Vita mondana. Memini

Vita mondana - Memini


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cupa ed alzando le spalle.

      La contessa Galli avrebbe forse voluto aggiunger qualcosa ma il treno si metteva in moto ed ella ebbe a mala pena il tempo di dare un bacio, l'ultimo, a sua figlia.

       * * *

      Otto giorni dopo i Rezzano ebbero una bella visita.

      Alberto Mentana, il quale si recava a Milano per le corse, ebbe la gentile idea di allungare alquanto il suo viaggetto, recandosi alla Morletta, per costatare, de visu la perfetta guarigione dell'amico.

      Rimase soltanto a colazione, resistendo a tutte le insistenze di Leone, perchè si trattenesse almeno un giorno intiero. — Ma quelle due ore furono proprio piacevolissime, si fecero grandi progetti per Rezzano, ove si ritroverebbero tra breve. Leone pregò l'amico di aiutarlo a convincere quella testarda di sua moglie che voleva sempre ritardare la partenza per Rezzano, temendo per lui la fatica del viaggio. Come se non fosse guarito ora... perfettamente guarito! Si stava freschi a dar retta alle donne e alle loro paure!

      Leone parlò molto di sua moglie, con una specie di lepida insistenza, piena di buon umore. Narrò a lungo della sua malattia, delle infinite cure prodigategli dalla sua infermiera.

      Alberto ascoltava, sorridendo, coll'occhio alquanto socchiuso.

      — Allora... a rivederci a Rezzano, disse nell'accomiatarsi e rivolgendosi alla moglie dell'amico.

      Non eran rimasti soli un secondo, non s'erano scambiati una parola furtiva, ma Diana, colla mano ancora tremante della stretta di addio che Alberto le aveva data al momento della partenza e sotto gli occhi del marito, sapeva di certa scienza che non certo in Alberto avrebbe trovato un ajuto contro sè stessa e ch'egli l'amava ormai senza pietà nè misericordia!

       Indice

      — Allora, diciamo martedì eh? Va bene, martedì prossimo.

      S'era al sabato.

      — Martedì, ripetè Diana lentamente, come trasognata.

      — Sì. — Martedì. — Sono stufo di star qui che non ne posso più e voglio trattenermi un poco a Rezzano prima di andare ad Acqui. Anche tu hai bisogno di cambiar aria. Sei pallidina, da qualche tempo in qua. A Rezzano, se non altro, c'è un po' di gente, ora. Poi c'è Alberto, che verrà a farci compagnia, inviteremo qualcuno, troveremo qualcosa da fare. Vuoi che facciamo addobbare a nuovo quell'anticaglia del nostro appartamento?

      — No, disse Diana, trasalendo, no, lascialo stare.

      — Oh bella! e perchè no? Credevo che voi altre donne aveste tutte la manìa dei cambiamenti. Pare che tu sia un'eccezione. Ovvero, ti spiace forse perchè colà abbiamo iniziata la nostra luna di miele?

      Ed ammiccò, ridendo.

      Una vampa passò sul volto di lei e gli occhi ebbero un lampo di uragano.

      Egli continuava a ridere, canzonando sua moglie, trovandola bella, sotto l'impeto di quel colpo di sangue, guardandola coll'espressione speciale che tornava ormai sì frequente negli sguardi di lui.

      — Suvvia! che bisogno ci è di arrossire a quel modo. Non già che t'imbruttisca, sai. Eri bellina anche allora, un bocciolino di rosa, con quell'arietta da educanda, ti ricordi? Ma adesso sei molto più simpatica, e ti prometto che a Rezzano non te la passerai troppo male. Sarà la nostra luna di miele N.º 2! No... che sciocca, non alzarti, cos'hai?

      Ma ella, malgrado l'ammonimento di Leone, s'era alzata e si dirigeva verso l'uscio.

      Egli volle trattenerla, ma Diana non cedette.

      — Lasciami, ti prego, gli disse con voce fioca, non mi sento bene.

