Storia di un'anima. Ambrogio Bazzero

Storia di un'anima - Ambrogio Bazzero


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gennajo.—Cinque anni fa, come oggi, mi posi a letto. Se fossi morto?… Io sarei in pace, ma Ella non avrebbe avuto Lagrime e Sorrisi, e la mia lettera…. Mi conosce? Penserà a me? Al male che mi ha fatto?

      25 gennajo.—Conosco pochissimi romanzi: e li ho letti assai tardi: a venticinque e ventisei anni non hanno lasciato traccia su me, li leggevo, come li avrebbe letti un presidente di Tribunale. Leggendo Young, Foscolo, Leopardi, Goëthe, Byron, Heine, Rousseau… dicevo a me stesso «che teste bizzarre!» e pensavo: è più utile un ingegnere che un poeta pazzo. Oh lo dico francamente: le letture non hanno esercitato nessuna influenza su me.—Leggevo per esercizio di lingua francese, inglese e tedesca.—Se un autore ha avuto influenza su me è Aleardi, e, vedete, Aleardi non può far male!

      Deciditi, sciocco! Chiudi in una busta tutte queste memorie: suggella, come si chiude una pietra di tomba; e non pensare più al passato: gettati nella vita! già troppi anni sono passati e fra pochi altri incomincerai ad esser già vecchio! Nella vita!—Oh se potessi viaggiare! E perchè? Chi mi strapperebbe il cuore e il cervello? L'orgia? la femmina?… Ah! alcune volte lo dico a Dio: se rinascessi, fammi nascere donnaccia volgare e venduta, e fammi conoscere tutte le crudeltà della libidine!—Potessi gettarmi nella vita!

      Si ha tanta affezione ai propri dolori, alle proprie illusioni, alle speranze, quando una vergine nel giorno del sacrificio immenso ci dice: Conosco che il nostro affetto è puro, è nobile—ho per voi una confidenza di sorella—non dimenticherò mai quello che voi siete stato e quello che volevate essere per me.—E sono dolori, illusioni, speranze che hanno consacrato sei anni e sei anni della giovinezza, sei anni dai ventidue ai ventotto anni.—Ah se sul cuore si potesse porre una pietra come su una tomba! Ma anche pei morti si spera la resurrezione!

      25 gennajo.—Oh mie memorie di Limbiate, come mi tornate davanti alla mente, carissime e meste! E voi tranquille pinete, tranquillissime mura, squallide croci, mi ricordate il mondo della mia ardentissima vita. Come vi amo! Come vorrei rivedervi una giornata triste! Oh memorie dolci e piene di speranze, della mia malattia e della mia convalescenza! Il piccolo portafogli l'avevo sotto il mio guanciale: quando i miei parenti erano a pranzo, mi tiravo su a sedere sul letto, prendevo il portafogli, lo aprivo, leggevo il tuo nome e lo baciavo. E i miei libri francesi? Raphael et les confidences? E il primo lampeggiarmi alla mente l'idea che della vita del Tintoretto si potesse fare un dramma, e con quel dramma potessi conquistare un nome, e col nome, un avvenire? E il piacere di trovarmi ingentilito dalla malattia? E la soddisfazione di dire: «Mia madre sa che ho sofferto?» E le trepidazioni, le incertezze?

      26 gennajo. È una domenica calduccia, sciroccale, umida. Apro la finestra.—Ho trovato uno schizzo dal vero fatto a Limbiate probabilmente nel 1863 o 1864: lo amo!

      31 gennajo.—Il tempo si è fatto triste. È inverno.

      Quali incertezze!

      Se fosse qui vicino ardirei parlarle? No: sono troppo villano di corpo.

      Compero armi antiche: getto denaro e vorrei gettarne di più. Ed

       Ella lavora per guadagnare.

      2 febbrajo.—Jeri sera ho offeso, villanamente offeso, un mio amico. Lidia, perdonami! Ma così contraffatto, e incerto come sono io, il mio carattere può essere riflessivo e paziente? E i miei nervi?

      Sera.—Sono tranquillo, anzi sono lieto. Sono tre anni di vita riassunti in quei drammi e in quelle epigrafi (1874-75-77). E che? Non temo? Dio mi vede nell'anima.

      7 febbrajo.—«Je remercie l'ami de se souvenir de moi et l'auteur de me juger digne de l'apprécier: à tous deux je serre affectueusement la main.(7)»

      O Tintoretto, quanto mi costi! O Byron, o Goëthe, per leggervi ho speso un anno di fatiche e di illusioni e di delusioni!—L'amico si ricorderà sempre di voi.

