Piccoli eroi: Libro per i ragazzi. Virginia Treves
Maria si sentì dare un colpo al cuore, e capì subito che cosa significasse quella furia.
—Gli esami non sono andati bene?—chiese con un sospiro.
—Il professore è un asino,—disse Carlo irritato.
—Sarai tu un asino, che non avrai saputo rispondere; almeno lo confessassi, e non fossi tanto presuntuoso. Dunque non sei passato? Me l'aspettavo.
—Mi domandò certe cose difficili; poi i compagni mi facevano ridere, mi sono confuso, ecco.
—Mi dispiace,—disse Maria con amarezza,—così tutti per colpa tua dovranno rinunciare alla campagna.
—Non dir questo, Maria, posso studiare anche là, anzi studierò meglio in mezzo alla quiete campestre.
—Gli è che forse non avrai più bisogno di studiare. Sai che cosa ha detto il babbo? Se non passi ti metterà ad un mestiere, almeno ti guadagnerai il pane.
—Siete matti,—disse Carlo,—io far l'operaio? Mai più. Lo sai, io voglio diventare un personaggio celebre, un eroe.
Le sorelline si misero a ridere.
Maria gli disse che principiava molto bene; del resto sarebbe meglio diventare un buon operaio, che un cattivo dottore.
—Non lo dire al babbo che l'esame è andato male.—disse Carlo,—studierò e ti prometto di non ripetere l'anno; non lo dire al babbo, ti prego.
—Non lo dirò, ma lo verrà a sapere, lo domanderà ai professori.
—Spero che non avrà tempo.
—Però in villa ci andiamo, non è vero, Maria? chiese colla sua —grazietta Giannina, la bimba più piccola.
—In villa?—disse Maria.—Non è una villa la nostra, ma una povera casetta di campagna.
—Se Elisa raccontò ad Angiolina Merli che avevamo una bella villa, con un bel giardino!…
—Sempre le tue solite fanfaronate,—disse Maria rivolgendosi con accento severo ad Elisa.—Possibile che non ti corregga mai di questo vizio?
—Tutte raccontano che vanno in villa e parlano di viali ombrosi, di giardini fioriti, e l'ho raccontato anch'io, per non essere da meno dello altre.
—Lo sai che non voglio che tu dica quello che non è vero.
—L'Angiolina non può mica vedere.
—È forse la figlia della cucitrice? È una buona ragazza.
—Sì,—disse Giannina,—è la più attenta di tutta la scuola, e quando Elisa raccontava della villa avea le lagrime agli occhi pensando che i suoi genitori erano tanto poveri e non potevano andare nemmeno a respirare un po' d'aria buona; essa diceva: «Invece di una villa mi contenterei di andare in una capanna, pur di essere all'aria aperta e vedere un po' di verde.»
—Ebbene, la inviteremo a venire con noi,—disse Maria,—è una brava ragazza, conosco sua madre e si fa un'opera buona, così anche vedrà la differenza che passa fra la villa fantastica che le ha descritta Elisa e la casa modesta dove andiamo ad abitare.
Elisa s'era fatta tutta rossa e diceva:
—Maria, ti prego, non farlo, lo racconterà alle compagne e rideranno di me.
—Sarà il tuo castigo, così imparerai a non esagerare le cose e a non farti credere più di quello che sei.
—Piuttosto invita l'Evelina,—disse Elisa.
—Ti pare? Essa è abituata a viver più riccamente di noi, ci dovremmo mettere in impegno e far delle spese, e poi non si troverebbe bene; invece per Angiolina non cambiamo nulla delle nostre abitudini e si troverà bene come una regina. Evelina sarebbe un disturbo inutile perchè non ho nessuna intenzione di fare degli inviti; riguardo ad Angiolina si fa una buona azione. Così uno di questi giorni andremo dalla signora Merli per invitarla.
—Chissà se sua madre la lascerà venire!—disse Elisa.—Sarei proprio contenta che non le desse il permesso.
In questa speranza si calmò, ma era sempre preoccupata dal dubbio che Angiolina accettasse, e quel pensiero le turbò la gioia d'aver terminati gli esami.
MARIO E VITTORIO.
Vittorio faceva la seconda e Mario la prima classe delle scuole tecniche. Erano tutt'e due intelligenti, ma Vittorio tranquillo, studioso, diligente, e Mario invece irrequieto, non avea voglia di studiare e non stava mai attento. Avea dovuto perdere un anno per la sua condotta, e perchè in scuola si burlava non solo dei compagni, ma dei professori.
Maria era impaziente d'aver notizie dei suoi fratelli, e ad una cert'ora s'avviò colle ragazze alla scuola, ma quando entrò nell'atrio, s'accorse che gli esami non erano ancora terminati. Vi trovò molti babbi e molte mamme, anch'essi impazienti di aver notizie dei loro figli, e alcuni ragazzi che uscivano a due a due, a gruppi, chiacchierando assieme e gesticolando, alcuni saltando dalla gioia, altri, incerti, fermati ad attendere che uscissero i professori, nella speranza di saper qualche cosa sull'esito dei loro esami.
Quelli che vedevano da lungi i genitori si univano a loro e quasi tutti erano contenti d'aver terminato le scuole per quell'anno, e della prospettiva di due o tre mesi di vacanza.
Finalmente uscì Vittorio e s'avvicinò alle sorelle colla faccia contenta, sicuro dell'esame che avea fatto.
—È andato bene?—disse Maria.
—Il professore m'ha domandato una cosa facile e m'ha detto: bravo!
Come sono contento!—S'alzò in punta dei piedi e diede un bacio a
Maria.
Mario uscì correndo e saltando, si mise a giocare alla palla coi libri, e fermatosi davanti alla turba dei suoi fratelli disse:
—Non mi chiedete nulla?
—Dalla tua allegria si direbbe che è andato bene.
—Credo di sì, io non sapevo molto di quello che m'hanno domandato, sono andato avanti diritto senza interrompermi, e pare siano rimasti contenti.
Intanto Maria vide uscire il professore di Mario che conosceva bene, per avergli raccomandato spesso il fratello, gli si avvicinò e gli chiese notizie dell'esame.
—Può dire d'esserne uscito per miracolo, e se non lo salvavo io….
—Ne fece qualcuna delle sue?—chiese Maria.
—Guardi!—rispose il professore, e levò di tasca un pezzo di carta che mostrò a Maria, dicendo:—Questo è il professore che assisteva all'esame, se l'avesse veduto, pensi che classificazione gli avrebbe data!
Era una buffa caricatura che faceva ridere anche non avendone voglia.
Mario rideva e diceva:
—Era troppo bello con quel naso a punta e con quella barbetta; non ho saputo resistere alla tentazione di disegnarlo.
—Pensi,—soggiunse il professore,—che egli m'ha chiesto che cosa facesse colla matita il signorino. Io m'avvicinai, vidi di che si trattava e prendendogli la carta risposi: È uno sgorbio, e dissi a Mario che quella non era l'ora di disegnare; l'ho salvato per miracolo.
—Grazie,—disse Maria al professore, poi rivoltasi a Mario lo rimproverò.
Non poteva perderlo quel brutto vizio di mettere tutti in caricatura?
E Mario rideva e diceva:
—Era troppo bello; era troppo bello.
E il professore salutando Maria, le susurrò a bassa voce:
—Che cosa vuole! è un capo ameno che mi diverte, non sono