Storia di un'anima. Ambrogio Bazzero

Storia di un'anima - Ambrogio Bazzero


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d'una meravigliosa evidenza. Sembra che la parola stessa rinunci alla sua logica natura per diffondersi in colore e in luce.

      Leggete com'egli descrive i grigi pennacchi dell'onda che vengono a incalzarsi, a sfioccarsi, e il suo gonfiare e suo colmo trasparente verdissimo e il concavo lenissimo e il fragore e il dibattersi delle ondine che sommuovono ciottoli, e i mille rivoletti che ridiscendono con troscie lucenti (vedi a pag. 158). La lingua, come sentite, si ripiega sotto l'urto dell'impressione e scattano fuori delle arditezze felici che piacquero di poi in libri meno significanti. Si avrebbe torto di volere in una prosa comune ciò che scoppia continuamente con impeto lirico, ciò che divaga nei mille capricci dell'ora, dell'estasi, della tristezza, dell'umorismo e si perde nelle azzurre profondità di una filosofia panteistica. Aprite il libro e leggete subito, per farvi un'idea dell'uomo, il bozzetto Sera a pag. 184. Se vi pare che due dei nostri trecento lirici classici abbiano più profondamente sentito il dolore di un tramonto, e lo spasimo voluttuoso di quel dondolarsi a fior d'acqua e di quello spandersi dall'anima sui colmi dell'onda, di quel vanare nell'infinito, dite pure che il Bazzero è un poeta inutile di più. Per me, apro il mio cuore, certi tratti conservano ancora dopo tanti anni una freschezza che molte lodate liriche di quel tempo hanno perduto da un pezzo: e rileggendo gli ultimi acquerelli, Àncora, Stelle cadenti, Barcanera, ecc., non so perchè mi risuoni nell'anima qualche accento dell'Heine, e a volte dello Sterne, senza essere nè dell'uno nè dell'altro.

      Non c'è imitazione, ma forse anche il Bazzero derivava da una fonte comune, che ha le sue scaturigini in un'elevata coscienza della nostra pochezza in faccia all'universo.

      Il pessimismo, che fa tanto desiderare al Bazzero la morte e il riposo sottoterra, non è come la rigida convinzione leopardiana un precetto sterile, ma è un dolore che cerca riposo disciogliendosi. Nel mare dell'essere egli non vuole affogarsi, ma diffondersi e coi mille atomi accesi della sua coscienza fecondare per l'umanità qualche divina idea consolatrice.

      Qual poteva essere il suo modello in questo genere pittoresco? quanti dei nostri pittori eccellenti che trattarono abilmente la penna sappero fondere così intimamente le due arti come il Bazzero? Il canto intitolato: Genova, comincia a pag. 217, con un'evocazione storica che tocca spesso a un'epica maestà, e scorrendo attraverso alle più luminose memorie della superba città, finisce in una finissima e aristocratica visione della donna genovese. Gli ultimi acquerelli: Convogli, Osteria, Montanari, son quadri fiamminghi. Barcanera è un'elegìa carica di mestizia, che più si rilegge e più persuade che la poesia esiste: Buona vendemmia vince quanto di più grazioso ha scritto Teocrito.

      Spesso i legami sono così tenui e i passaggi così rapidi, che un lettore comune crederà che le parti siano sconnesse, e accuserà ingiustamente di incoerenza e di oscurità ciò che a una seconda o a una terza lettura ricomparirebbe agli occhi suoi in una naturale corrispondenza.

      Si può pretendere che un lettore moderno legga due volte? In questi Acquerelli è notevole ancora come il Bazzero abbia saputo trasfondere la sua vasta coltura storica nella poesia senza sciupare nè l'una nè l'altra. Io non so s'egli pensasse mai a un grande poema storico, ma è certo che da questi frammenti, come dai pezzi d'un'antica rovina, si può arguire una costruzione artistica d'immenso valore. Ciò che rimpiangiamo nel Bazzero è non solo un dolce amico, un'anima candida, un caldo artista, una giovinezza recisa, ma anche una grande speranza.

      Lagrime e sorrisi: è un lavoro più giovanile che egli pubblicò in una privata edizione, e del quale mostrò sempre di fare un gran conto. È un seguito dì massime, di sentenze, di consigli dedicati alla sorella sua e dentro già vi traduce il suo genio e la sua coscienza. Il pensiero dominante in queste massime è che l'amore e l'arte, più che ogni altra lusinga, più che ogni altro compenso di gloria e di ricchezza, sono i veri beneficii del vivere umano. L'amore consiglia la carità; amando s'impara a pregare, e si ritrova Dio. Ama chi piange e le lagrime sono il battesimo della virtù. Come la natura crea il nostro corpo, così l'arte crea il nostro spirito.

