Il Professore Romualdo. Enrico Castelnuovo

Il Professore Romualdo - Enrico Castelnuovo


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Con permesso — disse il capitano, il quale a cagione della sua mole ciclopica non poteva entrare finchè il professore non gli cedesse il posto.

      Costui sentì a trenta centimetri sopra il suo capo la voce tonante del nuovo arrivato, si voltò, guardò in su, e vide in mezzo a una nuvola di fumo che usciva dal caminetto di una pipa, una bella testa caratteristica con la carnagione abbronzita, la barba folta, gli occhi azzurri e profondi e una cicatrice a sinistra della bocca.

      — Con permesso — ripetè il capitano, e il dottor Romualdo si tirò da parte più confuso che mai, mentre il signor Radice (o Lupini) rivoltosi al colosso gli disse: — Capitano, quel signore domanda di voi.

      Il capitano Rodomiti squadrò d'alto in basso il signore piccino, si tolse la pipa di bocca, mandò fuori un buffo di fumo e chiese: — È lei il professore Romualdo Grolli?

      — Appunto, sono io — rispose il professore, alzando gli occhi in su come se guardasse un campanile.

      — Lietissimo di far la sua conoscenza... Se non Le dispiace, potremo andare in luogo tranquillo... a pochi passi di qui... A rivederci allora — continuò il capitano, salutando con la mano il sensale di noleggi senza pronunziarne il nome, e lasciando così sospesa la grave questione se il personaggio faceto fosse il signor Radice o il signor Lupini. — Eccomi con lei — egli riprese quindi, abbassando lo sguardo sul Grolli.

      E i due uomini uscirono insieme sulla strada. Il professore, che durava non poca fatica a misurare il suo passo su quello del capitano, gli veniva a fianco senza parlare nella speranza che l'altro iniziasse il discorso. Dal canto suo il Rodomiti avrebbe preferito di essere interrogato; onde tacevano tutti e due, e tacendo si esaminavano a vicenda. Una grande disparità fisica non suol generare a prima vista una grande simpatia reciproca fra due individui. E fra il Rodomiti e il Grolli la disparità non poteva esser maggiore. Il primo, come si disse or ora, era veramente un bell'uomo, dalla fisonomia aperta e leale, ma il dottor Romualdo lo considerava dal punto di vista onde gli uomini troppo piccoli considerano gli uomini troppo grandi, e non poteva guardare senza una certa diffidenza quella figura torreggiante, quelle membra atletiche, il cui solo contatto pareva doverlo schiacciare. Ed egli velava questa diffidenza con la unzione, con la timidezza che sono proprie dei deboli quando si trovano al cospetto dei forti, e che spiacevano singolarmente al capitano Antonio, già poco favorevole al topo di libreria.

      Il Rodomiti si determinò a romper pel primo il silenzio. E lo fece alla marinaresca, senza preamboli. — Io vengo da Montevideo, signore.

      Quest'annunzio fu una rivelazione pel Grolli. Egli alzò gli occhi verso il suo interlocutore, poi li chinò a terra e un vivo rossore si stese su quella parte del suo volto che non era nascosta dalla barba o dai capelli.

       — Da Montevideo — egli soggiunse, come facendo eco alle parole del capitano.

      E cento memorie della fanciullezza si affacciarono alla sua mente, e un nome scancellato quasi dal suo cuore gli tornò sulle labbra. Pur sul punto di pronunziarlo si arrestò, come se pronunziandolo violasse un voto, fallisse a un dovere. E si contentò di fare una domanda indiretta:

      — È partito da un pezzo di là?

      — Da due mesi e mezzo.

      — E la cosa per la quale mi ha chiamato a Genova ha relazione con questo suo viaggio?

      — Senza dubbio — rispose il capitano, stanco di tutto questo armeggìo. — Ho un incarico della signora Elena Natali.

      L'incanto era rotto. Il nome che da anni e anni il professor Grolli non sentiva più menzionare d'intorno a sè tornava a ferirgli l'orecchio, e la persona che portava quel nome stava forse per aver di nuovo una parte nella sua vita.

      — Elena! — balbettò il professore, più commosso ch'egli non volesse parere. — Non le sarà già accaduta sventura?

      — Povera signora! Se ella ebbe colpe verso la sua famiglia, le ha certo espiate.

      — Sarebbe... morta?

