Le vergini delle rocce. Gabriele D'Annunzio
i mezzi per porre in atto i suoi innumerevoli disegni, colui vide forse nel patrizio chiomato il futuro fondatore di una dinastia regale e lo amò riponendo in lui le più superbe speranze.
Mi piace imaginare che si riferisca alla sera del primo incontro il breve ricordo nei comentarii del Vinci (allora tutto intento agli studii per la statua equestre di Francesco Sforza): “A dì penultimo d'Aprile 1492. Ginnetto grosso di Messer Alessandro Cantelmo: ha bel collo e assai bella testa.„
Uscendo insieme dal palazzo di Cecilia si soffermarono entrambi su la via sempre ragionando; e, come Leonardo scorse il ginnetto, gli si appressò per osservarlo. Palpando il bel collo egli espresse con qualche esclamazione spontanea il terribile travaglio che davano al suo spirito incontentabile le continue ricerche intorno al monumento con cui il Moro voleva glorificar la fortuna del padre conquistatore del ducato ed espugnatore di Genova. La sua mano creatrice delineò nell'aria il colosso con qualche largo gesto rendendolo visibile agli interni occhi del giovine. Cadeva il giorno; l'ora del vespero primaverile fluttuava su i pinnacoli della città gaudiosa; una compagnia di musici passava cantando; e il cavallo per l'impazienza nitrì. Un sentimento eroico dilatò allora l'anima di Alessandro agguagliandola al fantasma del gran capitano. “Ah, partire per la mia conquista!„ egli pensava balzando in sella. E poichè in realtà egli non partiva se non verso una qualche cura della vita comune, disse d'improvviso in un impeto d'amarezza: “Pare a voi, maestro Leonardo, che metta conto di vivere a un uomo nel mio stato?„ E Leonardo che quelle inattese parole non meravigliarono: “Tutto è che l'aquila pigli il primo volo.„ E forse il cavaliere imberbe che si allontanava con la sua gente gli parve essere stato fatto re dalla natura “come quello che nell'alveare nasce condottiero delle api„.
Il mattino seguente un servo condusse il ginnetto in dono allo statuario insieme col saluto del suo signore.
Tale imagino il principio delle mutue liberalità. Il maestro compensava il discepolo con la vera ricchezza, poichè “non si dimanda ricchezza quello che si può perdere„. Come Socrate egli prediligeva i discepoli ornati di rare eleganze e di belle capellature. Come Socrate, egli eccelleva nell'arte di elevare l'anima umana all'estremo grado del suo vigore. Alessandro fu certo per qualche tempo l'eletto in quella Academia Leonardi Vincii dove una nobile genitura spirituale dischiudevasi a poco a poco sotto un insegnamento che traeva il suo calore dalla verità centrale come da un sole non oscurabile. “Nessuna cosa si può amare, nè odiare, se prima non si ha cognizion di quella. L'amore di qualunque cosa è figliuolo di essa cognizione. L'amore è tanto più fervente quanto la cognizione è più certa.„
Si trovano qua e là negli interrotti comentarii di Leonardo i segni della curiosità appassionata con cui lo sperimentatore indefesso vigilava l'anima preziosa del suo giovine amico. Egli non aveva segreti per lui, volendo concorrere con tutti i suoi mezzi ad accrescerne le potenze accumulate, a renderne più efficace l'azione futura su un vasto campo. Egli notava per ricordarsene: “Parla col Volturara di questi tali modi di trarre i dardi.„ E ancóra: “Mostra al Volturara modi di levare e ponere ponti, modi di ardere e disfare quelli dell'inimico e come si piantan bombarde e bastioni di dì e di notte.„ Oppure: “Messer Alessandro mi vol dare il Valturio De re militari e le Deche e Lucrezio Delle cose naturali.„
Come i detti brevi e fieri del giovine lo colpivano, egli ne notava alcuno. “Disse Messer Alessandro che convien prender la fortuna a man salva dinanti, perchè retro è calva.„ E ancóra: “Sendo io in sul libro del dividere li fiumi in molti rami e farli guadabili, disse ardito il Volturara: Affè che Ciro di Cambise ben seppe fare il simile al fiume Ginde per castigarlo, sol per avere quello toltogli uno cavallo bianco.„
Un giorno — imagino — erano entrambi convenuti nella casa magnifica di Cecilia Gallerani; e Leonardo aveva rapito gli animi sonando quella nova lira fabbricata di sua mano quasi tutta d'argento in forma d'un teschio di cavallo. Nella pausa che seguì l'entusiasmo, la rinata Saffo si fece recare un mirabile cofanetto ricco di smalti e di gemme inviatole dal duca in dono; e mostrandolo chiedeva ai presenti quale oggetto tanto prezioso potesse a lor giudizio meritare d'esservi riposto. Ciascuno espresse un diverso parere. — E voi, Messer Alessandro? — domandò Madonna Cecilia, con dolci occhi. Rispose l'audace: — Di quello che fra i tesori di Dario fu trovato, del quale nulla fu visto che fosse più ricco, uno antico Alessandro volle far la custodia alla Iliade di Omero.
