La donna fiorentina del buon tempo antico. Isidoro Del Lungo
e pietre preziose, e i segni e lettere nella cui forma sono disposte, che significato e qual valore avrebbero, se fossero risparmiate a que' petti esuberanti di giovinezza e d'amore?
Ed ecco che il Comune, rigido ed inflessibile mantenitore de' proprî diritti, arma l'Esecutor della legge, di capitoli e statuti suntuarî[82] severissimi «contra i disordinati ornamenti delle donne di Firenze»; le quali piegano crucciose il capo, e di mala voglia obbediscono: siamo nel 1324. Ma son passati appena due anni; e tolta occasione dalla venuta del duca di Calabria, chiamato al solito esercizio di signoria angioina sulla guelfa repubblica, le donne si fanno attorno alla duchessa sua moglie, che è una francese, Maria di Valois; e ottengono sia loro reso «uno loro spiacevole e disonesto ornamento» (è la borghesia che brontola per bocca di Giovanni Villani)[83] «di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce di capelli dinanzi al viso...., ornamento disonesto e trasnaturato....: e così il disordinato appetito delle donne vince la ragione e il senno degli uomini». Una corte ducale,[84] quel codazzo cortigiano e francese, operano, ne' pochi anni che Firenze se li gode, il proprio effetto: e i Fiorentini, per calen d'aprile del 1330, «tolgono tutti gli ornamenti alle loro donne», e, si può ben dire con una parola di stampo adatto al caso, le disabbigliano da capo a piè. Sentite![85] «Essendo le donne di Firenze molto trascorse in soperchi ornamenti di corone e ghirlande d'oro e d'argento, e di perle e pietre preziose, e reti e intrecciatoi di perle, e altri divisati ornamenti di testa di grande costo; e simile, di vestiti intagliati di diversi panni e di drappi rilevati di seta, e di più maniere, con fregi e di perle e di bottoni d'ariento dorato ispessi, a quattro e sei fila, accoppiati insieme; e fibbiati di perle e di pietre preziose al petto, con diversi segni e lettere; e per simile modo facendosi conviti disordinati per le nozze delle spose, ed altri, con più soperchie e disordinate vivande; — sopra ciò si provvede e si fanno ordini, che niuna donna non possa portare nulla corona nè ghirlanda, nè d'oro nè d'ariento nè di perle nè di pietre nè di seta, nè niuna similitudine di corona nè di ghirlande, eziandio di carta dipinta; nè rete nè trecciere di nulla spezie, se non semplici; nè nullo vestimento intagliato nè dipinto con niuna figura, se non fosse tessuto; nè nullo addogato nè traverso, se non semplice partita di due colori; nè nulla fregiatura, nè d'oro nè d'ariento nè di seta, nè niuna pietra preziosa, nè eziandio ismalto nè vetro; nè potere portare più di due anella in dito, nè nullo scheggiale nè cintura di più di dodici spranghe d'argento; e che d'ora innanzi nulla si possa vestire di sciamito, e quelle che l'abbiano il debbano marcare, acciò che l'altra nol possa fare; e tutti i vestiri di drappi di seta rilevati sian tolti e difesi; e che nulla donna possa portare panni lunghi dietro più di due braccia, nè iscollato di più di braccia uno e quarto il capezzale; e per simile modo siano difese le gonnelle e robe divisate a' fanciulli e fanciulle, e tutti i fregi, ed eziandio ermellini, se non a' cavalieri e a loro donne; e agli uomini tolto ogni ornamento e cintura d'argento, e' giubbetti di zendado o di drappo o di ciambellotto. E nullo convito si possa fare di più di tre vivande, nè a nozze avere più di venti taglieri,» (che val quanto non più d'una quarantina di convitati) «e la sposa menare sei donne seco e non più; nè a' corredi di cavalieri novelli più di cento taglieri di tre vivande; e a corte de' cavalieri novelli non si possano vestire per donare robe a' buffoni». Sopra i detti capitoli, continua la cronica, feciono uficiale forestiere a cercare e uomini e donne e fanciulli delle dette cose diviete con grandi pene. E impongono norme e tariffe alle arti e allo spaccio delle derrate: e curano insomma l'interesse e la masserizia delle famiglie, senza darsi pensiero del danno che ne sentono specialmente «i setaiuoli e orafi», costituenti una medesima Arte, «che per loro profitto ogni dì trovavano ornamenti nuovi e diversi». Conchiude la cronica:[86] «I quali divieti fatti, furono molto commendati e lodati da tutti gli Italiani; e se le donne usavano soperchi ornamenti, furono recate al convenevole: onde forte si dolsono tutte, ma per gli forti ordini tutte si rimasono degli oltraggi» (cioè da quelli eccessi); «e per non potere avere panni intagliati, vollono panni divisati e istrangi i più ch'elle poteano avere, mandandogli a fare infino in Fiandra e in Brabante, non guardando a costo. Ma però molto fu grande vantaggio a tutti i cittadini in non fare le disordinate spese nelle loro donne e conviti e nozze, come prima faceano; e molto furono commendati i detti ordini, perocchè furono utili e onesti; e quasi tutte le città di Toscana, e molte d'Italia, mandarono a Firenze per esempio de' detti ordini, e confermargli nelle loro città».