      — Quando partii da Montevideo, ella viveva, ma pur troppo era ridotta agli estremi... Basta, ora vedrà una sua lettera.

      In quella, il capitano, invitando il dottor Romualdo a seguirlo, infilò un portone spalancato, salì un paio di scale, spinse una porticina ch'era solamente rabbattuta ed entrò insieme al suo compagno in un andito stretto e buio.

      — Sei tu, Tonino? — disse una voce femminile. E in pari tempo una donna di mezza età aperse un uscio laterale dando un po' di luce all'andito tenebroso.

      — Son io — rispose il capitano — È fatta la mia camera?

      — Sì, Tonino... Bada al fuoco... Mi raccomando, con quella pipa.

      Il capitano Antonio fece spallucce, e chiese: — La bimba?

      — Dorme ancora... Devo svegliarla?... Poni il piede su quella favilla... Abbi riguardo, Tonino.

      — Lasciala dormire — replicò il capitano, senza curarsi delle strane paure di sua sorella Teresa circa al fuoco. — Passi, passi.

      Queste ultime parole erano rivolte al dottore Romualdo, che venne introdotto in una camera modesta ma pulita, e fatto sedere davanti a un tavolino.

      Il Rodomiti offerse al suo ospite un sigaro che questi rifiutò, poi tolse dal cassetto un grosso piego suggellato.

      — Ebbi queste carte dalla signora Elena — egli soggiunse. — Si compiaccia di leggerle. Io la lascio solo, ma tornerò di qui a mezz'ora... Intanto son di là con mia sorella. Se le occorre qualche cosa, tiri il campanello.

       E uscì inchinandosi alquanto per non urtar col capo sull'architrave.

      — Fumerà anche lui — brontolava la signora Teresa nell'andito — sicuro, fumano tutti adesso, fumano perfino le donne.

      E il capitano replicava infastidito: — Sempre questa fissazione del fuoco.... Non fuma, non fuma.

      Poi si fece silenzio, e il dottore Romualdo aperse con mano tremante il piego misterioso che gli stava davanti. Insieme con altre carte ch'egli si riserbò di esaminare più tardi, c'era una lunga lettera scritta di mano femminile.

       Indice

      «Fratello mio, — diceva quell'epistola — sono quasi dodici anni dacchè, figlia disobbediente e cattiva sorella, io lasciai il tetto domestico, ove avrei dovuto confortare la vecchiezza del babbo ed essere per te una seconda madre. Una passione infelice mi acciecò. Seguii oltre l'Oceano l'uomo che mi aveva ammaliata, e dopo essere rimasta senza risposta a due lettere scritte a nostro padre, non volli ritentare la prova; considerai che tutta la mia famiglia avesse cessato di esistere per me. Ero superba, Romualdo; mi pareva di esser trattata in modo indegno, e il mio cuore s'indurì nel dispetto e nell'ostinazione. Per altro, da un'amica mia io ricevevo di tratto in tratto nuove di casa, e da lei seppi della morte di nostro padre. Piansi, mi strappai i capelli, mi accusai di avere con la mia condotta abbreviato i giorni di quegli a cui dovevo la vita, e scrissi a te, fratello mio, a te che avevo cullato tante volte su' miei ginocchi, a te cui avevo insegnato a balbettare le prime parole. Ma certo tu mi credevi una triste donna, e la voce della tua sorella non ebbe un'eco nel tuo cuore. Aspettai per mesi e mesi una tua lettera intenerendomi all'idea di riceverla, sperando di poter iniziar teco attraverso l'Oceano uno scambio di assidue corrispondenze. Io dicevo: egli mi racconterà i suoi studi, mi racconterà i suoi primi successi; perchè io ti sapevo pieno d'ingegno, e non dubitavo che saresti riuscito; mi racconterà i suoi primi amori, e quando amerà anche lui, oh allora, ne son certa, mi perdonerà... Ma la tua risposta non venne, e l'orgoglio mi vinse di nuovo, e mi chiusi nel mio silenzio, che durò fino adesso. L'amica che mi teneva informata delle cose della mia famiglia, o è morta anch'essa, o si stancò di scrivermi. È proprio vero, sai, quel proverbio: lontan dagli occhi, lontan dal cuore. Per anni ed anni non seppi nulla di te. A malgrado che vi sia una continua emigrazione dall'Italia a queste contrade, dal nostro paese non è mai capitato nessuno.


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