First Italian Readings. Autori vari

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castello è vostro? Non c'è nulla di più bello di[28] questo palazzo e delle fabbriche che lo circondano; visitiamolo nell'interno, se non vi scomoda.—

      Il Marchese dette la mano alla Principessa; e seguendo il Re, che era salito il primo, entrarono in una gran sala, dove trovarono imbandita una magnifica merenda, che l'orco aveva fatta preparare per certi suoi amici che dovevano[29] venire a trovarlo, ma che non avevano ardito di entrar nel castello, perchè sapevano che c'era il Re.

      Il Re, contento da non potersi dire,[30] delle belle doti del marchese di Carabà, al pari della sua figlia, che n'era pazza, e vedendo i grandi possessi che aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse:

      —Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi.—

      Il Marchese, con mille riverenze, gradì l'alto onore fattogli dal Re, e il giorno dopo sposò la Principessa.

      Il gatto diventò gran signore, e se seguitò a dar la caccia ai topi, lo fece unicamente per passatempo.

      charles perrault.

      Voltato in italiano da C. Collodi.

      CENERENTOLA.

       Indice

      C'ERA una volta un gentiluomo, il quale aveva sposata in seconde nozze una donna così piena di albagia e d'arroganza, da non darsi l'eguale.

      Ella aveva due figlie dello stesso carattere del suo,[1] e che la somigliavano come due gocce d'acqua.

      Anche il marito aveva una figlia, ma di una dolcezza e di una bontà, da non farsene un'idea; e in questo tirava dalla sua mamma, la quale era stata la più buona donna del mondo.

      Le nozze erano appena fatte, che la matrigna dette subito a divedere la sua cattiveria. Ella non poteva patire le buone qualità della giovinetta, perchè, a quel confronto, le sue figliuole diventavano più antipatiche che mai.

      Ella la destinò alle faccende più triviali della casa: era lei che rigovernava in cucina, lei che spazzava le scale e rifaceva le camere della signora e delle signorine; lei che dormiva a tetto, proprio in un granaio, sopra una cattiva materassa di paglia, mentre le sorelle stavano in camere coll'impiantito di legno, dov'erano letti d'ultimo gusto, e specchi da potervisi mirare dalla testa fino ai piedi.

      La povera figliuola tollerava ogni cosa con pazienza, e non aveva cuore di rammaricarsene con suo padre, il quale l'avrebbe sgridata, perchè era un uomo che si faceva menare per il naso in tutto e per tutto dalla moglie.

      Quando aveva finito le sue faccende, andava a rincantucciarsi in un angolo del focolare, dove si metteva a sedere nella cenere; motivo per cui la chiamavano comunemente la Culincenere.[2]

      Ma la seconda delle sorelle, che non era così sboccata come la maggiore, la chiamava Cenerentola.

      Eppure Cenerentola, con tutti i suoi cenci, era cento volte più bella delle sue sorelle, quantunque fossero vestite in ghingheri e da grandi signore.

      Ora accadde che il figlio del Re diede una festa di ballo, alla quale furono invitate tutte le persone di grand'importanza e anche le nostre due signorine furono del numero, perchè erano di quelle che facevano grande spicco in paese. Eccole tutte contente e tutte affaccendate a scegliersi gli abiti e le pettinature, che tornassero loro meglio a viso.[3] E questa fu un'altra seccatura per la povera Cenerentola, perchè toccava a lei a stirare le sottane e a dare l'amido ai manichini. Non si parlava d'altro in casa, che del come si sarebbero vestite in quella sera.

      —Io,—disse la maggiore,—mi metterò il vestito di velluto rosso e le mie trine d'Inghilterra.

      —E io,—disse l'altra,—non avrò che il mio solito vestito: ma, in compenso, mi metterò il mantello a fiori d'oro e la mia collana di diamanti, che non è dicerto di quelle che si vedono tutti i giorni.—

      Mandarono a chiamare la pettinatora di gala, per farsi fare i riccioli su due righe, e comprarono dei nei dalla fabbricante più in voga della città.