      La guardò. Qualcosa, nel volto di lei, giustificava l'asserto.

      — Cos'hai? Ti ha fatto male qualcosa a colazione? le fragole, forse.

      — Sì... le fragole, mormorò Diana.

      Diavolo! pensò Leone tornando in sala dopo aver accompagnato sua moglie sino all'uscio della sua camera, che si ammalasse lei, ora!

       * * *

      Ma Diana non si ammalò e il martedì la trovò pronta pel viaggio di Rezzano.

      Ell'era docile e quieta quanto si poteva desiderare. La tacita riconciliazione pareva aver tutto sistemato fra quei due. — Al passato non si alludeva mai. Leone non ci pensava più e forse non ci pensava più neppur Diana. Il presente, col suo nodo gordiano, sì stranamente aggrovigliato dalla fatalità, assorbiva tutte quante le facoltà dell'anima sua.

      Leone, dal canto suo, memore forse dei saggi consigli della suocera, aveva avuto il buon senso di non accentuar troppo, presso Diana, la parte di marito ravveduto. — È vero che Diana, col suo contegno non lo incoraggiava soverchiamente, ma egli s'era fitto in capo che tutto ciò potesse stare, finchè si stava alla Morletta. A Rezzano, poi...

      Egli attribuiva il contegno riserbatissimo della moglie ad un miscuglio di risentimento pei vecchi torti, ovvero ad un fermento di gelosia retrospettiva e il suo amor proprio, lusingato, accettava facilmente quella facile spiegazione. Supponeva altresì in sua moglie un'astuzia, recentemente acquisita, di farsi valere, un'arte sagace di farsi desiderare, una rivincita dell'amor proprio femminile sull'umiliazione d'aver sì lungo atteso, nell'abbandono.

      Quasi egli sapeva grado a Diana di essere diventata un po' più simile alle altre, l'aveva tanto imbarazzato a volte, con quella sua cieca fiducia, con quelle sue ingenuità dell'altro mondo!

      Ma ora, interpretata così, a modo suo, Diana gli piaceva sinceramente. Parola d'onore, era carina sua moglie, quasi quanto potrebbe esserlo la moglie di un altro!

      Ella era dunque già vestita pel viaggio e sedeva sotto l'atrio, nella lunga poltrona chinese. Teneva fra le mani un grosso mazzo di garofani, testè recatole dalla moglie del fattore.

      Era assai pallida, una perplessità estrema si leggeva sul suo povero volto.

      — Diana! chiamò Leone dal giardino, sei pronta?

      — Sì, rispose Diana, si va?

      — Non subito, fa ancora troppo caldo. Ho detto che attacchino per le tre. C'è un'ora buona e io vado col fattore, per certe cosuccie.

      S'avviò frettolosamente, ma si trattenne tosto.

      — Leone! aveva chiamato lei, con voce vibrata.

      — Che c'è? chiese Leone attonito.

      — Leone, ripetè la misera donna, supplichevolmente, lascia che telegrafi alla mamma.

      — A tua madre? Ma perchè?

      — Per dirle di venir subito da noi... a Rezzano.

      Leone guardò sua moglie come si guarda una bimba capricciosa ed esigente.

      — Di venir subito! Ma sei matta?

      — No, non son matta. Credilo... Lascia almeno che le scriva di venire.

      — Ma ti ripeto che sei matta! Non è stata qui or ora più di un mese?

      — Non importa. Sarei così contenta. Non posso dirti... Ma tu se sapessi... Leone!

      — So che sei un bel tipo e che tutti i giorni ne inventi una nuova. Neppure per idea. Verrà più tardi, quest'autunno. Ma per questi primi giorni, non voglio gente in casa. Mi basti tu, hai inteso?

      Ella aveva inteso. Non insistè. Ebbe un semi sorriso, indefinibile.

      Leone era già andato pei fatti suoi col fattore.

      Diana stava lì, sotto l'atrio, perchè non sapeva più dove stare. Le sale


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