Storia di un'anima. Ambrogio Bazzero

Storia di un'anima - Ambrogio Bazzero


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agosto, giovedì.—Compie oggi l'anno. Come avevo deciso di uccidermi?—Andrò a Parigi: ma l'anima mia è a Limbiate: a Limbiate la mia illusione!

      O Lidia, come ti amo!

      23 agosto.—Andrò a Parigi. Mio padre oggi mi ha dato i denari. Rimasi avvilito:—Che cosa ho fatto per meritarmeli?

      O Lidia, penso malvolontieri al viaggio. Mi pare che Tu debba ancora essere a Limbiate.

      Limbiate, 8 ottobre 1878. Martedì.

      So che il suo matrimonio è andato in fumo, perchè lo zio le negò il consenso…. Che parte ho avuto io in quell'animo?—Che deserto! È vuoto quel palazzo, e piove, e mi ritiro (santa illusione) a scrivere un po' di tedesco e di inglese, pensando a Lei…. E Lei penserà a me?

      Spero sempre: e benedico le mie melanconie. Mi illudo che Ella capiti a Milano, ch'io la riveda, ch'io… O Ella ha l'anima mia: ella leggerà i miei pensieri. Potrà sprezzarmi?

      Domenica, 24 novembre 1878.—Sono a Milano, da quasi una settimana: e come mi sento triste! Sempre il tuo pensiero, o Lidia! Come all'anima mia abbisogna la tua! Come mi sento bisogno di amare, di credere, di sperare!—Un amico mi ha domandato se sono divenuto filosofo, anch'io. Sì, ho risposto, ed ho riso.

      Filosofo gaudente e indifferente? Filosofo?—Ohimè, come mi diventa indifferente l'idea del suicidio!

      Oh gli amici non mi comprendono! Sono anime piccine: Sono corpi oscuri:—Sono mezze creature.—Come desidero di morire! Oh mia madre, come ti voglio bene! Ma perchè hai soccorso sì poco all'anima mia!

      18 dicembre.—O mio avvenire! Mi si presentano sogni, e imagini e speranze, con una evidenza e una serietà di particolari che quasi mi illudo… e sogni e imagini e speranze si fondano su di Te. Da tre mesi e mezzo, non ho più guardato il Tuo ritratto, o mia vergine, e mi sforzo a ricordarti tutta, coll'anima!

      Tre grandi illusioni sono il mio grande tormento: tre grandi illusioni nella vita di un giovine bennato, Dio—la Donna—l'Arte.

      Mi sento solo—e la notte mi turba con mille paure.

      Un altro pensiero che pareva sopito da tanto tempo risorge a infastidirmi nell'amor proprio,—ma non scrivo; su queste pagine, consacrate al Tuo nome, o Lidia, non scriverò nessun altro nome di donna.

      Martedì, 24.—Ecco un'ora triste!—Ieri sono stato fra la gente, ho visto dei giovinotti eleganti; delle belle signore.—Non so scrivere:—i sogni mi perseguitano con maliarda voluttà. Che ho provato io della vita? Nulla e mi sento stanco, vecchio, senza speranze, e senza scopo.

      Oh qual bisogno d'esser felice!

      Ma a che tradurre Byron? a che tradurre Heine? Byron e Heine hanno vissuto: ecco la poesia.

      Ho ingegno sì o no? E che cosa faccio?

      O come desidero di morire!

      Rileggo un poco del mio Tintoretto! O che giorni erano quelli in cui scrivevo quelle scene, appena guarito dal tifo! Che vita! che speranze! che amore! Come mi sentivo artista, buono, solitario!—Sono scorsi già quattro anni. Quattro anni! E come sono io oggi?—Oh! leggo, leggo alcune scene.—E ricordo quello che mi dissero Marenco, Lombardi, Ferrari.—Oh come ho bisogno di risvegliarmi, di risvegliarmi alla vita, e dire ho la donna, e le gioie dell'Arte!

      Ma è un sogno. E desidero di morire.

      —L'anima mia che è?

      Oh! s'io morissi! Ma s'io morissi, le fanciulle continuerebbero a prendere marito.

      Mi è pure uscita una triste parola.—Oh la donna! valgono tanti tormenti dell'anima per lei?

      La donna! avessi ascese le scale del lupanare, quando, a diciott'anni mi vennero le prime melanconie, e correvo tutti i giorni a pregare Dio, e non per me! Ah! ero troppo stupido!

      Ma uno scopo ci dev'essere all'attività; alle febbri della mia età. Non sono nato per i divertimenti, non per lo studio, non per la gloria—oh potessi fare il bene, sì, e obliarmi nel beneficare chi soffre. Unico scopo, la carità.