Ma chi dovette trovarsi a disagio, proseguiremo noi, furono quelli «ufficiali forestieri», deputati dal Comune all'applicazione della legge, ossia a combattere per essa contro il malumore e l'astuzia delle donne fiorentine, congiurate per la difesa del loro abbigliamento. Delle tante grottesche figure, in cui la gaia novella borghese ha atteggiato quei poveri potestà e capitani, cavalieri e giudici, notai e famigli, che le città guelfe di Lombardia e delle Marche mandavano per rettori a Firenze; e sui quali si motteggiava proverbialmente: «Se tu hai niuno a chi tu vogli male, Mandalo a Firenze per ufficiale»;[87] non ve n'è forse nessuna così argutamente comica, come quella disegnata da Franco Sacchetti[88] d'uno «iudice di ragione» (de' suoi tempi die' egli, ma al dabben giudice non mancarono di certo predecessori anche in questa tribolazione, e Statuti suntuarî fiorentini ne possediamo fin del 1306, e testimonianza di essi fin dal 1290),[89] il quale messosi di buona lena, egli ed un suo notaio, ad eseguire certi nuovi ordini, al solito, «sopra gli ornamenti delle donne», l'effetto n'è, e i cittadini ne fanno le giuste meraviglie presso i Signori, che «l'oficiale nuovo fa sì bene il suo oficio, che le donne non trascorsono mai nelle portature, come al presente fanno.» Or ecco la risposta di messer Amerigo al rimprovero de' signori Priori: «Signori miei, io ho tutto il tempo della vita mia studiato per apparar ragione; e ora, quando io credea sapere qualche cosa, io trovo che io so nulla: perocchè cercando degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini che m'avete dati, sì fatti argomenti non trovai mai in alcuna legge, come sono quelli ch'elle fanno; e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni. E' si truova una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro, perocchè avete il becchetto intagliato. La buona donna piglia questo becchetto, che è appiccato al cappuccio con uno spillo, e recaselo in mano, e dice ch'egli è una ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare dinanzi. Dicesi a quella che è trovata: Questi bottoni voi non potete portare. E quella risponde: Messer sì, posso, che questi non sono bottoni, ma sono coppelle: e se non mi credete, guardate, e' non hanno picciuolo; e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio all'altra che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre costei? Voi portate gli ermellini. E la vuole scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no; chè questi non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio: Che cosa è questo lattizzo? E la donna risponde: È una bestia.» I magnifici signori Priori, che conoscevano le loro donne meglio di messer Amerigo da Pesaro, dicono l'uno con l'altro: «Noi abbiamo tolto a contender col muro. Me' faremo attendere a' fatti che portano più. Chi vuole il malanno se l'abbia.» E infine esclama uno, dicerto il più dotto della orrevol brigata: «Io vo' che voi sappiate, ch'e' Romani non poterò contro le loro donne: che vinsono tutto il mondo; ed elle, per levar gli ordini sopra gli ornamenti loro, corsono al Campidoglio, e vinsono i Romani, avendo quello che voleano». E cita Tito Livio, e vi dissertano sopra. E a messer Amerigo dicono, faccia quello ch'e' può, e tiri via, e lasci correre le ghirlande e le coppelle e i lattizzi; e così, d'allora in poi, narra il novelliere essere stato fatto, conchiudendo che l'uomo propone e la donna dispone, proverbio (come sentite) assai antico, e che le donne fiorentine, senza studiare giurisprudenza, hanno saputo portare le loro fogge a dispetto delle leggi e de' dottori di queste.
Del resto, quelle severità suntuarie di cui possediamo documenti bellissimi per la storia sì del costume e sì della lingua;[90] le quali limitavano la misura de' corredi nuziali, o come dicevano delle «donora», che la sposa portava al marito; e proporzionavano alla dote il longobardico morgincap, o dono del mattino, che questi faceva a lei la mattina dopo il matrimonio; e frenavano, com'abbiam sentito, il lusso e l'abbondanza delle feste e dei conviti; sarebbero oggi per noi violazioni di libertà individuale e quasi di domicilio. Eppure un alto concetto democratico animava anche coteste disposizioni, in quanto si voleva per esse, che il festeggiare de' cittadini fosse il più possibilmente pubblico anzichè privato. «Un sentir comune voleva comuni piaceri: le spese del ricco dovevano sempre avere qualche cosa di popolare; fatte a pubblico benefizio e spettacolo, dovevano essere un godimento per tutti. Nei palazzi, ciò che poi furono i salotti, allora