First Italian Readings. Autori vari

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anche il più savio. Abbi tu giudizio per tua cugina. Te l'affido.

      Il dottore Lonzi scosse le redini sul collo al cavallo che si mise al trotto.

      —Ha sentito?—disse con aria d'importanza Ferruccio.—È affidata a me. Dunque rispetto e soggezione.

      —Oh!—esclamò Cecilia.—Che cavaliere formidabile! Con un buffetto lo getterei in fosso.

      —Questa vorrei vederla,—replicò Ferruccio piccato.

      —To', mi negheresti d'esser tre buone dita più basso di me?

      —È una calunnia. Ci siamo forse misurati quest'autunno?

      —Quest'autunno no, ma l'autunno passato.

      —Qui sta il busillis.... In un anno io son cresciuto e tu no... almeno in altezza.

      Quest'allusione alle curve nascenti di sua cugina parve a Ferruccio un'audacia immensa, ond'egli arrossi e chinò gli occhi a terra.

      La ragazza rimase un momento in forse se doveva ridere o arrabbiarsi, e si contentò di borbottare fra i denti:—Sguaiato!

      —Un altr'anno poi ce la conteremo,—soggiunse Ferruccio, lieto d'averla passata liscia.[4]

      —A proposito di che ce la conteremo?

      —Oh bella! A proposito della mia statura.

      —Sicuro... diventerai il gigante Golia.... Ma andiamo, grullo, lo sai tenere o no quel famoso ombrello?

      È innegabile che Ferruccio lo teneva piuttosto male, costretto com'era a camminare in punta di piedi per non parer meno alto della cugina. Per peggio tirava vento, e ogni tanto una raffica faceva piegare l'asta ora da una parte, ora dall'altra.

      —Io faccio la doccia dal lato destro,—osservò Cecilia.

      —E io dal lato sinistro.

      —Vuoi lasciar provare a me?—disse la giovinetta.

      —Lasciarti l'ombrello?

      —Sì, per cinque minuti.

      —Ma nemmen per sogno.

      —Via, sii compiacente.

      —Ti dico di no.

      Ma Cecilia, ostinatella per indole, non voleva smettere e tentava di conquistare con la forza ciò ch'ella non poteva ottener colle buone.[5] Tira di qua, tira di là, l'ombrello che non aveva le molle ben salde si chiuse a un tratto pigliando come in una trappola le teste dei due contendenti.

      Quando poterono riaprirlo, Ferruccio aveva il cappello a sghimbescio e Cecilia era tutta arruffata; grondavano poi tutti e due come se fossero usciti allora da un bagno.

      —Colpa tua,—gridò la ragazza.—Sgarbataccio!

      —Ah colpa mia! Fosti tu che....

      A questo punto però l'ilarità prese il sopravvento e i due cugini si guardarono in viso ridendo a più non posso.[6]

      —Fu una bella capata.

      —Eh, lo credo io. Debbo aver un bernoccolo sulla fronte.

      —E anch'io qui....

      —Povera cuginetta!—esclamò Ferruccio.

      —Non rider così forte,—disse Cecilia fingendo un comico sgomento.—Se scuoti troppo l'ombrello, esso ne fa ancora una delle sue[7] e torna a chiudersi.

      —La gran disgrazia! Non si stava punto male lì sotto.

      Anche questa volta Ferruccio credette d'essersi lasciata sfuggire una frase arrischiata anzichenò, e divenne rosso.

      Cecilia gli lanciò un'occhiatina in cui c'era un fondo d'inconscia civetteria; poi, atteggiandosi a donna di proposito:—Orsù,—disse,—facciamo da gente soda il resto del cammino.

      Ella passò di nuovo il braccio sotto a quello del suo cavaliere e gli si strinse addosso quanto più era possibile.—Così sarò al coperto con tutta la persona,—ella disse.

      Ferruccio si sentiva intorno una specie d'inquietudine, un malessere non provato ancora; un malessere però così delizioso che in quel momento egli non l'avrebbe cambiato con nessuna cosa al mondo.

      E Cecilia intanto, chinando verso di lui la leggiadra testina, gli parlava come non gli aveva parlato mai sino a quel giorno, come si parla, non già a un fanciullo che si prende per compagno di chiassi, ma a un giovinetto che può essere il confidente, l'amico.

      A vedersi finalmente trattato da pari a pari da una ragazza che aveva quasi quindici anni e mezzo e ch'era bellina davvero, Ferruccio non capiva in sè dalla contentezza. Sulle prime era confuso, si impappinava, ma a poco a poco gli si sciolse lo scilinguagnolo e cominciò anch'egli a discorrere con un calore, con un'enfasi insolita.

      Quante cose si dissero i due cugini sotto a quell'ombrello! Ricorsero i tempi dell'infanzia allorchè vivevano nella stessa città e passavano insieme molte ore della giornata, bisticciandosi spesso, tirandosi anche di tanto in tanto per i capelli, ma non potendo mai star divisi. Più tardi le famiglie erano andate ad abitar paesi diversi, e Cecilia e Ferruccio si rammentavano d'aver pianto dirottamente il giorno della separazione. Sì, certo, avevano pianto, avevano giurato di scriversi, ma poichè sapevano fare appena le aste, non c'era stato caso di mantener la promessa. Però Ferruccio era venuto sin da quell'autunno a passar le vacanze presso gli zii, e così negli autunni successivi. Era quella anche per Cecilia la più lieta stagione dell'anno. È vero, c'era stato un po' di raffreddamento quando Cecilia pareva voler diventare un campanile e Ferruccio invece non si decideva mai a crescere. Allora ella lo guardava proprio dall'alto al basso.[8] Basta; ormai questa umiliazione era finita, e Cecilia riconosceva lealmente che Ferruccio non faceva punto una cattiva figura al suo fianco. Ma! Che peccato di non poter andar a braccetto tutto l'anno! Che peccato di non poter sempre confidarsi i pensieri intimi, i desiderii segreti, le piccole contrarietà della vita!

      I due cugini sdrucciolavano nel patetico. Chi sa che cosa riserbava loro l'avvenire? Una serie di disinganni, una morte precoce forse... brr... l'idea sola faceva gelare il sangue.

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