L'evoluzione di Giosuè Carducci. Alfredo Panzini
di Platone è detto: — «Socrate è empio perchè corrompe i giovani.»
Nel caso del Carducci mancano gli accusatori pubblici: sono i giovani stessi che l'accusano di corruzione. Essi dicono press'a poco così: «Il vostro canto, o Poeta, ci educò agli ideali della democrazia; ed ora vi vediamo non solo ritirarvi dalla lotta, ma passare duce e colonna degli avversari.» Dicono ancora: «Quest'uomo che, appunto perchè era messo più in alto, più era in vista, dava, sia pure colle più buone intenzioni, un esempio dannoso. Bisognava dirlo. E noi sentimmo il dovere di farlo, di ribellarci a tutti i pregiudizi dei feticisti, appunto quando contro di noi egli lanciò una cinica sfida, facendosi — egli professore ed educatore — capo di quegli studenti che rinnegano tutte le nostre e già sue aspirazioni[3].»
Dunque Egli è esempio alla gioventù di disonestà e di defezione politica. Anche questo è mirabile, non è vero? E più mirabile è che è detto in buona fede.
Gli studenti monarchici, secondo il citato giornale, dicevano «beffardamente» agli studenti radicali: «Carducci è come gli altri; ad accarezzarne la vanità si rende più monarchico del re, più scettico di noi!» Esclamano in fine gli studenti radicali: «Oh, se nel cervello del Carducci fosse rimasta latente qualcuna delle antiche potenze, come scoppierebbe tremenda a schiacciare questa turba che ha imparato i paroloni altisonanti e non ha mai assaporato la dolcezza dei sentimenti potenti!»
Dunque quest'uomo che, secondo le vostre parole, si levava impavido dalla bassezza presente, che accendeva le anime vostre alla fede e all'amore del bene, è così mutato e diverso da quello che ora condannate e fischiate?
Davvero?
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Ancora: Per chi ha non superficiale conoscenza dell'opera del Carducci, apparirà manifesto il fatto che Egli rivolse tutte le energie della sua vita a fare sì che il cittadino ed il poeta fossero una cosa sola: forza costante che, penetrata dall'agitatrice tempesta dell'arte, batteva contro questo «vecchio, ignavo titano» del popolo d'Italia; e se in questo percuotere per avventura commise peccati, furono — come Egli disse — non di volgarità mai: sì di passione.
Ora essi con spietata e certo incosciente crudeltà disgiungono il poeta dall'uomo; e con ciò non solo mostrano di disconoscere l'opera sua, ma gli fanno l'offesa che si può fare maggiore.
Premettono: «Noi intendevamo troppo bene quanta irresponsabilità ci fosse in quel poeta atto alle forti impressioni e incapace di convinzioni maturate,» poi aggiungono: «Carducci mentre rimane per noi un grande artista, non può rimanere un grande carattere; e impallidisce nella scuola, come passerà macchiato nella storia;» e in alcuni foglietti distribuiti dopo la contro dimostrazione tenuta in piazza S. Petronio il giorno 12, è scritto: «Il poeta e il letterato tutti ammiriamo. Noi abbiamo voluto fischiare il disertore di una bandiera!»
Davvero? Mirabile ad ogni modo!
Sì — voi dite — egli cantava molte leggiadre e, più sovente, molte strane canzoni: queste rimangono e noi le leggeremo ancora per nostro diletto e anche per dimostrare che riconosciamo i suoi meriti di scrittore, sempre che ci avanzi tempo e voglia: ma quell'anima ardente di entusiasmo e di bene per noi non esiste più.
Tutto ciò più che meraviglioso è supremamente triste.
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Ma io sbaglio nel tempo. Essi non dicono, ma dissero. Forse non ricordano nemmeno più le infauste parole che proferirono e stamparono; eppure esse rimangono. La vita urge ed incalza que' giovani, ma la piaga da loro aperta non cessa per allentar di balestra.
E dico il vero; perchè se a quelle centinaia di studenti sono imputabili sì l'aperta manifestazione come la volgarità delle ingiurie, non è meno vero che quella gran forza inerte la quale spesso si chiama opinione pubblica, con la sua inettezza ad intendere l'evoluzione monarchica del Carducci, scusa e coonesta in certo modo tanto il tumulto come le ingiurie.