      Questo amico che ha votato alla solitudine e allo studio gli anni più belli e più ardenti della sua giovinezza, colla sola gentile confidenza in Dio che un'anima di sorella ci poteva essere, la quale conoscesse le religioni del suo affetto e le febbri del suo povero ingegno, questo amico, qualunque sieno le circostanze della sua vita e della Vostra, vi ricorderà sempre. E vi prego di una cosa sola:—in quei giorni almeno in cui tutti per abitudine mandano un loro biglietto di visita ai conoscenti, per un mesto pensiero Voi non vogliate essergli avara del Vostro, perchè almeno egli sappia che Voi siete ancora a questo mondo e dove siete. Se poi verrà il giorno in cui al vostro biglietto vedesse aggiunto un altro, l'amico dirà:—Che essi siano felici!—e state sicuri, la sua preghiera a Dio sarà senza rossore, senza rimorso, senza un pensiero mondano, perchè incomincierà coi vostri nomi e finirà coll'augurio che si fa sulla culla degli innocenti (8 febbrajo 1879).

      11 febbrajo.—Povero illuso! Aspetto ancora una lettera!

       Comme une étoile dans la nuit!

      14 febbrajo.—Una lettera di Lidia! Che spavento! Ella è infelice e si confida in me. Vuole consolazioni da me?

      Che le dirò? Che posso fare?

      È giunto il momento che in sei anni ho sospirato.

      Essa è libera, è infelice,—è povera,—e si volge a me. Ed io?

      Ella mi ama! sarà mia?

      Etant pauvre il faut que je travaille(8).

      Lidia, l'anno scorso, in febbrajo, io ti credevo sposa a un altro. Quest'anno in febbraio, Tu ricorri a me per avere conforti! O Lidia, come io saprei farti dimenticare quello che hai sofferto! Io che ho sofferto sei anni! e soffrivo quando tu non sapevi di me!

      Forse Dio ha già stabilito tutto. L'ho sempre sentita questa profonda confidenza, anche quando ti credevo sposa a un altro.—Lidia, sei mia, sarai mia. Mi voto a te.

      Se Ella venisse a Milano?

      O mia Lidia, sono felice! Potessi vederti qui, nella mia casa!—Ti scriverò, come si scrive a una sorella.—È destino, no, è volere d'Iddio che noi abbiamo a trovarci, fosse pure fra dieci, fra venti anni! Ma ella è povera…. e vivrà? O Dio, sento una profonda fede in Te, l'ho sempre sentita anche nella disperazione, ho fede! e Tu mi dai la speranza!

      Povera ragazza! Sono io un infame, che la illusi? No: Dio mi vede. È Dio che ha disposto che io debba essere a Lei un fratello, un consolatore. Oh come mi sono meritato questo affetto di sorella!

      «Etant pauvre il faut que je travaille.» Ecco perchè Ti sposerei: per lavorare insieme, per darti gli agi di una discreta posizione: ecco perchè Ti vorrei mia…

      16, domenica.—-Ho letto un po' dell'Ugo. La mia vita la sfogavo in quei tormenti drammatici! Chi può capire la potenza di certe mie pagine?

      17 febbrajo.—Come sono felice! Io amo e sono amato! O Lidia, l'anno scorso, di questi giorni, chi me lo avrebbe detto? Ma sentivo che l'anime nostre dovevano incontrarsi!

      Jeri ho adorato la Madonna della nostra Pinacoteca fingendo ch'Ella fosse con me, con me felice, sorella, vergine!—Come sono felice! Sento di vivere! Sì, e parlo in casa, e fuori di casa, pel primo, mi intrattengo coi conoscenti, parlo, rido, non abbasso gli occhi…. Vivo! o Lidia, da quella prima sera che ti vidi a Limbiate ad oggi come ti ho sempre amato! ma quale scoraggiamento nel pensare «Mi amerà lei? o almeno si ricorderà di me?» Forse Ti ero indifferente!—Ma in questi giorni mi ami! mi ami!

      O mamma, come sono felice!

      Come Ti amo! Ma ricomincia il tormento:—Come farmi una strada?—come lavorare a prepararmi un avvenire?

      Io sono poeta!

      18 martedì.—Jeri sera come fui melanconico e scoraggiato! Come farmi una strada?

      19 febbrajo.Etant pauvre il faut que je travaille.—Come mi addolorano queste parole! In casa si discorre di comperare carrozze. In sei anni io credo che ventiquattro mila lire si sono spese per questo inutile lusso. E tu lavori!

      Jeri


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