Storia di un'anima. Ambrogio Bazzero

Storia di un'anima - Ambrogio Bazzero


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le confidenze originali dell'autore, ci sembrò inutile riportare quelle ch'egli affidò a un gracile personaggio fantastico, sebbene ci dolga che molte pagine descrittive restino per ora sottratte alla curiosità degli artisti. Il nome di Lina e di Ermanna ritorna spesso nelle memorie insieme a quello di un Giuliano, titolo d'un dramma storico in cui versò molta amarezza, Un romanzo tentò su Gian Galeazzo Visconti, e tre volte ritornò sopra il Buondelmonte. Abbozzò una Cinzica, un Baldo e una quantità infinita di schizzi, d'impressioni, di pensieri, di ricordi, che, sebbene inediti, si rivedono nella loro matura integrità negli Acquerelli, nelle Corrispondenze, e nelle Lagrime e Sorrisi. In un secondo volume, che tratterà più specialmente di studii artistici e archeologici, troveranno più naturale il loro posto le sue ricerche storiche su Matteo I Visconti, sugli Italiani alla prima crociata, gli opuscoli sulle Armi di fuoco, Sulle armi antiche nel Museo Archeologico di Milano, le Riviste artistiche sull'Esposizione nazionale di Milano, e quegli altri scritti d'arte che gli meritarono le lodi dei conoscitori. Fra gli altri il direttore dell'Auf der Höhe, dottor L. von Sacher Masoch di Lipsia, gli scriveva in data del 10 gennaio 1882;

      "Illustrissimo signore!

      "Il di lei nome celebre non solamente in Italia, ma che ha passato già le Alpi ed il mare e la raccomandazione del signor professore Angelo De-Gubernatis di Firenze, mi hanno ispirato il desiderio di chiedere alla V. S. Ill. il favore di contribuire alla mia rivista internazionale. "Auf der Höhe" recentemente fondata. Noi ci siamo proposti di proteggere e coltivare le belle arti e le scienze in bella forma per un pubblico educato, ma senza eccitare contese e disputazioni. Nomi come Wallace, Flammarion, De-Gubernatis, Mantegazza, e altri che abbiamo l'onore di chiamare i nostri collaboratori, Le saranno una garanzia per le tendenze della nostra rivista. Ci recheremo a onore se la S. V. Ill. ci concedesse il favore di diventare il nostro collaboratore e fissasse l'onorario per il di Lei pregiatissimo lavoro. Aggradisca, ecc."

      Il sentirsi a un tratto chiamato da una voce lontana, il vedere il nome suo messo a lato dei più illustri cultori degli studii, ecco il primo e l'ultimo compenso della sua penosa, oscura, travagliata carriera letteraria. Poco potè rispondere all'invito, perchè nell'agosto di quello stesso anno la sua mano era fredda per sempre. Altri compensi tuttavia egli seppe procurare al suo cuore coll'esercizio delle più sante virtù civili. Alieno in tutto dai raggiri politici, volle pur entrare nella Associazione Costituzionale, che rispondeva meglio alle sue idee d'ordine, e vi si adoperò molto, offrendo la sua penna d'artista per tutte le scritturazioni d'ufficio, a redigere verbali, a compilare manifesti. Molti giovani amici, spiriti indipendenti, deploravano e deridevano costui che andava a servire un partito, o come si dice dai furbi, a compromettersi; qualche giornaluccio avversario gli lanciò sul viso le solite impertinenze.

      Egli se ne turbò, soffrì, come soffriva sempre atrocemente delle grandi e delle piccole cose, ma rimase al suo posto. Era meno furbo e più coraggioso.

      Della nostra Congregazione di carità non fu un comune patrono, ma un santo e zelante operaio.

      Vi passava le più belle ore della giornata, e nominato visitatore dei poveri, andava per le case dei più miserabili a studiarne i dolori con quell'indulgenza che perdona anche gl'inganni. A me raccontava poi le sue tristi impressioni e lo stringimento del cuore che provava nel discendere certe scale. Fu dei promotori delle Cucine economiche, dove rimase tutto un inverno a distribuire le minestre, alacre, arguto fra i poverelli, che cominciavano a distinguere il signor Bazzero fra i cento che compiono il loro bene con solennità. Nè meno caro divenne agli Artisti della Società Patriottica. Prendeva allegra parte alle loro feste, schizzava con tratti rapidi e sicuri armi antiche, con una conoscenza di cose unicamente sua, con tanto gusto che il Pagliano e altri lo consigliarono a pubblicare un album in zincotipia, che è ancora molto apprezzato negli studi dei pittori.