Sùbito il Vinci segnò nei comentarii quella risposta; e v'aggiunse: “Ei si vede chi si nutrica di midolle e nervi di lione.„
Un altro giorno erano entrambi convenuti nel giardino della medesima ospite, e Alessandro, dopo aver disputato con qualcuno di quei “famosi spiriti„, s'era tratto in disparte per seguire qualche pensiero nuovo che il calor della disputa aveagli dischiuso nell'intelletto denso di germi. Chiamandolo la bella contessa bergamina a più riprese, egli non si voltò se non tardi perchè tardi udì il richiamo. A un grazioso rimprovero, o forse a un motto pungente, rispose egli sorridendo: — Non si volta chi a stella è fisso.
La sera, il Vinci segnò nei comentarii anche quella risposta; e v'aggiunse la sua profezia: “Presto piglierà il primo volo, empiendo l'universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al loco dove nacque.„
Forse in quella sera medesima, considerando l'intensità e la molteplicità di quella precoce giovinezza, il suo spirito inclinato alle significazioni occulte degli emblemi e delle allegorie trovò il bel simbolo della melagrana compendiosa che reca sul gambo la foglia aguzza e il fiore ardente.
Ma a dì 9 di luglio dell'anno 1495, tre giorni dopo la battaglia di Fornovo, egli segnava: “Morto il Volturara in campo, da par suo. Mai cieco ferro al mondo troncò più grande speranza.„
Tal visse e morì il giovine eroe in cui parve sublimata la genuina virtù della mia stirpe militante. Tale intieramente mi si rivelava nella effigie vera che di lui tramandò al lontano erede un artefice soprannominato Promèteo.
“O tu„ egli mi diceva impadronendosi della mia anima col suo magnetico sguardo “sii quale devi essere.„
“Per te sarò„ io gli diceva “per te sarò qual debbo essere; poichè io ti amo, o bellissimo fiore di mio sangue; poichè io voglio riporre tutto il mio orgoglio nell'obbedire alla tua legge, o dominatore. Tu portavi in te una forza bastevole a soggiogare la terra, ma il tuo destino regale non doveva compiersi nel tempo in cui prima apparisti. Tu non fosti, in quel tempo, se non l'annunciatore e il precursore di te medesimo, dovendo riapparire su dal tuo ceppo longevo nella maturità dei secoli futuri, alla soglia di un mondo non anche esplorato dai guerrieri ma già promesso dai sapienti: riapparire come il messaggio l'interprete e il padrone d'una vita nuova. Per ciò scomparisti d'improvviso, a similitudine d'un semidio, presso un fiume gonfio di acque, tra il fragore della battaglia e dell'uragano, stando il sole per attingere il segno del Leone. La morte non troncò la grande speranza, sì bene la sorte volle differirne il compimento meraviglioso. La tua virtù, che non potè allora manifestarsi in una gesta trionfale al conspetto della terra, dovrà necessariamente risorgere un giorno nella tua stirpe superstite. E sia domani! Ed esca il tuo eguale dalla mia genitura! Io invoco ed attendo e preparo il rinascimento della tua virtù con una fede indefettibile, adorando la tua imagine vera, o dominatore pensoso, o tu che mettesti per segno nei libri della Sapienza il filo della tua bella spada ignuda!„
Così io gli diceva. E sotto il suo sguardo e sotto la sua ammonizione, non soltanto mi si moltiplicavano le forze efficaci ma il mio cómpito mi si determinava in linee definitive. — Tu, dunque, lavorerai ad effettuare il tuo fato e quello della tua stirpe. Tu avrai dinnanzi, nel tempo medesimo, il disegno premeditato della tua esistenza e la visione di un'esistenza superiore alla tua. Tu vivrai nell'idea che ciascuna vita, essendo la somma delle vite precedenti, è la condizione delle future. Tu non crederai dunque di essere soltanto principio, motivo e fine del tuo proprio fato, ma sentirai tutto il pregio e tutto il peso dell'eredità che hai ricevuta dai tuoi maggiori e che dovrai trasmettere al tuo discendente contrassegnata dalla tua più gagliarda impronta. La concezione sovrana della tua dignità sorga su la certezza, in te ferma, d'essere il tramite conservatore d'una energia molteplice che potrà domani o tra un secolo o nel tempo indefinito affermarsi con una manifestazione sublime. Ma tu spera che sia domani! Triplice è il tuo cómpito,