Mi si può chiedere: Perchè così di preferenza togliete passi e giudizi da quel foglio apologetico degli studenti? Rispondo: Appunto perchè di questa massima parte dell'opinione pubblica esso rappresenta l'espressione più esagerata, ma in pari tempo più animosa e sincera.
Ma su questo argomento ritornerò fra poco.
Sono dunque gli scolari stessi che accusano il maestro. Vero è però che nessun tribunale accoglie l'accusa e, seguendo il paragone incominciato, nessun ministro di giustizia apparecchia la cicuta al nuovo corruttore della gioventù. Anzi quelli che in certo modo rappresentano l'autorità delle leggi, accolgono con grande apparato di cortesia e di difesa il maestro oltraggiato, il quale non richiede altro schermo che la propria coscienza. Mancano dunque e tribunali e cicuta; ma anche voi mancate, o Simmia, o Cebete, o Fedone, e tu Apollodoro che non ragionavi no alla morte del Maestro mirabile, ma piangevi solo.
Gli scolari del Carducci — e per scolari intendo non pure quelli che frequentarono le sue lezioni, ma quanti nel rinnovamento degli studi dovrebbero riconoscere lui come maestro — i suoi scolari, dico, non scesero con lui nel combattimento: essi, pur fatta alcuna eccezione, hanno troppo da attendere alle loro piccole ricerche erudite e alle loro piccole scuole.
Socrate moriva per risalire il corso dei secoli: invece grande aura di tristezza già ottenebra la fronte del Poeta. Egli scende vivo nella sua idealità e la gente nuova senza di lui palpita e s'agita al nuovo viaggio umano.
Parole mistiche forse sono queste, ma che spero abbiano ad acquistare luce di verità da ciò che segue.
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La requisitoria degli insultatori si fonda sui fatti e su le parole stesse del Poeta ed ha tutti i caratteri di una logica brutale e invincibilmente ignorante.
— Non scriveste voi l'inno a Satana? non cantaste voi la rivoluzione francese? non proclamaste voi la repubblica santa, la repubblica vergine? non vi pronunciaste voi stesso repubblicano nel discorso di Lugo e in molte altre occasioni? chi scrisse i Giambi ed Epodi? chi imprecò in tante forme e per tanto tempo ai moderati? chi fremendo ricordò il nipote di Carlo Alberto cui si fece indossare la divisa di Radetsky? Ed ora voi avete composta l'ode alla Regina; non basta, ma vi siete fatto poeta cortigiano delle gesta di Casa Savoia. Chi ha scritto il Piemonte, chi l'ode Il liuto e la lira? Ma non basta: mentre noi commemoriamo Mazzini, voi accettavate di essere padrino della bandiera che le gentili donne di Bologna ricamarono per il Circolo monarchico universitario.
Per tali titoli noi vi condanniamo.
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Il citato giornale degli studenti ha però un'osservazione vera e gravissima più che non sembri ad un primo esame, ove dice: «La stampa italiana in generale ha riportata quasi senza commenti la notizia delle dimostrazioni pro e contro Carducci.» Tutt'al più, osservo io, alcuni giornali si mostrarono indulgenti e favorevoli agli studenti, altri d'opposto colore politico li condannarono più o meno aspramente. Molti del pubblico dissero che era una lezione severa ma ben data; altri più miti concedettero ai giovani il diritto di giudicare e biasimare il Carducci, ma ne disapprovarono il modo ed il luogo. Grazie! I più equanimi e liberali «Oh che diavolo — dissero — che non si possa, almeno una volta nella vita mutare francamente opinione e cambiar strada dopo che si conobbe che l'altra era sbagliata, senza che i soliti difensori della morale pubblica ci abbiano a ringhiare alle calcagna! o che si deve pretendere un'assoluta coerenza politica per tutta la vita?»
Grazie maggiori e senza fine!
Del resto non molto diversamente giudicò l'onorevole Ferdinando Martini alla Camera dei deputati nella seduta del 16 marzo, dando così, e per il luogo e per la persona, speciale valore a tale opinione. Ecco come: L'illustre Villari, allora ministro, condannò l'opera degli studenti e disse: «Quando assistiamo a fatti deplorevoli come quelli di Bologna, dove impunemente s'insulta l'uomo, il cittadino, il maestro, mi sembra vedere dei figli che insultano il loro padre.» La dolorosa e semplice gravità di queste parole può sembrare ed è in fatti