      Alla pittura ebbe sempre genio, sebbene non vi si dedicasse di proposito. Amò fin da fanciullo delineare tramonti coloriti, navicelle perdute nelle burrasche, boscaglie cupe tormentate dai venti. Della sua dottrina artistica e del suo gusto diede un largo saggio colle recensioni sull'Esposizione di belle arti pubblicate nel Pungolo di Milano, l'anno 1881, e in molti articoli illustrativi di cose vecchie e nuove, che egli regalava ai giornali e che non andranno perdute. Benemerito fu anche nel riordinare e nell'illustrare le Armature del Museo Archeologico, e quelle del museo Poldi-Pezzoli. Sempre disposto a far sacrificio della sua persona nei giorni di parata, era invece il più tenace e sempre il primo nei giorni di lavoro; non ebbe, nè dimandò ricompense ufficiali.

      A Limbiate, in mezzo ai contadini, egli si sentiva più libero e più allegro. Quando vedeva una frotta di ragazzi in strada, chiamava a sè il più grande e gli dava qualche soldone perchè comperasse e distribuisse con giudizio una manata di zuccherini. La frotta scalza pigliava la corsa per la piazza come uno stormo di passeri, gridando: Viva el scior Ambroeus!

      Egli correva in casa, ridendo, fregandosi le mani, col suo passino leggiero che non si sentiva, e per quel dì la gioia era con lui e cogli altri.

      Ciò non impediva che il giorno dopo la nostalgia degli spiriti pellegrini sulla terra non rattristasse di nuovo la sua fronte. L'amore, l'arte, un nascosto e doloroso desiderio di gloria, un credere altrove, sempre troppo remota da sè, una felicità che non esiste che in noi, il sentimento esagerato della propria pochezza sociale in contrasto con un non proporzionato concetto della propria individualità solitaria, le continue apprensioni, pur troppo non false, del suo presto finire, tutte queste erano le cagioni che lo facevano comparire ora torbido e rinchiuso, ora sospettoso e incostante,

      Da qualche lettera risulta ch'egli meditò più volte la morte, e vi andò vicino: altre volte pensò di entrare tra i monaci dell'Ospizio del gran San Bernardo. Fu religioso perchè fu buono e amò sua madre: ma più ancora perchè fu artista. Ogni passo verso una perfezione è un passo verso Dio, che sta nei cuori; nè la Intera Bellezza si può desiderare senza credere a lei come alla luce. La sua non fu la fede d'un catechismo, ma neppure un delicato epicureismo che teme, non credendo all'infinito, di rifiutare la più grande delle umane emozioni. Egli è pio e sincero anche quando sembra disperato.

      Di una tale esistenza non comune, alla quale s'intreccia un delicato nome di donna, voi troverete nella prima parte di questo libro i documenti. E il libro anzichè una stonatura, come temono i suoi amici, crediamo che possa essere un raggio di sole che ritorna e nel suo complesso un prezioso documento a tutti quelli che studieranno l'evoluzione del pensiero e del sentimento italiano in quel tumultuoso periodo che succede alle battaglie dell'indipendenza, quando l'entusiasmo che le ha compiute diventa il primo imbarazzo del vincitore. Tutto è disordine ancora, non si sa quel che si vuole, ma si vuol molto, da tutti. Il linguaggio epico urta colla necessità ufficiale, il passato ingombra il presente e impedisce alle giovani forze l'andare avanti.

      Ambrogio Bazzero non è solo in questa evoluzione, e per non parlare che di una piccola scuola milanese, mi pare che i nomi del Rovani, del Tarchetti, del Praga, del Dossi e del Boito abbiano con lui molti punti di affinità artistica. A tutti costoro mancò forse una ricca suppellettile accademica, ma tutti amarono l'arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori.

      D'Ambrogio Bazzero non vorrei che l'antica devozione mi avesse tratto a dire cosa maggiore del vero. Che se a chi lo conobbe e a chi lo conoscerà fra poco dovesse sembrare il mio giudizio troppo infiammato, io non mi pentirò d'aver consumato il mio fuoco a riscaldare questa cenere benedetta. Da due anni il povero Bazzero giace sotterra, e più che da due anni giacevano rinchiuse e morte le ignorate pagine dell'anima sua. Non si risuscita un morto senza un gran grido.

      * * *

      Il tifo che l'aveva già colpito nel 1873, lo assalì una seconda volta ai primi dell'agosto del 1882. Fu una malattia rapida, senza pietà, che il fratello Carlo descrisse in una potente Commemorazione che ha scosso ogni cuore. L'anima di Ambrogio aiutò a dettare quelle pagine così vere e così tremende che narrano un fatto tanto comune, il morire. Così termina quello scritto:

      "Era la mattina di lunedì 7 agosto, il giorno che egli aveva

       stabilito per la partenza pel suo giro di svago.

      Alle 9 e 45 l'infermiera, fatto il segno di


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