      Quindi chiamarono Cenerentola, perchè dicesse il suo parere, come quella che aveva moltissimo gusto; e Cenerentola diè loro i migliori consigli: e per giunta si offrì di vestirle: la qual cosa fu accettata senza bisogno di dirla due volte.

      Mentre le vestiva e le pettinava, esse le dicevano:

      —Di', Cenerentola, avresti caro di venire al ballo?...

      —Ah! signorine! voi mi canzonate: questi non son divertimenti per me!

      —Hai ragione: ci sarebbe proprio da ridere,[4] a vedere una Cenerentola, pari tua, ad una festa da ballo.—

      Un'altra ragazza, nel posto di Cenerentola, avrebbe fatto di tutto per vestirle male; ma essa era una buonissima figliuola, e le vestì e le accomodò come meglio non si poteva.

      Per la gran contentezza di questa festa, stettero quasi due giorni senza ricordarsi di mangiare: strapparono più di dodici aghetti, per serrarsi ai fianchi e far la vita striminzita; e passavano tutt'intera la santa giornata[5] a guardarsi nello specchio.

      Venne finalmente il giorno sospirato. Partirono di casa e Cenerentola le accompagnò cogli occhi più lontano che potè:[6] quando non le scorse più, si mise a piangere.

      La sua Comare, che la trovò cogli occhi rossi e pieni di pianto, le domandò che cosa avesse.[7]

      —Vorrei[8]... vorrei....—E piangeva così forte, che non poteva finir la parola.

      La Comare, che era una fata, le disse:

      —Vorresti anche tu andare al ballo, non è vero?

      —Anch'io, sì,—disse Cenerentola,—con un gran sospirone.

      —Ebbene: prometti tu d'esser buona?—disse la Comare.—Allora ti ci farò andare.—

      E menatala in camera, le disse:—Vai nel giardino e portami un cetriolo.—

      Cenerentola scappò subito a cogliere il più bello che potè trovare e lo portò alla Comare, non sapendo figurarsi alle mille miglia[9] come mai questo cetriolo l'avrebbe fatta andare alla festa di ballo.

      La Comare lo vuotò per bene, e rimasta la buccia sola, ci battè sopra colla bacchetta fatata, e in un attimo il cetriolo si mutò in una bella carrozza tutta dorata.

      Dopo, andò a guardare nella trappola, dove trovò sei sorci, tutti vivi.

      Ella disse a Cenerentola di tenere alzato un pochino lo sportello della trappola, e a ciascun sorcio che usciva fuori, gli dava un colpo di bacchetta, e il sorcio diventava subito un bel cavallo: e così messe insieme un magnifico tiro a sei, con tutti i cavalli di un bel pelame grigio-topo-rasato.

      E siccome essa non sapeva di che pasta fabbricare un cocchiere:

      —Aspettate un poco,—disse Cenerentola,—voglio andare a vedere se per caso nella topajola ci fosse un topo; che così ne faremo un cocchiere.

      —Brava!—disse la Comare,—va' un po' a vedere.—

      Cenerentola ritornò colla topajola, dove c'erano tre grossi topi.

      La fata, fra i tre, scelse quello che aveva la barba più lunga; il quale appena l'ebbe toccato, diventò un bel pezzo di cocchiere, e con certi baffi, i più belli che si fossero mai veduti.

      Fatto questo, le disse:

      —Ora vai nel giardino: e dietro l'annaffiatoio, troverai sei lucertole. Portamele qui.—

      Appena l'ebbe portate, la Comare le convertì in sei lacchè, i quali salirono subito dietro la carrozza, colle loro livree gallonate, e vi si tenevano attaccati, come se in vita loro non avessero fatto altro mestiere.

      Allora la fata disse


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