Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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      38

      Non passa mese, che tre, quattro e sei

      e talor diece notti io non mi truovi

      nudo abbracciato in quel piacer con lei,

      ch'all'amoroso ardor par che sì giovi:

      sì che tu puoi veder s'a' piacer miei

      son d'aguagliar le ciance che tu pruovi.

      Cedimi dunque e d'altro ti provedi,

      poi che sì inferior di me ti vedi. —

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      — Non ti vo' creder questo (gli rispose

      Ariodante), e certo so che menti;

      e composto fra te t'hai queste cose,

      acciò che da l'impresa io mi spaventi:

      ma perché a lei son troppo ingiuriose,

      questo c'hai detto sostener convienti;

      che non bugiardo sol, ma voglio ancora

      che tu sei traditor mostrarti or ora. —

      40

      Soggiunse il duca: — Non sarebbe onesto

      che noi volessen la battaglia torre

      di quel che t'offerisco manifesto,

      quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre. —

      Resta smarrito Ariodante a questo,

      e per l'ossa un tremor freddo gli scorre;

      e se creduto ben gli avesse a pieno,

      venìa sua vita allora allora meno.

      41

      Con cor trafitto e con pallida faccia,

      e con voce tremante e bocca amara

      rispose: — Quando sia che tu mi faccia

      veder quest'aventura tua sì rara,

      prometto di costei lasciar la traccia,

      a te sì liberale, a me sì avara:

      ma ch'io tel voglia creder non far stima,

      s'io non lo veggio con questi occhi prima. —

      42

      — Quando ne sarà il tempo, avisarotti, —

      soggiunse Polinesso, e dipartisse.

      Non credo che passar più di due notti,

      ch'ordine fu che 'l duca a me venisse.

      Per scoccar dunque i lacci che condotti

      avea sì cheti, andò al rivale, e disse

      che s'ascondesse la notte seguente

      tra quelle case ove non sta mai gente:

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      e dimostrogli un luogo a dirimpetto

      di quel verrone ove solea salire.

      Ariodante avea preso sospetto

      che lo cercasse far quivi venire,

      come in un luogo dove avesse eletto

      di por gli aguati, e farvelo morire,

      sotto questa finzion, che vuol mostrargli

      quel di Ginevra, ch'impossibil pargli.

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      Di volervi venir prese partito,

      ma in guisa che di lui non sia men forte;

      perché accadendo che fosse assalito,

      si truovi sì, che non tema di morte.

      Un suo fratello avea saggio ed ardito,

      il più famoso in arme de la corte,

      detto Lurcanio; e avea più cor con esso,

      che se dieci altri avesse avuto appresso.

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      Seco chiamollo, e volse che prendesse

      l'arme; e la notte lo menò con lui:

      non che 'l secreto suo già gli dicesse;

      né l'avria detto ad esso, né ad altrui.

      Da sé lontano un trar di pietra il messe:

      — Se mi senti chiamar, vien (disse) a nui;

      ma se non senti, prima ch'io ti chiami,

      non ti partir di qui, frate, se m'ami. —

      46

      — Va pur, non dubitar, — disse il fratello:

      e così venne Ariodante cheto,

      e si celò nel solitario ostello

      ch'era d'incontro al mio verron secreto.

      Vien d'altra parte il fraudolente e fello,

      che d'infamar Ginevra era sì lieto;

      e fa il segno, tra noi solito inante,

      a me che de l'inganno era ignorante.

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      Ed io con veste candida, e fregiata

      per mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,

      e con rete pur d'or, tutta adombrata

      di bei fiocchi vermigli al capo intorno

      (foggia che sol fu da Ginevra usata,

      non d'alcun'altra), udito il segno, torno

      sopra il verron, ch'in modo era locato,

      che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.

      48

      Lurcanio in questo mezzo dubitando

      che 'l fratello a pericolo non vada,

      o come è pur commun disio, cercando

      di spiar sempre ciò che ad altri accada;

      l'era pian pian venuto seguitando,

      tenendo l'ombre e la più oscura strada:

      e a men di dieci passi a lui discosto,

      nel medesimo ostel s'era riposto.

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      Non sappiendo io di questo cosa alcuna,

      venni al verron ne l'abito c'ho detto,

      sì come già venuta era più d'una

      e più di due fiate a buono effetto.

      Le veste si vedean chiare alla luna;

      né dissimile essendo anch'io d'aspetto

      né di persona da Ginevra molto,

      fece parere un per un altro il volto:

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      e tanto più, ch'era gran spazio in mezzo

      fra dove io venni a quelle inculte case

      ai dui fratelli, che stavano al rezzo,

      il duca agevolmente persuase

      quel ch'era falso. Or pensa in che ribrezzo

      Ariodante, in che dolor rimase.

      Vien Polinesso, e alla scala s'appoggia

      che giù manda'gli, e monta in su la loggia.

      51

      A prima giunta io gli getto le braccia

      al collo, ch'io non penso esser veduta;

      lo bacio in bocca e per tutta la faccia,

      come far soglio ad


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