Novelle. Cesare conte Balbo
via fatta già coll'esercito fuggitivo, ed era tornato a Mosca; ed indi poi n'avea fatta più che altrettanto assai, fino ai confini della Siberia. Dove dispersa la colonna, e mandati i prigioni chi qua chi là, con pochi soldi da vivere, ognuno s'era messo a servizio, e a lavorare d'una o un'altra sorta; ed egli aveva in casa a un signore di que' paesi fatto da giardiniero e soprastante per la campagna. Onde quel signore gli avea posto grande amore, e s'era malcontentato assai quando, al principio del 1815, erano stati liberati tutti i prigioni. E che, quando non essendo essi ancora usciti di Siberia, venne il contraordine che si fermassero per la nuova guerra di Francia, il signore gli era corso appresso, e se l'era rimenato al suo castelluccio; e d'allora in poi egli s'era accorto che gli erano intercette le lettere, e nascosti i successi che seguirono. Ma che egli avendone pur udito alcun che a forza d'interrogare, era fuggito e ricorso al governatore della città vicina. Qui si fermò, e ben indovinai che volea dire, e poi se ne trattenne, che allora fu che avea scritto e sperato giugnessero sue lettere. Sì aggiunse che tra il dubitare e domandar ordini, il governatore l'avea trattenuto più d'un anno, ed ora erano da sei mesi che gli aveva data licenza; ma perchè in quell'anno avea speso ogni suo guadagno, avea dovuto venire a piedi col poco soldo da prigione; e perchè le ferite gli dolean troppo, sovente avea dovuto fermarsi per via, ed anche, nascondendo in que' casi le due croci, accattare. Qui parve nuovamente intenerirsi, e Maria pur essa; ond'io m'alzai, e preso commiato uscimmo insieme.
E quella poi fu la sola volta che io vedessi, anche così per poco, intenerirsi o l'uno o l'altro di que' due infelici. Perchè infelici egli erano certamente. Ma ambidue [pg!44] lo portavano con un cuore da farne vergogna a tanti filosofi che scrivono libri sulla pazienza; ed anche poi a tutti quelli, perdonatemi, o signori, che della loro qualità ed educazione si servono a scusare quella che dicono sensibilità, ed è arrendevolezza al dolore, non, come dovrebbero, a sostenerlo tanto più fortemente. Ei dicono grossi ed insensibili questa povera gente, che non sente meno, ma sopporta più. E il vero è che nati e cresciuti tutti più o meno tra qualche stenti, ed avvezzi a veder felicità cui non possono arrivare, i poveri contadini tutti naturalmente e di buona fede s'imbevono di quel principio, che s'è quaggiù per patire e lavorare; mentre voi altri l'udite dire dai preti, e lo leggete talora da voi; ma veramente persuasi non ne siete; e certo vivete, scusatemi di nuovo, ed operate, e v'affaticate, e vi disperate, che si vede vi credete destinati a godere, e se vi son tolti i godimenti, la credete ingiustizia, e peggio se avete a patire. E quest'è che fa poi portar così malamente le disgrazie, succombendovi disperati alcuni, o facendo altri viltà per fuggirne. Ma forse io mal conosco i signori; e volevo solamente farvi intendere che se quei due poveri contadini non fecero scene nè disperazioni, ei non erano meno infelici per ciò. Di Maria v'ho detto che cosa avesse fatto per quel pensiero del dovere, ch'io pur troppo avea contribuito a metterle innanzi. Giudicate ora, che il dovere era tanto più stretto, come il seguisse. E non dico del dovere grosso della fedeltà di corpo o di cuore o di ogni minimo pensiero; ma il dovere stesso di star allegra e far felice lo sposo; anzi, per così dire, e quanto era possibile, d'esser felice ella stessa, e non pensar ad altro. Questo seguiva. E quanto a Toniotto, io il conobbi sempre ottimo anche da fanciullo. Pure nel primo fuoco di gioventù, vedeste come ei si fosse lasciato andare a quella tentazione, per fuggire un mal necessario e che non dipendea da lui, di far egli un mal volontario e scellerato mettendosi co' banditi di Majino. Ma ora la lunga vita da soldato l'avea sì avezzo a rispettare il dovere, e la guerra gli aveva sì insegnato ad indurirsi contro la disgrazia, che io ci metterei quanto ho al mondo, [pg!45] che suo cuore non fu macchiato mai nè d'un pensiero. Ed io l'ho creduto sempre che quest'educazione della guerra sia pure la più bella e buona educazione che possa avere un uomo; nè honne veduto tornar nessuno se non migliore. Ma ciò non importa; e so che molti tengono anzi il contrario, e guardano quei vecchi guerrieri come scomunicati. Sono opinioni; e confesso che la mia mi è principalmente venuta dal veder quel così schietto e così forte e così buono dolore del povero Toniotto. Non una parola mai d'ira, d'invidia o di disprezzo, nè una celia pure contro il buon Francesco. E se niuni anzi di questi che avean veduto paese e guerre si volean burlar di lui o far con esso i bravacci, egli era il primo senza affettazione a prender sue parti. Se erano amici prima, ora parean fratelli; e Francesco era sempre il primo a cercar Toniotto in piazza, e voler andar insieme all'osteria, e sarebbe stato in questo se avesse voluto essergli tutto il giorno in casa anche solo. Ma Toniotto non vi andava mai se non la sera talvolta con Francesco; e vi stava poco, e il più del tempo teneva i putti fra le braccia; ed egli e Maria si parlavano con tanta naturalezza e semplicità, che tutti credettero, e Francesco più di niuno, che nè l'un nè l'altra non vi pensassero più. E quasi quasi vi credevo pur io.