      31 dicembre 1878.—Ultimo giorno di un anno inutile nella mia vita.—Ho studiato l'inglese e il tedesco: ho letto molto: ora leggo molto, e con un ordine. Voglio farmi un'idea netta della letteratura del nostro secolo, e passo le giornate al tavolo colle grammatiche, e alla biblioteca con Monti e Manzoni e—sono sempre scoraggiato.

      1° gennaio 1879.—È passato anche il 78!

      E Lidia ove sarà? che farà? Si ricorderà di me? Ho riletto tutte queste memorie. Ho sperato sempre e spero ancora.

      3 gennaio.—Oh se potessi andare a Venezia! E le conseguenze? E mio padre?

      Perchè Lidia non si è maritata?—Non ho ancora aperto la busta del suo biglietto, ma ho intravisto…. Nemmeno il carattere della carta da visita è cambiato. Dunque non ha aggiunto nessun nome al suo…. E se avessi intravvisto male? Vorrei vedere subito.—No,—domani.—E in quante speranze mi perdo!

      Si era un po' assopita l'anima mia. Perchè torno a svegliarmi? e sento tanto tormento di incertezze e di speranze?—Vorrei.

      5 gennaio.—A che studiare? È una bellissima giornata: sole, luce, vento sciroccale: l'atmosfera nettissima: suonano campane e campanone; la ballerina si affaccia al balcone discinta e canta a squarciagola…. e senza sentimento! Oh la vita!—Io sono nè triste, nè allegro: sono nervoso, impaziente.

      E penso.—Io ho mandato a Lidia il mio biglietto di visita senza una mia parola, senza il mio indirizzo—e Lei mi manda gli auguri e scrive il suo indirizzo…. Il suo indirizzo non è un invito a scriverle? O forse avrà bisogno di una parola amica?—Ed io tacerò se è dovere.—Ma c'è un altro dovere….—Ma se è destino?—Stamane pensai agli amici, ai parenti, al mondo, e mi spaventai….

      Quali incertezze!

      6 gennaio.—O Lidia! (scrivo dalla Biblioteca di Brera: è mezzogiorno, suonano le campane: e mi pare di essere in una città di provincia, e mi faccio triste, per gustare quella melanconia che avrai gustato Tu tante volte a Mantova e a Venezia! Questa estate, qui, le campane mi avevano il suono delle campane di Limbiate, e sospiravo!) O Lidia, ho qui il biglietto che mi spedisti Tu ieri da Venezia, in ricambio…. La busta non l'ho ancora aperta: e tutt'oggi non l'aprirò, gusto questa incertezza. Oh sono felice!—A Limbiate non sapevo più nulla di te: a Milano nulla. Quattro mesi erano scorsi: potevi esser morta. Io affidai al caso (no, no, a Dio!) il mio biglietto di visita per te…. Così era lontano dal credere che tu lo ricevessi!—E l'hai ricevuto! Oh qual gioia per me avere una busta scritta da Te…. e dico nel mio cuore, scrivendo il mio nome, avrà pur dovuto, fosse solo per un minuto, pensare a me!—Una volta ho ricevuto il tuo ritratto (10 ottobre 1877): una seconda volta la tua lunga lettera (23 ottobre 1877): ed ora un tuo biglietto…. avrà qualche frase? l'indirizzo? la data?—Non so! Non apro la busta: ma mi sento felice.—Rispondendo al mio biglietto mi hai dato una gran prova di stima…. potevi lasciarmi supporre di non aver ricevuto il mio…. Ma a che ragionare? Mi sento felice.—Nell'ultimo giorno dell'anno 1878, io ruppi i suggelli a certe mie carte, e rilessi, rilessi le mie annotazioni! Trovai una grande disperazione e una grande speranza—anche quando ero certo che Tu eri la moglie di un altro.—Ed ora lo sei? Se il tuo biglietto portasse un altro cognome?-

      O Lidia! Lidia! a che studiare? quando si è così felici nell'amore santamente?—Oh come ti amo! E come spero? Dio può ingannarmi? Dio ha fissato che tu sii la mia donna! senza confidenza, senza speranza, ho gettato in buca il mio biglietto… ed oggi… oh non l'aspettavo più il Tuo!—Col tuo biglietto sul cuore, volli entrare nella Chiesa di San Marco a osservare le sculture antiche e fingevo d'essere a Venezia, poi sono andato al Duomo.—Sotto le arcate del Duomo, l'inverno scorso, ho sperato e temuto mille volte d'incontrarti col tuo sposo; sotto quelle arcate ho ricordato tutte le domeniche le espressioni della Tua lettera, e ho cercato di tradurle in inglese e in tedesco (soave illusione!); sotto quelle


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