
— Questo solo è impossibile, proseguì concitata. — È impossibile per te. Fra tutte le sventure che possono accadere ad una donna, questa è la peggiore. Bada, parlo di noi, donne oneste, che abbiamo una fede, che amiamo il bene, che soffriamo del male, anche se lo commettiamo. Non siamo fatte per il peccato, quand'anche peccassimo. Il suo orrore ci ucciderebbe, prima o poi. Ed io vedi, io, tua madre, preferirei saperti morta! Ma non dico questo per te, Diana! Io lo so... tu lo sai pure che non puoi cadere!
Tremò visibilmente, nella gloriosa audacia di quell'asserto. Diana alzò sulla madre uno sguardo spento. — Così era infatti. E per ciò appunto; come dirle il vero?
Non lo disse. Tacque.
— Allora, continuò la vecchia signora, cercando di frenarsi, ti rimane aperta una sola via. Tornare con tuo marito.
Diana si ribellò.
— Ma non lo amo, intendi?
— Il dovere non si chiama sempre amore. Ed egli è tuo marito.
Certo. Leone era suo marito. Di lì, non si esciva!
Diana si sentì invasa da una lassezza infinita, incrociò le mani sulle ginocchia con un gesto di scoramento che parve all'illusa madre un principio di rassegnazione. — Rianimata da quella speranza, prosegui con accento non più austero ma affettuosissimo:
— È una sventura che tu non l'ami, figlia mia. Ma si può vivere senza l'amore. Pur di volere, gagliardamente, ad ogni costo. Sii forte e per poterlo essere; prega. Dio ti darà la forza, ti darà la pace, ti darà forse la grazia che gli ho sempre chiesta per te, la grazia che tanto muta, tanto appiana nel cuore della donna, ti darà la maternità.
La maternità! pensò Diana. Sì. Ma a qual prezzo...!
Non parlava più, ora, persuasa di aver detto tutto ciò che poteva dire, compresa dall'onta di ciò che l'era d'uopo tacere, spaventata dalla gravità dell'ammonimento che la previdenza materna aveva celato sotto l'apparenza di una lode, convinta, nell'intimo del cuor suo, dell'inesorabile vero delle materne parole. Ma convinta pure e con pari forza di convincimento di amare Alberto, di non amare Leone e di non poter vivere con lui, senza amarlo.
* * *
— Ho inteso; disse lietamente Leone a sua suocera, il giorno prima della partenza di questa, ho inteso. Va tutto benone. Ora, lasci fare a me.
La contessa Galli non bramava però ch'egli dasse troppo ampia latitudine alla relazione testè fattagli del colloquio con Diana. Le pareva ch'egli corresse alquanto la posta.
— Ma bada, sai, ti raccomando. — Non ho mica detto che Diana...
— Eh! non importa. Ho inteso, le dico. La conosco sa, è una buonissima creatura, un po' testarda è vero ma a saper fare, se ne viene a capo. Non ammetterà mai, a voce, di rinunziare a una sua idea, ma poi... s'intende, capirà anche lei! E tanto meglio se non ci sono spiegazioni fra noi, le ho sempre aborrite anch'io. Così; ce le risparmiamo a vicenda. Si mette una pietra sul passato e non se ne parla più. È la più bella soluzione che si possa immaginare.
— Intendo. — Ma capirai che ora, naturalmente, la questione è sempre abbastanza scottante, per cui ci vorranno dei riguardi speciali e...
— Diavolo! lo so anch'io. Oh che sono un ragazzo? Naturalissimo! Diana è nei suoi diritti. Per conto mio, la intendo benissimo. Creda, sono proprio dolente delle mie... ehm. Del resto, tutti capricci, sa, roba di passaggio — Le ho sempre voluto bene, anche allora! Scappate, nulla più. A volta anche Diana (mi scusi veh...) era un poco freddina, non c'intendevamo. Mentre ora, si è fatta tanto carina in questi ultimi tempi, ha acquistato un certo non so che, un chic, un sentimento che non aveva, anni sono. E poi, sarei proprio un ingrato, dopo le tante cure che mi ha prodigate. Sento che saremo proprio felici!
— Sì, ma...
— Che ma d'Egitto, lasci fare a me, le ripeto. Vedrà che belle novità le porteremo a Monsoldo, questo autunno!
Rideva, d'un bel riso sonoro di convalescente felice, baciando, da genero galante, la magra mano di sua suocera.
La contessa Galli aveva avuta parecchie volte, nei giorni scorsi, una mezza voglia di ritardare la sua partenza. Non era al tutto contenta nè della muta, accigliata docilità di Diana, nè dell'assoluta fiducia di Leone in una già avvenuta soluzione della crisi. Le pareva che tutto andasse troppo bene. — Ma d'altra parte, a che avrebbe giovato una più lunga dimora alla Morletta? Ora, toccava a loro due! Forse, suo genero non aveva torto, meglio lasciar fare a lui, cioè no, a Domeneddio. Ella aveva fatto quant'era in poter suo per preparare la via ad una completa riconciliazione, il resto verrebbe forse da sè.
Partì e nel lasciare sua figlia, che l'aveva accompagnata alla stazione, le mormorò all'orecchio