Un giorno tuttavia, che erravo su per quelle vette, e salendo su per un castagneto, entravo di quello in una vigna del padre di Toniotto, ei mi venne veduto egli che credendosi solo in quel luogo discosto, era seduto colla marra tra le gambe, e le mani appoggiate sopra, e il volto sopra esse; ed io stetti alcun tempo a mirarlo. E perchè al solito si vedeva lavorare che pareva allegramente, mi vergognai come se gli avessi sovrappreso e involato il suo segreto; e me ne sentii stretto il cuore, e mi rivolsi per di nuovo imboscarmi. Ma facendolo in fretta mossi alcune frasche, e il romore lo riscosse, e il fè rivolgere e alzarsi e chiamarmi, onde che io pur mi rivolsi: «E siete stanco» dissi, «mio caro Toniotto.» «Sì stanco appunto. Perchè, vedete voi, avevo alquanto disimparato il mestiero di zappare; facendo quell'altro. Ma a poco a poco di nuovo s'imparerà.» Io [pg!46] fui contentissimo, e credo anch'egli, di poterci mettere in questa conversazione; nè v'ha cosa che faccia parolai sopra un soggetto, come il non volersi mettere in un altro: «Ma» dissi, «l'avevate già di nuovo imparato là in Siberia con quel vostro signore; che, Dio gliel perdoni, era pure un tiranno di voler regolar vostro carteggio.» E m'accôrsi che m'ero involontariamente accostato troppo a ciò che si voleva fuggir da tutti e due; nè egli rispose. «E non ci sono vigne là, dite un poco?» «No» disse Toniotto, e lasciò cascar il discorso; ed io m'accôrsi d'essermi discostato troppo. «Povero Toniotto,» dissi, «voi siete sempre buono in ogni fortuna; e come siete stato buon figliuolo e buon soldato, ora siete buon contadino di nuovo e buon figliuolo.» Allora io aveva côlto nel segno; e Toniotto mi rispose com'altre volte già: «Quest'è, maestro mio, quest'è. Bisogna fare quel che Dio ci mette a fare, e prender quello che ci manda, ora una buona giornata, ora una cattiva; ora una vittoria, ora una sconfitta, ora un avanzamento o una croce alla parata, ora una palla alla battaglia; e qui pure, ora un buon anno, ora un cattivo; ora un buon raccolto o una bella vendemmia, ora una grandine. E così è che ogni giorno pur ci trovo somiglianza tra questi due mestieri.» «Dite bene, questa somiglianza io pur la trovo: epperciò forse ho sempre udito dire che i buoni contadini fanno i migliori soldati. Ma voi non eravate più soldato; e vi mancava pur poco a diventar ufficiale. Dite un po', se non era della palla, lo sareste stato certamente tornando.» «O se non era della palla....» diss'egli, e si fermò, ed io m'accôrsi d'aver di nuovo malaccortamente inciampato; pure volendomi valer dell'occasione per effettuare un mio disegno. «E non v'incresce» gli aggiunsi, «di quel mestiero? Così avanti già quando il lasciaste? forse il potreste riprendere con vantaggio.» Allora sì davvero ci trovammo su terreno franco, ed egli mi rispose che ci avea pensato, ed avea prese informazioni nel paese; ma tutti gli avean detto che era troppo difficile, e non gli riuscirebbe entrar altrimenti che come soldato: che invero gli faceano sperare diventerebbe presto sotto ufficiale, e forse anco ufficiale; [pg!47] ma che a dire il vero non gli dava il cuore di ricominciar da capo così; e se fosse tempo di guerra, potrebbe sperar di riaver i gradi come gli avea avuti, e ad ogni modo avrebbe soddisfazione in combattere almeno una volta presso alla propria patria, e pel proprio principe; ma in tempo di pace il mestiero militare non gli era mai parato il medesimo, e il quartiere anche a Parigi, e l'esercizio anche della guardia imperiale, due seccature. Dolevagli una cosa, d'aver dovuto alla frontiera nasconder quelle due croci che gli erano state lasciate fin sulla camicia e sugli stracci quando era in Siberia; e perchè sapeva che glie le muterebbero in un'altra prendendo servizio, più volte per questa ragione avea ripensato entrarci. Ma non se ne sentiva il cuore, e poichè Iddio l'avea rimesso presso al suo padre, tant'era vivergli allato e servirgli finchè Dio volesse; benchè a suo padre non era necessario.... e qui parve accasciarsi sotto il peso de' dolorosi pensieri, e finì con dire: «Dura cosa, o maestro, a trent'anni il veder sparire e come annientarsi per un uomo tutta la vita passata. A trent'anni non si ricomincia più.» Egli avea ragione, ed io non gli volevo nè consentire, nè contraddire, e m'avviavo a partire. Egli mi prese la mano, non