      Molta giovinezza, vale a dire pochissima esperienza, troverete in queste massime, che non si possono nemmeno avvicinare a quelle del gentilissimo Vauvenargues, morto giovane e saggio. La vita in quasi tutti gli scritti dell'amico nostro è ancora al primo suo momento, quando più la si sente che non la si comprenda. Ma la giovinezza è la stagione dei fiori, e se anche con fiori non si possono fare che delle inutili ghirlande, bene amiamo averne pieni i giardini e la casa. Mi guardi il cielo dunque ch'io voglia ridurre queste massime e l'arte tutta del Bazzero a un sistema, e rilevarne le frequenti contraddizioni, e la non molta profondità pratica. Leggano le anime più giovinette queste pagine e lascino che la dolce poesia trabocchi dagli orli. Arido è il tempo e aride le ragioni del tempo: beato chi s'inebria una volta nella sua vita! vien per tutti necessariamente e troppo presto la stagione che la mente vede più chiaro le cose del mondo nei loro rapporti relativi e proporzionali, ma è sempre un giorno triste quando si scopre il primo capello bianco. Il Bazzero non ebbe il tempo di affilare la sua filosofa fino a farne uno strumento di morte contro sè stesso; e morì prima che la critica di sè corrodesse la sua abbondante spontaneità. Storia e filosofia sono ancora in lui, come nel primo stadio della civiltà, allo stato poetico. Egli non seppe mai, come i modernissimi scrittori fanno, rendersi il minuto conto dell'opera propria e calcolare la quantità degli elementi che entravano a comporre il suo ideale, farne dei prospetti, rintracciarne la derivazione, pesare a piccole dosi la produzione chimica del proprio pensiero.

      Le Corrispondenze segnano un passo dalla poesia colorita alla poesia del disegno. Sono meno abbaglianti degli Acquerelli, ma più consistenti. L'impressione va perdendo alcun poco della sua vaporosità per concretarsi in un corpo. Ci sono ancora i prediletti sfondi, i mari trasparenti e celesti, le vastità fantastiche, ma uomini e cose cominciano insieme a farsi avanti e a tenere il campo del quadro. La realtà viene incontro e lo scrittore dopo averla accolta con giovanile trasporto, la segue, la insegue, la trova,

      È da alcuni tratti di queste Corrispondenze che si vede ancor meglio quello che il Bazzero avrebbe potuto scrivere al volgere del suo trentesimo anno, quando placato il torbido senso giovanile, fosse venuto alla vita nella chiarezza d'un sentimento più riposato.

      Le Corrispondenze sono argomenti semplicissimi, che il Bazzero eleva a una maggiore dignità. Pur scrivendo per conto di giornali di Moda e di Sport non riusciva mai lo scribacchiare a questo povero uomo. Aver la penna in mano voleva sempre dire per lui erigersi a interprete e quasi indovino delle cose, come se la sedia del suo studiolo fosse il tripode e Nume fosse per sè l'umano pensiero. Di qui forse una soverchia abbondanza d'addobbi che pare quasi una verbosità senza significato, e non è che una eccessiva riverenza; di qui anche una risonanza nell'incedere stesso della parola, che pare gonfiezza e non è che una musica che accompagna la venerata Idea. Chi ama adora, e chi adora prega a lungo e canta. Ma fatta la debita parte alla foga giovanile, poco gli manca per essere qua e là un modello di stile. Cercate alla pagina 302 la descrizione d'un paesaggio alpestre sopra Oropa e giunti là dove egli parla di una vacca che appare col muso gemmato d'acqua, le corna sporche di terra, con una bava che fila giù dalle mascelle spostate dal ruminare, che sbarra gli occhioni, e colla coda sferza una mosca, poi sprofonda la gamba nana nei cespi di rododendron…. leggete, giudicate. Non è più l'infinito azzurro, non è più la vaporosa visione aleardiana, è una vacca viva in mezzo a un armento vivo.

      Le Melanconie di un antiquario che chiudono il presente volume sono variazioni artistiche e spirituali sopra il Natale e altre feste dell'anno, pubblicate come articoli d'occasione nel Pungolo di Milano. Era troppo lusso per i soliti abbonati. Qui troveranno la luce giusta.

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      Degli altri scritti che non entrano in questo volume non dirò che per cenni. Al solo elenco non basterebbero dieci pagine, ma vien da sè che il valore non sia uguale in tutti, come non uguale era la stima che ne faceva l'autore. Un grosso libro di Confidenze egli teneva in pronto per la stampa, e in parte anche pubblicò sopra qualche giornale.

      E la raccolta delle lettere che Lina scrive ad Ermanna sui casi della propria vita e di quella delle sue amiche. Non c'è una gran favola e un grande intreccio, ma ne forma il tema l'assidua osservazione


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